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Gino Agnese racconta Boccioni, il talento bocciato in disegno che vinse la sfida del Novecento

133793 Ritratto di Umberto Boccioni Museo900

Ambizioso, elegante, collerico, patito di cravatte e fissato per la piega dei pantaloni al punto da metterli sotto il materasso prima di andare a letto, Boccioni vinse la sfida del Novecento semplicemente immaginando, con un tentativo quasi disperato, come sarebbero potuti essere il mondo, l’arte, la vita sociale di lì a cinquant’anni dopo.I diari ce lo restituiscono come un personaggio tormentato e pieno di dubbi, collerico e manesco, insomma uno che si buttava nella mischia nonostante fosse minuto e di media altezza, al punto che appena c'era da menar le mani non aspettava altro. Bocciato in disegno quando frequentava le scuole tecniche a Catania, pensò da grande di approdare all’arte in maniera non convenzionale, attraverso il giornalismo, o meglio attraverso quelle vignette che i giornali pubblicavano e che non presupponevano particolari abilità in disegno.  “Non è stato facile per lui trovare una forma di espressione di questo desiderio di modernità. Boccioni disse più volte che fra lui e il dipinto in esecuzione c’era una lotta terribile, una competizione senza limiti. Prepotente lo era. Fu un magna pars della scrittura del primo manifesto dei pittori futuristi. Quando i pittori che avrebbero dovuto firmarlo arrivarono in Via Senato, a Milano, come monaci al convento, uno dietro l’altro, Boccioni pretese che il primo firmatario di tutti i manifesti fosse lui, e Marinetti lo assecondò, e gli altri stettero al gioco perché era chiaramente il leader, era chiaramente lui”.Gino Agnese, biografo di Boccioni con Umberto Boccioni. L’artista che sfidò il futuro, racconta il pittore tormentato che, grazie al potere dell’immaginazione, riuscì a vedere come sarebbe stato il mondo da lì a 50 anni.Gino Agnese in "Formidabile Boccioni" | © ARTE.itIl contributo di Gino Agnese, accanto a quello di altri autorevoli studiosi ed esperti di Boccioni, impreziosisce il documentario FORMIDABILE BOCCIONI, un’opera di Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotta da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura.
Disponibile in esclusiva su ITsART, il documentario regala un avvincente viaggio, corredato da una varietà di documenti, filmati e materiali d’epoca originali, nella vita del primo attore del Futurismo che dedicò l’esistenza intera ad inventare un nuovo linguaggio, contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura.L’artista che ha abbracciato la rivoluzione di Marinetti, traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa, chiamato il “bacarozzo” per quel modo di vestire tutto di nero, secondo la moda in voga a quell’epoca, avrebbe, come per uno scherzo del destino, regalato all’arte del Novecento la parentesi più luminosa. “Questa bella compagnia di pittori seguiva le mode. E allora c’era la moda del nero, di cappotti neri, pantaloni neri. Siccome portavano anche dei mantelli vennero chiamati “bacarozzetti”, “scarafaggetti”, piccoli scarafaggi. Queste cose mettevano allegria, ed è molto bello esplorare queste esperienze giovanili tra lo spirito goliardico e quello invece impegnato”.
Se nel documentario, per ovvi motivi, non è stato possibile riportare integralmente il contributo di Gino Agnese, riproponiamo qui l’intervista per intero per scoprirne di più sull’uomo e sull’artista Boccioni.Frame da Formidabile Boccioni | Courtesy of Goldschmied & Chiari , Paesaggi Artificiali, 2021 | © ARTE.it
C’è una frase molto bella che scrive Umberto Boccioni: verrà un tempo in cui il quadro non basterà più. Le opere pittoriche saranno vorticose composizioni musicali di enormi gas colorati. Secondo lei che cos’è che aveva intuito Umberto Boccioni all’alba del Novecento?“Ciò che è importante nel caso di Boccioni è l'immaginazione, cioè il tentativo, quasi disperato, di immaginare come potrà essere il mondo, come potrà essere l’arte, la vita sociale di lì a cinquant’anni. Dunque Boccioni immagina queste opere d’arte effimere che, realizzate in alto, non si sa se di notte, di giorno, vanno ascritte alla categoria della mirabilia, cioè delle cose che lo stesso personaggio che le immagina non sa bene immaginarle".
Boccioni ha avuto un destino tragico, è morto molto giovane, e la sua carriera artistica si è compiuta in un arco di tempo molto breve. Dopo la sua morte, le sue sculture che erano fabbricate in gesso, e che rappresentano la punta di diamante della sua ricerca, dopo qualche anno sono state distrutte. Lei che ragione si dà di questo strano destino che toccò a Boccioni e della strana sorte che toccò alla sua eredità?“Secondo me c’è una ragione pratica. Bisognava pagare il padrone di casa di Boccioni, che era in affitto. Io non so se avesse pagato tutto l’arretrato di quanto era dovuto al padrone di casa. Il proprietario aveva questa urgenza di liberare le stanze per riaffittarle, e c’erano questi manufatti di gesso, statue, che, a chiunque avesse una visione ordinaria delle cose, potevano sembrare stupidaggini, tentativi incomprensibili. Probabilmente se queste statue fossero state modellate alla maniera tradizionale la cosa sarebbe andata diversamente, ma chi le ha ricevute ha pensato di liberarsene o buttandole via o cedendole a uno scultore che se ne sarà sbarazzato a sua volta”.
Due artisti contemporanei stanno cercando di ricostruire più fedelmente possibile le sculture di Boccioni... “Un’operazione del genere secondo me non ha senso, perché sarebbe come rifare anche qualunque manufatto antico. Le opere d’arte hanno senso se sono vere, e sono vere se vengono fatte dall’artista e nel tempo storico dell’artista”. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itCosa accade dopo che, da Catania, il giovane Boccioni approda a Roma?
“Da Catania giunge a Roma dove si stabilisce in casa di alcuni parenti. E si propone di entrare in un giornale per avere la possibilità di fare delle vignette”.E invece le cose andarono diversamente…“Boccioni finisce nello studio di un artista molto, ma molto importante, un cartellonista che si chiamava Mataloni, del quale si erano perdute un po’ le tracce. Mataloni aveva questo studio a Roma, tuttavia il disegno e la sua arte, ancora floreale, non potevano di certo esaltare un giovane. Ad ogni modo Boccioni frequenta per qualche tempo il suo atelier ed è facile dedurre che qualche nozione di litografia l’abbia acquisita”.
Qual era il clima che si respirava a Roma quando Boccioni era giovane e diventava amico di Severini?
“Come succede a tutti i giovani che vivono in città, anche Boccioni era inserito in un’allegra compagnia di giovani, alcuni di grande talento. Si incontravano in un caffè di Via del Corso frequentato non solo da artisti, ma anche da poeti, giovani talenti degli studi filosofici”.
Quali erano i fatti d’attualità che potevano colpire di più quelle nuove generazioni che vivevano a Roma in quegli anni?“C'è un fatto che veramente fa svoltare la consapevolezza di tanti giovani giovani a Roma, come pure nelle altre città, ed è la domenica di sangue a Mosca il 5 gennaio, davanti al palazzo imperiale di San Pietroburgo. Io credo che in una di queste manifestazioni senz'altro ci sia stato anche Boccioni, dal momento che c'erano almeno due amici molto legati a lui, uno dei quali fu addirittura arrestato dai carabinieri e alla fine su di lui la polizia aprì un fascicolo”.E Boccioni era interessato alla politica?“Boccioni non era interessato alla politica, certamente aderiva a questo gruppo di simpatizzanti del socialismo, però questa non era la sua vocazione. Boccioni voleva liberarsi delle cose che già stavano facendo il loro tempo, un po’ come il floreale. Era la sete di nuovo, la sete dell'avvenire che tormentava lui e tutti gli altri giovani. Infatti quando fa la copertina dell'Avanti, invece di seguire la simbologia socialista, la bandiera rossa, la falce e il martello, così via, realizza sulla copertina un'automobile scatenata nella corsa, con le ruote che vorticano, testimonianza di quale fosse la sua reale predilezione”. Boccioni nel suo studio con Balla sua madre e due assistenti in posa davanti al modello in gesso Espansione spiralica | Courtesy of Museo del 900 Com’è avvenuto l’incontro tra Umberto Boccioni e Giacomo Balla, il suo maestro? “Boccioni, quando andava a far visita a certi parenti che abitavano dietro Via Veneto, si trovava spesso a passare davanti a un negozio dove ogni volta c’erano due o tre quadri messi ad asciugare. Erano di un pittore che abitava lì, torinese, si chiamava Giacomo Balla, e viveva in questo negozio simile a un rettangolo che era dentro al fabbricato. In quel luogo fino a poco tempo fa operava un’officina per la riparazione delle automobili”. E quindi vedendo questi quadri di Balla che reazione ebbe Boccioni? “Vedendo questi quadri Boccioni si informò sul conto del pittore che era poi Giacomo Balla, il quale divenne il maestro dello stesso Boccioni, ma anche di Severini, di Sironi... Era parecchio più grande di loro, era un pittore divisionista, un buon pittore. Ecco, e lì è cominciato il sodalizio, la conoscenza, di Boccioni con Balla. In seguito Boccioni andò a Milano, cominciò a vivere l’avventura futurista e chiamò Balla a far parte del gruppo futurista, e Balla, come molti sanno, si liberò dai suoi trascorsi di pittore divisionista e di pittore classico, e stese uno striscione in Via del Babuino, con scritto “Balla è morto”. Voleva dire che il pittore tradizionale era morto ed era entrato nel Futurismo Giacomo Balla”. Il 1910 fu l’anno della svolta per Umberto Boccioni, l’anno in cui incontrò Marinetti. Come avvenne questo incontro? “In realtà, sull’incontro tra Boccioni e Marinetti ci sono due, o anche tre versioni. Naturalmente credo ci sia sempre stato un intermediario a favorire l’inizio di questa amicizia. Secondo una versione, fu un amico di Boccioni, con il quale aveva condiviso la camera mobiliata a Roma, a presentargli Marinetti in una stazione ferroviaria. Secondo altre versioni fu Marinetti che incontrò Boccioni ad una mostra. Non abbiamo documenti in merito. Fatto sta che i due si incontrarono e fu uno degli eventi più importanti del Novecento, perché Marinetti ne riconobbe il talento, "elettrificò" Boccioni, strappandolo alla buona pittura, al divisionismo, e incitandolo a fare il nuovo, a realizzare una pittura nuova, facendolo insomma innamorare del futuro, del tempo a venire”. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itLei crede che Marinetti, dopo la morte di Boccioni, abbia capito che la potenza della sua arte avrebbe potuto dare un futuro al Futurismo? “Marinetti è stato sempre convinto della genialità di Boccioni, e la genialità consisteva in questo: nella capacità di metabolizzare in modo singolare l’esperienza. Dove alcuni impiegano molto tempo per far fruttare un’esperienza, la persona geniale fa questo in breve tempo. Boccioni quando a Roma frequenta la scuola di disegno assieme a Severini e ad altri non era il migliore, anzi, alcuni erano molto più bravi di lui nel disegno come pure nella pittura. Eppure sono rimasti lì dov'erano. Boccioni no, ha metabolizzato l’esperienza abbandonandola cercandone un’altra e un’altra ancora…”.Boccioni per seguire l’arte fece una scelta di vita. Decise di non avere mai una famiglia, di non avere mai relazioni affettive stabili… “Boccioni promise a se stesso che non avrebbe mai avuto un legame stabile, tantomeno un matrimonio. Perché un eventuale matrimonio lo avrebbe strappato all’arte. Era un sacerdozio quello che Boccioni ebbe con l’arte. Una scelta che non doveva avere distrazioni. Una volta confessò di non avere quasi mai dormito un’intera notte con una donna, che tutti i suoi legami erano temporanei”. C’è anche un piccolo segreto nella sua vita privata che in pochi conoscono… “È terribile che non si sia mai occupato di un figlio che aveva avuto in Russia. Lo lasciò alla madre, la russa Augusta Berdnicoff, Popoff da nubile. Fu una vera tragedia. Nessuno sapeva di questo figlio, nemmeno Marinetti. Ne erano a conoscenza soltanto la mamma e la sorella. Quando il figlio nacque, lui augurò a lui e alla mamma buona fortuna e non se ne occupò mai più. Ma quando Boccioni morì cadendo da cavallo, nel suo portafoglio fu trovata una fotografia del bambino all’età di sei/sette anni. Quella stessa fotografia del bambino l'aveva anche la madre di Boccioni”. Tra i Calmucchi della Steppa - Russia 6 Sett. 1906 | Courtesy of Niccolò D'AgatiI Futuristi dichiaravano di essere i primitivi di una sensibilità completamente trasformata. Cosa voleva dire? “Voleva dire tutto e niente, che si affacciava all’orizzonte del mondo una nuova sensibilità. C’erano già gli aeroplani, il primo aeroplano è volato in America nel 1905-1906. Era evidente che questo mondo assolutamente diverso implicava una nuova sensibilità. Marinetti ha capito che le tecnologie cambiano: il tram di Monza, elettrico, cambiò la vita di molti milanesi. Ma il grande evento che cambiò la vita in modo radicale fu l’illuminazione pubblica perché indusse la vita notturna, i locali le belle di notte, una sensibilità che prima non c’era. Ecco perché Marinetti diceva che loro erano i primitivi, nel senso: siamo noi i primi a dirlo”.Nel 1912 Marinetti organizza una mostra alla galleria Bernheim Jeune, però Boccioni prima di inaugurare la mostra decide di fare un viaggio di perlustrazione per cercare di capire cosa stessero facendo i cubisti. Come andò quell’incontro con Picasso a Parigi? “Boccioni ha sempre creduto nel genio di Picasso. Però lui voleva rubare tutto quello che c'era da rubare per lavorarlo nella fucina della sua arte. E c'era molto da rubare nell’atelier di Picasso. Boccioni chiese allora a Severini di accompagnarlo allo studio di Picasso e lui, che era molto amico di entrambi, lo accompagnò, e Picasso fu contento di vedere questo italiano molto fantasioso. Poi venne un'occasione espositiva e comparve una scultura di Boccioni che denunciava la visita che Boccioni fece a Picasso e Picasso si arrabbiò e disse a Severini: Ma tu perché m’hai portato qua questo tuo amico italiano?”. Ma secondo lei chi ha vinto la sfida del Novecento? Picasso o Boccioni? “Io sono il biografo di Boccioni, quindi la mia opinione è viziata da questo, però la massima espressione dell’arte del Novecento è Picasso, e Boccioni è una declinazione dell'arte del Novecento. Probabilmente la semina più importante è stata quella dei futuristi non quella di Picasso. Molti artisti hanno provato a fare Picasso, diciamo a copiare Picasso a fare appunto il picassismo ma il picassismo è una cosa inesistente, mentre il Futurismo è anche pluralità di genialità, non c’è solo Boccioni. E poi c’è un’inventiva che non si ferma mai. La stagione dell’aeropittura, che adesso viene presa in maggiore considerazione dai mercati internazionali dell’arte, è uno sviluppo del Futurismo”.Umberto Boccioni mentre esegue il ritratto del Maestro Ferruccio Busoni all'Isolino di San Giovanni | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, Roma Eppure sul finire della sua vita, quando si trova a Pallanza a fare il ritratto di Ferruccio Busoni sembra aver abbandonato l’esperienza futurista… “È stato detto che nel Ritratto del Maestro Busoni Boccioni avrebbe confermato il suo abbandono del Futurismo. Secondo me questo non è vero. Boccioni aveva bisogno di soldi perché doveva partire militare e doveva lasciare un gruzzolo notevole alla mamma e alla sorella. Ferruccio Busoni era innamorato di sé e della sua persona. Se Boccioni avesse fatto il ritratto di Busoni con il linguaggio futurista quello glielo avrebbe tirato addosso, non l’avrebbe accettato e Boccioni non avrebbe avuto i molti soldi che ebbe dal Maestro Busoni. A riprova di quello che sto dicendo c'è che Boccioni, accanto all'opera che era in contratto del Maestro Busoni, realizzò un ritratto alla moglie del Maestro Busoni in linguaggio futurista”. Cos’è stata per Boccioni l’esperienza della guerra? Trovarsi sul Monte Altissimo non deve esser stato proprio una passeggiata... Avrebbe potuto avere qualche agevolazione e invece... “Boccioni era un patriota, e intese l’impegno in guerra come un patriota. Era debole di polmoni, il Maestro Busoni lo esortò a far valere questa sua debolezza polmonare per essere esonerato dal servizio militare, ma lui rifiutò. E quando andò alla visita militare tacque, non parlò nemmeno dei disturbi che aveva. Avrebbe avuto anche la possibilità di fare un servizio militare comodo con la possibilità di diventare sottufficiale, ma rifiutò anche questo. Quando fu mandato al reparto il colonnello gli disse: Lei è il signor Boccioni? Avremmo per lei un riguardo speciale... Ma lui rifiutò e fu addetto alle stalle dei cavalli perché era in un reparto di artiglieria ippotrainata. Quando seppe che c'era una richiesta di soldati per le bombarde, un'arma che andava in primissima linea, fece di tutto per essere destinato alla prima linea. Boccioni fu convinto del servizio militare e Busoni, dopo la morte del pittore, alterò delle lettere per dimostrare il contrario di quello che ho detto, ma poi questo imbroglio fu svelato”.Quando, il 3 luglio del 1910, il quadro delle Tre donne fu esposto a Milano la critica accusò Boccioni di avere presentato delle donne in camicia da notte… “Il quadro delle tre donne merita un'attenzione molto particolare. Quando fu esposto, sul Corriere della Sera comparve una critica che accusava Boccioni di aver presentato delle signore in camicia da notte. Non è un caso raro che i giornali dicano delle sciocchezze. Invece il quadro delle Tre donne è molto importante perché ripete un'opera tra le più celebri al mondo, la Trinità angelica di Rublëv, un quadro russo, l'icona più importante che ci sia in Russia. Boccioni molto probabilmente non ebbe la possibilità di vederla dal vivo. Però dovunque a Mosca si trovavano delle riproduzioni della Trinità angelica di Rublëv".Umberto Boccioni, Tre donne, 1809-1810, Olio su tela, Milano, Gallerie d'Italia - Piazza Scala, Collezione Intesa Sanpaolo Leggi anche:• Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi

133749 Vittoria Colonna

Un dongiovanni egoista, incostante e pieno di sé, abituato a pavoneggiarsi come un gallo nel pollaio: così è stato descritto Umberto Boccioni nei suoi rapporti con le donne. Ma c’è un lato del genio futurista che pochi conoscono: la scrittrice Marella Caracciolo Chia l’ha scoperto per caso, in fondo a un baule dimenticato nell’archivio di Palazzo Caetani, a Roma. L’ha raccontato nel suo libro Una parentesi luminosa (Adelphi) e poi nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà per la regia di Franco Rado e prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, in occasione del 140° anniversario della nascita dell’artista, ora disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. È una strana storia d’amore quella sbocciata durante la guerra tra la nobildonna romana Vittoria Colonna e Umberto Boccioni, artista di umili origini deciso a fare a pezzi il passato a colpi di pennello e di cannone. Ripercorrerla significa rivivere un momento unico nella storia del Novecento ed entrare in un mondo femminile al bivio tra tradizione e modernità, raramente associato al Futurismo. Ma significa soprattutto riscoprire un grande protagonista dell’avanguardia oltre la corazza che lui stesso decise di indossare, nella sua fragilità e nella sua freschezza di giovane uomo, in un viaggio che illumina anche le circostanze - banali e insieme misteriose - della sua morte.Marella Caracciolo Chia in "Formidabile Boccioni" | © ARTE.itPer ovvi motivi, nel documentario non è stato possibile riportare integralmente l’intervista alla scrittrice. La presentiamo qui, per gustare appieno le sorprese riservate dalla sua scoperta.“Sono entrata in questa storia per caso - racconta Marella Caracciolo Chia - mentre facevo una ricerca su Leone Caetani, grande ricercatore, intellettuale, politico, idealista ed erede di un’immensa fortuna che ha abbandonato all’improvviso con una scelta radicale di cui desideravo scoprire i motivi. Nei carteggi tra lui e sua moglie, la principessa Vittoria Colonna, ho trovato il riferimento a un baule scomparso pieno di lettere. Grazie a Prospero Colonna, un nipote di Vittoria, sono riuscita a rintracciarlo negli archivi di Palazzo Caetani a Roma. Sono stata la prima persona ad aprirlo, facendo una straordinaria scoperta. In  fondo al baule, quasi nascosto, c'era un pacchettino di lettere tenuto insieme con dell’umile spago. Quando l’ho aperto, con incredibile sorpresa ho scoperto il carteggio perduto tra uno dei più grandi artisti del Novecento e la principessa romana. Naturalmente ho dirottato tutte le mie attenzioni su questa storia”. Tutto inizia nel 1915, quando Boccioni, convinto interventista, si arruola per sostenere l’Italia nella Prima Guerra Mondiale. “Con il Battaglione dei Ciclisti Lombardi Volontari viene mandato in alta montagna. C’è anche un gruppo di futuristi, tra cui Sant'Elia, Marinetti e Sironi. Nel suo diario descrive una guerra molto lontana da quella eroica e idealista che aveva immaginato: si ritrova perennemente al freddo e nel fango, tra schioppi violentissimi, e per sopravvivere è costretto a nascondersi”.Marinetti ed i futuristi volontari al fronte - guerra 1914 - 1918 | Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University LibraryMa anche mentre la battaglia infuria, Boccioni trova il tempo di dedicarsi all’arte…“In un periodo di congedo, il 6 giugno del 1916 Boccioni arriva a Villa San Remigio, sulle sponde orientali del Lago Maggiore, per dipingere il ritratto di Ferruccio Busoni, grandissimo compositore e pianista dell'epoca che era anche un suo sostenitore. Nel 1912 Busoni aveva acquistato il dipinto La città che sale e dopo quel primo incontro erano sempre rimasti in contatto. Boccioni è ospite dei Marchesi della Valle di Casanova, una coppia cosmopolita e molto diversa dalle persone che è abituato a frequentare: lui è poeta, pittore, collezionista, di origini napoletane ma di cultura mitteleuropea, lei è una pittrice irlandese appassionata di giardinaggio. Hanno dedicato la loro vita a trasformare la villa e il giardino in una specie di tempio dedicato al romanticismo. Per Boccioni questo mondo rarefatto e passatista, fatto di agi e privilegi, diventa subito una sorta di rifugio dagli orrori della guerra.Oltre all’amicizia con Busoni, c’è un altro motivo che l’ha spinto ad accettare la commissione ed è la preoccupazione per la madre, un’anziana sarta ormai quasi completamente cieca. Al fronte Boccioni si è reso conto della precarietà della vita: una commissione così generosa gli permetterebbe di pensare al futuro della madre e della sorella nel caso dovesse succedergli qualcosa”.È durante la realizzazione del ritratto che Boccioni sente parlare di Vittoria…“Boccioni sistemò il suo studio sulla bellissima terrazza della villa. Busoni posava sotto una magnolia, con il lago sullo sfondo. Il panorama si intravede anche nel quadro, che oggi si trova alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma: in lontananza si distinguono i contorni dell’Isolino di San Giovanni, con il campanile della chiesa e i tetti rossi. I padroni di casa avranno certo raccontato a Boccioni che su quest’isola abitava la principessa romana Vittoria Colonna. E il nome deve aver fatto breccia nella sua immaginazione: lo stesso di una famosa musa di Michelangelo, che lui idolatrava come uno dei più grandi geni dell’arte. Vittoria si era rifugiata sul lago con il figlio adolescente, Onorato Caetani, un ragazzo difficile con dei problemi di apprendimento, e conduceva una vita molto solitaria”.Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaChe tipo di donna è Vittoria?“Vittoria appartiene a quella generazione di donne che prendono coscienza del loro ruolo in società. È nata in un’antichissima famiglia di principi dove le donne non hanno alcun potere. Ma da ragazza gareggia in bicicletta e presto guiderà le prime automobili. Una volta vola addirittura in mongolfiera e per questo la soprannomineranno ‘la principessa volante’. È un’acquarellista, ama viaggiare e cura il suo giardino con molta passione, ma soprattutto è una donna inquieta, che scalpita per il desiderio di uscire dai ruoli di donna, moglie e madre che le sono stati imposti. Dev’essere stato questo ad aver attratto Boccioni così potentemente”.Come avviene l’incontro tra i due?“Boccioni incontra per la prima volta Vittoria durante un pranzo a Villa San Remigio. Conosce già un pochino la sua storia, ma chi vede davanti a sé è una bella, bellissima donna di 35 anni, viva, curiosa, spigliata. Quella sera stessa in una lettera al marito lei descriverà Boccioni come un ragazzo estremamente allegro, gentile e intelligente, che al contrario di Busoni ha anche una grande umiltà nel modo di porsi… un'umiltà d'artista, un’autentica curiosità verso gli altri”, “Per una settimana Boccioni e Vittoria si frequentano quotidianamente in compagnia dei marchesi e di Busoni. Poi, in una serata di luna piena, lei lo invita a cenare in giardino, a casa sua. L’attrazione è fortissima per entrambi. Il giorno dopo Boccioni parte. Tornerà direttamente sull’isola, dove i due trascorreranno un paio di settimane in completa solitudine, incuranti dei pettegolezzi che si stanno sollevando intorno a loro. Quando Boccioni è richiamato al fronte, inizia uno scambio di lettere fitto e appassionato. Lui le racconta tantissime cose di sé e parla anche di Onorato, il figlio di Vittoria: è un ragazzo straordinario, scrive, ‘il perfetto ragazzo futurista’ perché pensa senza schemi precostituiti, corre, si rotola sull'erba, è dotato di una spontaneità straordinaria… Tra l’adolescente e l’artista è nato un rapporto di grande tenerezza”.Umberto Boccioni e Ferruccio Busoni all'Isolino di San Giovanni | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaPensi che Boccioni abbia visto in questa relazione una scorciatoia per affermarsi come artista?“So che secondo alcuni Boccioni sarebbe stato attratto soprattutto dal mondo di privilegi che Vittoria incarnava, ma le mie ricerche mi portano a escluderlo. Non credo volesse sfruttare la situazione per il suo successo personale”. Nelle sue lettere Boccioni racconta a Vittoria quello che sta facendo in campo artistico?“Vittoria è una persona colta che ha viaggiato molto, ha visitato le mostre delle avanguardie e conosce benissimo il lavoro dei futuristi. Sono sicura che con Umberto abbiano parlato molto di arte. A questo proposito c’è un aneddoto che mi piace ricordare. Nella sua casa sull’isola Vittoria stava per costruire un pollaio. Boccioni fece di tutto per convincerla a creare un pollaio futurista dipinto con i colori primari… Ne disegnò addirittura il progetto”. Qual è il cemento di questo amore?“Quello tra Umberto e Vittoria è soprattutto un incontro di anime in un momento di grande cambiamento. Due persone solitamente ingabbiate nei loro rispettivi ruoli - lei una principessa di Roma, lui un artista geniale ma povero, che non si sente abbastanza riconosciuto - si ritrovano improvvisamente unite in una dimensione quasi irreale, su una piccola isola sul Lago Maggiore, tra gli echi di mondi nuovi e diversi. Questa guerra così crudele, che stava spazzando via tutto quello che era stato il mondo fino ad allora, faceva anche intravedere l’idea che un individuo potesse essere l’agente principale del proprio destino. È una sensazione che si avverte sia nelle lettere di Boccioni che in quelle di Vittoria”. Ma a un certo punto Boccioni non riceve più le lettere dell’amata… Che cosa è successo?“Il Lago Maggiore era un luogo estremamente mondano: a dispetto della guerra in corso, lì si riuniva il gotha di tutta Europa, aristocrazia italiana compresa. Sarebbe molto ingenuo pensare che gli amanti dell’isolino siano passati inosservati. I pettegolezzi devono essere arrivati fino alle orecchie della duchessa Ada Caetani di Sermoneta, odiatissima suocera di Vittoria, che credo ci abbia messo lo zampino. Boccioni continua a scrivere, e anche Vittoria, ma le sue risposte non arrivano a destinazione. È probabile che le lettere siano intercettate e bloccate”.Ritratto di Vittoria Colonna | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaCome reagisce Boccioni?“Umberto è preoccupatissimo, disperato. Non riesce a spiegarsi questo silenzio. Pur non essendo un cavallerizzo, ogni giorno percorre anche 25 chilometri a cavallo per distrarsi dall’ansia. Il cavallo assume per lui un significato metaforico.  Oltre al nome, Vermiglio, che riporta a un colore che gli è caro, c’è l'idea di un animale nobile, maestoso, un animale che fino a poco tempo prima - cioè fino all'avvento delle automobili - era stato un simbolo di privilegio, un simbolo dell’ambiente da cui proviene Vittoria. Cavalcare significa in qualche modo sentirsi vicino a lei. Il cavallo diventa così la speranza e la perdizione di Boccioni”. Anche nel carteggio Vittoria e Umberto si ripromettono di fare insieme grandi cavalcate… Ha senso per loro parlare di futuro?“Le lettere tra Boccioni e Vittoria parlano molto del futuro, nonostante il loro amore fosse reso possibile solo dalla guerra, che spingeva ognuno ad aggrapparsi a qualsiasi brandello di felicità. Vittoria gli dice: ti porterò a vedere i possedimenti Caetani, ti porterò a Ninfa, a Sermoneta… Tessono il ricamo di una vita ideale a cui forse entrambi sanno di non poter accedere, ma che in quel momento è una zattera di salvataggio”.   A un certo punto Boccioni viene richiamato a Verona nel 29° Reggimento di Artiglieria. Che cosa è successo quel fatidico 16 agosto?“Da troppi giorni Boccioni non riceveva risposte alle sue lettere, era in uno stato di grande ansia. Lo leggiamo in una missiva del suo amico Piccoli ritrovata nel baule di Palazzo Caetani, che racconta come una cronaca giornalistica l’ultimo giorno di vita dell’artista. Il 16 agosto, dopo una lunga giornata a cavallo, Boccioni chiede ancora una volta il permesso di prendere Vermiglio e alle sette di sera parte per una nuova passeggiata. Il suo sergente lo accompagna. A un certo punto il cavallo impazzisce e inizia a correre. Umberto cade, sbatte la testa e dopo poche ore è morto. Era spossato dalla disperazione al punto da non riuscire a reggersi in sella? È stato un suicidio? C’era un desiderio di morte dietro questa cavalcata serale fuori dal regolamento? Non lo sapremo mai”.Marella Caracciolo Chia, Una parentesi luminosa. L'amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Adelphi, 2008In che modo Vittoria apprende la notizia della morte di Umberto?“Vittoria scriveva regolarmente al marito che era al fronte e anche queste lettere sono state conservate nel baule. Averle a disposizione mi ha aiutata moltissimo a ricostruire queste settimane d’amore e di tragedia. Pochi giorni dopo la morte di Boccioni, in una lettera molto sincera lei racconta che ha appena appreso la notizia dal trafiletto di un giornale. Disperata, riempie cesti e cesti di fiori del suo giardino e parte immediatamente per Milano. Nello studio di Boccioni trova la sorella e la vecchia madre che ancora non sa cosa è successo.  È lì nel momento spaventoso in cui le danno la notizia della morte del figlio.  Il suo racconto è molto emozionante: Vittoria scrive di non aver mai conosciuto fino ad allora la reale portata del dolore umano. Rimane con la famiglia di Boccioni per un paio giorni, vivendo il dramma fino in fondo. Sistema i fiori dell’isolino sulle sculture, sui tavoli, nei vasi. Molti avranno visto le fotografie scattate più tardi nello studio, dove ci sono i gessi che raccontano i progetti di Boccioni, ma i fiori ormai secchi, spettrali, quel che resta di un grande amore”. Boccioni aveva avuto tante relazioni, nessuna stabile…  Questa volta invece sembra abbia trovato l’amore della sua vita. È veramente così?“Dalle lettere emerge una profonda intesa emotiva, intellettuale, estetica che non credo lui mai abbia provato prima. Sin da subito quello con Vittoria è un amore che va oltre i luoghi comuni. Grazie alla corrente fortissima che si crea tra di loro, entrambi escono dai rispettivi ruoli per essere finalmente se stessi di fronte all’altro. Anche nell’arte, in questo periodo Boccioni guarda le cose con occhio più fresco e limpido: lo notiamo nei quadri che dipinge sul lago, non solo il ritratto di Busoni, ma anche quello della moglie del pianista e alcuni paesaggi”. Il ritratto di Busoni non è un quadro futurista, sembra di essere tornati a in un linguaggio più pacato e vicino alla realtà… L’ondata futurista si è esaurita? “La guerra ha distrutto l'illusione ottimistica di un mondo che corre verso un futuro sfavillante sulle ali della tecnologia. C’è stato quello che viene definito un rappel à l'ordre. A questo proposito mi piace ricordare una frase di Guillaume Apollinaire, il grande poeta che conobbe Boccioni all'inizio della carriera e che morì solo un anno dopo di lui, falciato dall’influenza spagnola. Anche Apollinaire aveva fatto l’esperienza del fronte, della fine degli ideali. Rivolgendosi alle generazioni future, dice “siate indulgenti con noi in perenne sospensione tra l'ordine e l'avventura”. L'amore tra Vittoria e Boccioni è figlio di quest’epoca di mezzo, in bilico tra le certezze di prima e l’ordine a venire: solo in questo breve e incredibile spicchio di tempo poteva fiorire un’avventura così speciale”.
Umberto Boccioni, Ritratto del Maestro Busoni, 1916, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea Leggi anche:• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Artemisia e Napoli. Una mostra getta nuova luce sui legami tra l’artista e la città

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Nell’estate del 1630 Artemisia Gentileschi da Venezia giungeva a Napoli, capitale del vicereame spagnolo, ma soprattutto seconda metropoli europea per abitanti dopo Parigi. A 19 anni dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi, con il conseguente processo che tante ripercussioni ebbe sulla sua vita e la sua pittura, la pittrice romana dal talento precoce faceva il suo ingresso nella città del Vesuvio che conservava ancora traccia del grandissimo fervore artistico di Caravaggio, Annibale Carracci, Simon Vouet. Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615-17, olio su tela, 71 x 71.5 cm | © The National Gallery, LondonA tre secoli da quel soggiorno Gentileschi torna in città grazie a una mostra che, dal 3 dicembre al 20 marzo, porterà alle Gallerie d’Italia di Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, una selezione di circa cinquanta opere - delle quali 21 della sola Artemisia - provenienti da raccolte pubbliche e private, italiane ed internazionali. Il percorso, intitolato Artemisia Gentileschi a Napoli, a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio, e che vede come specialist advisor Gabriele Finaldi, oltre a essere un affascinante viaggio negli anni napoletani della pittrice - tra il 1630 e il 1654, interrotti solo da una parentesi londinese tra la primavera del 1638 e quella del 1640 - è soprattutto un’occasione per conoscere l’aggiornamento degli studi scientifici sull’argomento. A precedere la realizzazione della mostra è stata infatti un’intensa attività di indagine scientifica e di ricerca archivistica che ha restituito nuovo e importante materiale per fare luce sulla biografia di Artemisia. Adesso risultano più chiare le circostanze del suo arrivo a Napoli, nel 1630, direttamente da Venezia. Gli studi hanno inoltre permesso di far luce sugli anni estremi della pittrice, caratterizzati da difficoltà economiche, e sulla vicenda privata che riguarda il concubinato della figlia Prudenzia Palmira e il matrimonio riparatore seguito alla nascita del nipote Biagio, nel 1649. Il percorso napoletano consentirà al pubblico di saperne di più anche sul ruolo della committenza vicereale e borghese, quindi sulle relazioni tra Artemisia e le accademie letterarie, che già in vita contribuirono ad accrescerne la fama. Per questo il catalogo della mostra, realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira, che vede la partecipazione di curatori e studiosi di rilievo internazionale, diventa uno strumento fondamentale anche per il prosieguo degli studi, grazie a un accurato regesto documentario. Alle opere realizzate dalla signora della pittura seicentesca il percorso a Napoli affiancherà lavori eseguiti da artisti di primo piano, a lei strettamente collegati, attivi nella città campana negli stessi anni della pittrice, come Massimo Stanzione, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro, Paolo Finoglio, o “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, ora riscoperta, e anche lei vittima - secondo un’antica tradizione tuttavia inattendibile - della violenza di genere. La parabola napoletana della “pittora” con i suoi vertici e i suoi aspetti ancora problematici si compie nel percorso attraverso capolavori come la giovanile Santa Caterina d’Alessandria, acquisita di recente dalla National Gallery di Londra, e antefatto della mostra, e ancora Santa Caterina del Nationalmuseum di Stoccolma o la Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne del Nasjonalmuseet di Oslo. Artemisia Gentileschi, Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne, 1639-1640, Oslo, National Museum | Courtesy National MuseumTra le grandi e rare commissioni pubbliche della pittrice la mostra sfodererà l’Annunciazione di Capodimonte, e due delle tre monumentali tele dipinte tra il 1635 e il 1637 per il coro della cattedrale di Pozzuoli, il San Gennaro nell’anfiteatro e i Santi Procolo e Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione. La mostra alle Gallerie d’Italia di via Toledo nasce come approfondimento della monografica che la National Gallery di Londra ha dedicato all’artista nel 2020 e prevede, tra le attività collaterali, un importante convegno internazionale di studi. La mostra si potrà visitare, a partire dal 3 dicembre, da martedì a venerdì dalle 10 alle 19, sabato e domenica dalle 10 alle 20. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Leggi anche:• A Napoli l'inverno è di Artemisia• Un nuovo dipinto di Artemisia entra nella collezione del National Museum di Oslo

Escher, maestro di meraviglia, in mostra a Firenze

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“Lo stupore è il sale della terra” diceva Maurits Cornelis Escher, l’incisore più amato del XX secolo. E infatti il tripudio di sfere riflettenti, geometrie impossibili e universi fantastici che avvolgono d’incanto il complesso monumentale progettato da Filippo Brunelleschi, sede del Museo degli Innocenti, è davvero un colpo d’occhio che produce meraviglia. Dal 20 ottobre al 26 marzo l’artista olandese sarà a Firenze con circa 200 opere al centro di otto sezioni - una delle quali dedicata al viaggio in Italia e alla Toscana, dove tenne, nel 1923, la sua prima mostra personale - che proiettano i visitatori in quei suoi mondi immaginifici e impossibili che fondono scienza e natura, il magico e il matematico, il rigore analitico e la capacità contemplativa, e ancora arte, matematica, scienza, fisica, design. Maurits Cornelis Escher, San Gimignano, 1923, Xilografia, 49.3 x 28.9 cm, Collezione Maurits, Bolzano All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.comIl primo approdo dell’artista in città era stato nel 1921, in occasione di una vacanza con i genitori durante la quale era rimasto a tal punto affascinato da ritornare in Toscana l’anno dopo in compagnia di alcuni amici. E fu dai luoghi toscani e dalla bellezza selvaggia dei paesaggi del centro e sud della penisola che Escher trovò ispirazione per le sue opere. L’antologica pronta ad aprire i battenti domani a Firenze sfoglia i lavori più rappresentativi che lo hanno reso celebre in tutto il mondo raccontando il genio dell’artista olandese attraverso le opere più iconiche della sua produzione, da Mano con sfera riflettente (1935) a Vincolo d’unione (1956), da Metamorfosi II (1939) a Giorno e notte (1938).Nel museo nato per esporre le opere d’arte dell’antico Spedale, grande centro d’accoglienza per bambini, trasformato in un percorso che permette di scoprire un patrimonio culturale profondamente legato all’attività svolta in favore dei piccoli che non potevano essere cresciuti dalle famiglie d’origine, e che accoglie capolavori di artisti quali Domenico Ghirlandaio, Luca e Andrea della Robbia, Sandro Botticelli, le opere di Escher ammaliano. Maurits Cornelis Escher, Vincolo d’unione, 1956, Litografia, 33.9 x 25.3 cm, Collezione Maurits, Bolzano, All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.comDai primi lavori ispirati all’Art Nouveau all’ “Eschermania” con l’influenza esercitata dall’artista sui pittori contemporanei e artisti digitali, il viaggio alla scoperta del genio prosegue in mostra con i viaggi in Italia che gli consentirono di ampliare i suoi orizzonti artistici.In questo universo nel quale gli uccelli si tramutano gradualmente in pesci e una lucertola diventa la cella di un alveare figurano anche elementi antitetici ma complementari, come il giorno e la notte o il bene e il male, che, in una stessa composizione, intrecciano gli opposti. Il pubblico procede attraverso architetture e composizioni geometriche caratterizzate da aberrazioni prospettiche, costruzioni impossibili frutto un dialogo con matematici e cristallografi, illusioni ottiche, la rappresentazione dell’infinito. Una sezione della mostra curata da Mark Veldhuysen, CEO della M.C. Escher Company, e da Federico Giudiceandrea, attraverso opere come Ascesa e discesa, Belvedere, Cascata, Galleria di stampe e Relatività, analizza come Escher abbia cercato di forzare oltre ogni limite la rappresentazione di situazioni impossibili, ma concrete all’apparenza. Eppure, nonostante tutto, la fama gli giunse tardi, anzi solo negli ultimi anni di vita. Maurits Cornelis Escher, Cascata, 1961, Litografia, 32 x 30 cm, Collezione privata, Italia | All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company | All rights reserved www.mcescher.comAllora per sbarcare il lunario si dedicava spesso a lavori su commissione, progetti modesti, come la realizzazione di semplici biglietti di auguri e di etichette decorate che venivano applicate sui libri per indicarne il proprietario. Eseguì anche commesse pubbliche come la progettazione di banconote e francobolli. Nel 1967 eseguì un’incisione di ben sette metri intitolata Metamorfosi III destinata all’ufficio postale dell’Aia, nei Paesi Bassi: un’opera che oggi è considerata uno dei suoi capolavori. Patrocinata dal Comune di Firenze, dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M. C. Escher Foundation, Maurits e In Your Event. Leggi anche:• Escher

Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galerie Bernheim-Jeune (vendendo un solo quadro)

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Il 7 febbraio del 1912 nelle sale della Galerie Bernheim-Jeune di Parigi, 35 opere di Boccioni, Carrà, Severini e Russolo presentavano alla effervescente Ville Lumière l’astro nascente del Futurismo.
L'Europa intera accorse ad assistere a questa mostra nella galleria di Joss e Gaston Bernheim-Jeune, che solo undici anni prima, nel 1901, aveva accolto la prima mostra di Van Gogh, nel 1906 quella di Bonnart e Viallard, e nel 1907 i dipinti di Cézanne e Cross. C'erano i compatrioti degli artisti venuti a sostenere rumorosamente i dipinti e c'erano i colleghi francesi incerti se ridere o piangere, donne di mondo del tutto inconsapevoli dei contenuti dei capolavori esposti.
E c’era soprattutto la critica francese tutta che gridò allo scandalo, accusando i futuristi di volere rinnegare il passato con la loro pittura "odiosa, incompleta, incompresa". Solo i critici anglosassoni trovarono il coraggioso evento alla Bernheim-Jeune la mostra di pittura più bella del mondo.
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it “Parigi non era pronta è la frase che ricorre spesso in molti articoli di quegli anni. La critica francese non ha capito la pittura futurista o non l’ha accettata. Le parole che, nella maggior parte degli articoli sono state utilizzate in occasione di quella mostra potevano andare da questa pittura è odiosa, incompleta, incompresa, un mix tra Cubismo e Futurismo, a dove va la pittura? Vorrebbero distruggere il passato ma farebbero bene a lasciarsi ispirare. Per loro la pittura futurista non andava da nessuna parte, non era altro che un grande circo. Non è però il caso di tutta la critica, dal momento che i critici anglosassoni la considerarono la mostra di pittura più bella del mondo”. Quella di Floriane D’Auberville, pronipote del gallerista francese Josse Bernheim-Jeune, è una delle autorevoli testimonianze che impreziosiscono il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ITsART a partire da oggi, 19 ottobre, giorno in cui, 140 anni fa, nasceva l’artista che abbracciava la rivoluzione di Marinetti traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa.Floriane D’Auberville in Formidabile Boccioni | © ARTE.it Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, FORMIDABILE BOCCIONI  è una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, che ripercorre la vita e le opere dell’artista futurista attraverso interviste esclusive ai massimi esperti, ai collezionisti e ai direttori dei più importanti musei che custodiscono i suoi capolavori. E tra le date importanti per l'artista nato a Reggio Calabria, divenuto pittore seguendo un percorso non convenzionale, figura anche quel 7 febbraio del 1912 quando, esponendo per la prima volta a Parigi, in occasione della mostra alla Galerie Bernheim-Jeune, opere come La città che sale e La risata, Umberto Boccioni destò scandalo in tutta Europa scontrandosi con Picasso e i Cubisti.Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York Certo, quella di presentare in una mostra, per la prima volta, artisti come i futuristi, sconosciuti in quegli anni ai più, fu una scelta molto coraggiosa da parte dei lungimiranti Josse e Gaston Bernheim-Jeune. “In un certo senso - racconta Floriane D’Auberville - quella di esporre in galleria artisti come i Futuristi che non erano assolutamente conosciuti a Parigi è stata in un certo senso una follia. Nessuno conosceva i dipinti dei Futuristi, anche se le loro teorie erano già arrivate alle orecchie dei parigini. Marinetti era conosciuto non per la sua pittura, ma per il Manifesto che aveva pubblicato su Le Figaro nel 1909. Sicuramente l'aver scelto una galleria già molto nota per Marinetti fu un punto di forza. Poteva dimostrare che i futuristi meritavano una grande sede per la loro prima mostra. Questa prima esposizione è la prova della spinta che Josse e Gaston hanno voluto dare ai futuristi. Sceglievano sempre artisti nei quali riponevano la loro fiducia, artisti che amavano e la cui pittura li colpiva. Per esempio di Cézanne - pittore che non veniva compreso, che veniva deriso dalla gente - i miei bisnonni organizzarono mostre e pubblicarono il primo libro al mondo a lui dedicato. Allora tutti risero. Accadde un po’ la stessa cosa per i futuristi. Nessuno ha creduto in noi per questa mostra, ma Josse e Gaston hanno intravisto questa scintilla”. La Parigi alla fine del XX secolo, del XIX e di metà Ottocento era ancora la capitale dell'arte. Era una città romantica dalla grande storia culturale, pervasa da una certa effervescenza. Era la meta ambiziosa di tutti gli artisti del mondo. Ma era anche una città che poteva essere spietata, dove i critici potevano elogiarti o distruggere il tuo lavoro. Se le avanguardie come Picasso incontrarono il loro successo con il Cubismo, altri pennelli come quelli di Marcel Duchamp potevano vedere il loro lavoro completamente distrutto e rifiutato ai Salon. Umberto Boccioni, La Risata, 1911 | © New York, Museum of Modern Art, Dono di Herbert e Nannette Rotschild“Come ogni artista che esponeva a Parigi - continua D’Auberville - anche per Boccioni giungere nella città francese è stata una sfida. Venire dicendo non ho paura era da folli perché i critici ti aspettavano all'angolo della strada per distruggere il tuo lavoro se non gli piaceva. Credo che già intorno al 1911 Boccioni avesse fatto un viaggio con Carrà per vedere le opere cubiste. E a quell’epoca ha sicuramente avuto modo di incontrare Picasso che dal 1907 era noto grazie al suo dipinto delle Demoiselles d'Avignon che aveva avuto un forte impatto segnando il punto di partenza del Cubismo. Queste opere sono state essenziali segnando inevitabilmente la visione dell'arte di Boccioni”. Eppure Boccioni, nella mostra del 1912 alla Galleria Bernheim-Jeune non vendette nemmeno un quadro. Anzi, una tela in quell'occasione fu venduta, ma non recava la sua firma. “Le 35 opere che sono state esposte nel 1912 - continua Floriane D’Auberville - non sono entrate nelle scorte di Bernheim-Jeune, quindi non ho registrazioni contabili di ciò che è stato venduto, riacquistato o di eventuali transazioni. Tuttavia facendo delle ricerche mi sono imbattuta in un buono acquisto di un'opera che sarebbe stata venduta proprio durante la mostra. Si chiamava Souvenirs de voyage ed era di Severini. Non so se ve ne siano state altre”. Gino Severini, 1911, Souvenirs de voyage, Olio su tela, 75 × 47 cm, Collezione privata E Giacomo Balla? A quanto pare risulta il grande assente di quel fatidico appuntamento, con un quadro che a Parigi non è mai giunto. “Il dipinto di Balla è stato scritto, il titolo compare nel catalogo della mostra del 1912, ma l’opera non è stata esposta. A tal proposito ci sono diverse teorie. La nostra è che Balla non riteneva che la sua pittura fosse sufficientemente realizzata per presentarla e accostarla a quella dei suoi compatrioti. Sarebbe stato lui a decidere di ritirarla dal momento che noi abbiamo pubblicato il nome di questo artista più il titolo della sua opera. Non vedo Bernheim-Jeune ritirare un quadro, non era nostra abitudine visto che accettare un pittore, significa accettiamo il suo lavoro. Non ho testi di corrispondenza che possano confutare o provare questa ipotesi, ma è quella che spesso discutiamo tra noi a Bernheim-Jeune”. Nel 1925 la Bernheim-Jeune ha cambiato edificio, trasferendosi al Faubourg Saint-Honoré Avenue Matignon in locali più grandi e, dieci anni dopo, nel 1935, ha ospitato una seconda mostra futurista con artisti che hanno presentato 159 opere. Marinetti ha concesso alla galleria il privilegio di scrivere un testo per il catalogo. Questa è stata l'ultima mostra futurista ospitata dalla presigiosa galleria parigina che scommise sull'arte d'avanguardia.Galerie Bernheim Jeune, Paris Madeleine Leggi anche:• FORMIDABILE BOCCIONI. Il genio futurista in un docufilm• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

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A Parigi, nel 1912, critici e artisti lo snobbarono senza pietà. Per Umberto Boccioni il debutto alla Galleria Barnheim-Jeune fu una giostra di emozioni violente: qualcuno rise, giudicando i suoi dipinti già superati, altri gridarono allo scandalo, altri ancora seguirono con curiosità le gesta di quell’italiano eccentrico e un po’ vanesio, fuori posto negli ambienti bohémien dell’avanguardia. Per i critici britannici, al contrario, fu amore a prima vista: la prima uscita internazionale dei futuristi fu descritta dalla stampa inglese come “la mostra più bella del mondo”. Poi venne Peggy Guggenheim, con il suo infallibile fiuto e lo spirito ribelle: nel ’58, quando in Italia il Futurismo scontava ancora i legami con il regime fascista, la mecenate e collezionista americana acquistò con convinzione la scultura Dinamismo di un cavallo in corsa + case, felice di infrangere le regole proprio come Boccioni. La strada verso l’America era ormai spianata, e non è un caso che diversi capolavori del maestro futurista abbiano trovato casa in musei e collezioni internazionali. Dal 19 ottobre, 140° anniversario della nascita dell’artista, avremo modo di ammirarli comodamente da casa nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura e disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. Nel frattempo, ecco una panoramica delle più belle opere di Boccioni conservate all’estero.Umberto Boccioni, Campagna romana o meriggio, 1903, Olio su tela. MASI, Collezione della Città di Lugano Al MASI di Lugano, il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, troviamo il primo dipinto a olio del genio in erba: si intitola Campagna romana o meriggio ed è datato 1903. Umberto ha solo 21 anni quando realizza questa tela: vive a Roma da poco e, con l’amico Gino Severini, frequenta lo studio del maestro Giacomo Balla. Il paesaggio del MASI è perfetto ma non ha nulla di rivoluzionario, piuttosto svela le basi del linguaggio di Boccioni, che farà tesoro della lezione divisionista per scuotere dalle fondamenta la pittura italiana. La strada entra nella casa del 1911 è conservato presso lo Sprengel Museum di Hannover. Da un turbine di forme e colori emerge in primo piano la figura di una donna di spalle, appoggiata alla ringhiera di un balcone di Milano, dove l’artista si è trasferito. “La sensazione dominante”, scrive Boccioni, “è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non deve limitarsi a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone”. Palazzi, strade e cantieri si fondono nel vortice della visione futurista, talmente potente da riuscire a piegarne i contorni.Umberto Boccioni, La strada entra nella casa, 1911, Sprengel Museum, Hannover Sempre in Germania, al Von der Heydt-Museum di Wuppertal, possiamo ammirare Visioni simultanee (1912), quasi uno sviluppo del dipinto di Hannover: qui l’artista invita a osservare la strada dall’alto verso il basso, in una prospettiva che dà le vertigini. L’azione si svolge su piani sovrapposti e la deformazione dello spazio è ancora più radicale: gli edifici si curvano e si scompongono, come le figure catturate in strada e il corpo della donna che si sporge verso il vuoto. Si trova invece a Londra, presso la Estorick Collection, l’olio su tavola Idolo moderno, icona della nuova bellezza futurista. Bando alle Veneri del passato: in questo quadro, racconta lo storico dell’arte Niccolò D’Agati, la donna ideale è una cocotte dal cappello appariscente, che si ferma davanti a una vetrina colorandosi il volto di elettrica luce blu. “Ai primi tempi dell’Impressionismo il violetto era accettato per i prati, i cieli, i boschi… Guai a vederli sul viso, sulle braccia, sul seno di una donna bella”, scrive Boccioni orgoglioso della sua trasgressione.Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York  Se al Metropolitan Museum of Art di New York abbiamo un saggio degli anni giovanili di Boccioni con due autoritratti (1904, 1905) e la guache Giovane sulla sponda del fiume (1902), al MoMa ne riviviamo la stagione più feconda attraverso alcuni celebri capolavori. La città che sale del 1910 “è forse l’opera più eroica di Boccioni per la tensione e la volontà di andare oltre le forme pittoriche tradizionali”, osserva la storica dell’arte Esther Coen. L’artista stesso definisce “titanico” questo dipinto di grandi dimensioni, che attrae lo sguardo dello spettatore verso il centro della tela con “una palla di fuoco rossa, rutilante” e un cavallo che muove l’intera composizione. Colori accesi e pennellate cariche di energia dipingono con vibrante dinamismo il paesaggio di un cantiere alla periferia di Milano, la città moderna che si espande e ascende verso il cielo. Sempre al Museum of Modern Arts di New York La risata trasferisce sulla tela un’emozione universale, mentre la vita notturna della metropoli batte il ritmo sulla tela. È ormai il 1912 quando Boccioni termina questo dipinto, e il suo linguaggio è maturato ulteriormente anche grazie al soggiorno parigino, che gli ha dato modo di conoscere Picasso e i cubisti. Lo testimoniano i piani scomposti e la visione degli stessi soggetti ripresi da diverse angolazioni, mentre i colori accesi e il movimento impresso all’insieme restituiscono i suoni di un riso gioioso, euforico, quasi delirante. Grande fu il clamore che accolse questo quadro all’Esposizione d’Arte Libera di Milano, dove un visitatore espresse il proprio disappunto sfregiando il dipinto. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che partono, 1912, Museum of Modern Art, New York La ricerca di Boccioni sulle emozioni umane prosegue nella serie degli Stati d’animo, che ammiriamo al MoMa nella seconda versione (1912), probabilmente la più riuscita. Ambientata in una stazione ferroviaria, l’opera si compone di tre dipinti: Quelli che partono, Quelli che restano e Gli addii. Anche qui si avverte l’eco del recente incontro con il Cubismo, che Boccioni rielabora in modo alquanto personale. In Quelli che partono le linee oblique della velocità tagliano i volti dei viaggiatori, mentre il blu ne esprime la malinconia. In Quelli che restano, al contrario, l’immagine degli accompagnatori in piedi sul binario è rafforzata da linee verticali e sulla tela domina il verde, che nel vocabolario dell’artista è il colore dell’abbandono. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1912, Museum of Modern Art, New YorkGli addii rappresenta i saluti e gli abbracci che precedono il distacco: le linee sono circolari, i colori vividi, un vortice di rossi, verdi e azzurri interrotto dal fumo bianco della locomotiva. L’accoglienza, inutile dirlo, fu tutt’altro che tranquilla: la stampa francese gridò allo scandalo, l’arte di Boccioni restava incomprensibile ai più. Il poeta Guillaume Apollinaire, dopo aver visto gli Stati d’animo, seppe dire soltanto: “Ho incontrato un artista che sta lavorando sul tema delle stazioni”.Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1912, Museum of Modern Art, New YorkAl Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile si trova infine il gesso di Forme Uniche della Continuità nello Spazio (1913), unica testimonianza autografa del capolavoro scultoreo di Boccioni. “Ossessionato dalla scultura” per sua stessa ammissione, dal 1912 il maestro futurista si dedicò anima e corpo al rinnovamento di quella che considerava ormai “un’arte mummificata”. In Forme Uniche reinterpreta in chiave futurista il tema classico dell’uomo che cammina, cercando con geniale intuizione una rappresentazione sintetica, intuitiva e immediata del movimento. Immagine a tre dimensioni dell’umanità nuova preconizzata da Marinetti – il “novello Icaro, metà uomo e metà macchina” – la scultura di Boccioni proclama “l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa”: la figura “si spalanca” e accoglie in sé lo spazio circostante, in una competrazione dinamica tra oggetto e ambiente. La fusione in bronzo di Forme Uniche non fu mai realizzata mentre Boccioni era in vita: le sculture in metallo esposte al MoMa e al MET di New York, al Museo del Novecento di Milano e alla Tate Modern di Londra sono datate tra il 1931 e il 1972, mentre altri gessi sono andati perduti in circostanze misteriose. Lo scopriremo dal 19 ottobre su ITsART nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, insieme ad altre storie, curiosità e testimonianze eccellenti intorno al genio del Futurismo. Leggi anche: • "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm inedito• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

Romantici o Scapigliati? 70 gradi dipinti raccontano l’Ottocento milanese

133701 Bossoli C   La commemorazione dei Caduti nelle Cinque Giornate tenuta in Piazza del Duomo il 6 aprile 1848 tempera su carta riportata su tela 71 5 x 100 5 cm

Una full immersion nelle atmosfere Ottocento, inseguendo le trasformazioni dell’arte in un secolo denso di eventi e passioni: è l’esperienza che attende i visitatori della mostra Milano da romantica a scapigliata, in arrivo al Castello Visconteo Sforzesco di Novara. Dal prossimo 22 ottobre fino al 12 marzo 2023, oltre 70 capolavori restituiranno tappe e suggestioni di una stagione tumultuosa che ebbe come epicentro Milano, laboratorio sociale e culturale d’avanguardia nella penisola. Sotto la lente della curatrice Elisabetta Chiodini e del comitato scientifico composto da Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca e Sergio Rebora, c'è il periodo compreso tra il secondo e il penultimo decennio del XIX secolo, che in Lombardia vide susseguirsi la caduta del regno napoleonico, il ritorno della dominazione austriaca, le rivolte popolari e le Guerre di Indipendenza, fino alla liberazione del ’59.  Nel corso di otto decenni, in campo artistico le istanze del Romanticismo - legato a doppio filo con l’avventura risorgimentale - sfumano nella Scapigliatura, la bohéme milanese dallo spirito ribelle. Gerolamo Induno, La fidanzata del Garibaldino, 1871, olio su tela, 65 x 85 cm. Collezione privataA Novara rivivremo questo passaggio cruciale nei dipinti di maestri come Francesco Hayez, Angelo Inganni, Giuseppe Molteni, i fratelli Domenico e Gerolamo Induno, Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni. Concepito come un viaggio nel tempo in otto capitoli, l’allestimento si sofferma sui temi, gli eventi e i fenomeni più significativi di questo periodo, come i moti del Risorgimento, cui è dedicata un’intera sezione, o i paesaggi urbani di Giovanni Migliara e Giuseppe Canella, interpreti di un filone oggi non troppo famoso, ma allora sulla cresta dell'onda. Giovanni Migliara, Veduta di piazza del Duomo in Milano, 1828 circa, olio su tela, 47 x 61 cm. Collezione Fondazione CariploTra i gioielli in mostra spicca il dipinto dedicato da Hayez alla vicenda di Imelda de’ Lambertazzi, un amore tragico all’epoca di gran moda: “La storia di Imelda Lambertazzi è divenuta a' dì nostri, come quella di Giulietta e Romeo, un argomento obbligato pei poeti e per gli artisti”, scriveva nel 1834 Giuseppe Sacchi, aggiungendo: “vedemmo un Hayez pingere i casi d’Imelda in mirabile tela”.Francesco Hayez, Imelda de Lambertazzi, 1853. Olio su tela. Collezione privataDopo una lunga pagina riservata ai protagonisti della pittura romantica, il panorama muta gradualmente: autori come Giovanni Carnovali detto il Piccio, Federico Faruffini, Filippo Carcano traghettano gli ambienti artistici milanesi verso un cambiamento che interesserà soggetti e atmosfere, ma anche le stesse modalità del dipingere, anticipando tendenze che proseguiranno nel Simbolismo e nel Divisionismo, e poi nelle avanguardie. Tranquillo Cremona, Melodia, 1874-78, olio su tela 115 x 129 cm. Collezione privataA raccontare questo momento al Castello Visconteo è una sfilata di capolavori di collezione privata firmati da protagonisti della Scapigliatura come Cremona, Ranzoni, Luigi Conconi e lo scultore Giuseppe Grandi. La vita quotidiana e la dimensione psicologica conquistano il centro della scena, sfumano i contorni, le pennellate si fanno morbide, quasi evanescenti, la luce rarefatta, e l’alba del moderno è sempre più vicina.Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874-78, olio su tela 112 x 128 cm. Collezione privata

Le opere di Boccioni da vedere in Italia

133631 Umberto Boccioni Rissa in galleria Pinacoteca di Brera

“La lezione di Boccioni è stata alla base della progettazione dei miei avveniristici edifici come il Guggenheim di Bilbao. Le linee rette delle mie costruzioni, nella tensione a fendere l’aria, si sono deformate, diventando arco, parabola, appunto traiettoria”. Parola di Frank Gehry. Anche se, l’archistar statunitense non è il primo dei moderni a essere stregato dall’arte del visionario Boccioni. Da anni, grazie all’impiego di digital animation e stampa in 3D, Matt Smith e Anders Rädén lavorano al progetto di ricostruire i gessi perduti del maestro, Forme uniche di continuità nello spazio, studiando da vicino le fotografie dell’epoca per entrare nella mente creativa dell’artista. Dopo la sua morte, a soli 34 anni, le sculture di Boccioni vengono distrutte, fatte a pezzi da un anonimo artista ‘passatista’. Quelle che ammiriamo nei più importanti musei del mondo sono riproduzioni in bronzo. Ma perché la scultura di Boccioni affascina ancora oggi così tanto il pubblico? Visionario, geniale, l'artista nato a Reggio Calabria non ha un luogo di origine, nessuna città gli appartiene. E lo stesso vale per i suoi capolavori immortali che oggi è possibile ammirare tra sale del Metropolitan Museum of Modern Art di New York, e in quelle dell’Estorick Collection di Londra, e, in Italia, al Museo del Novecento di Milano che vanta la più grande collezione pubblica del pittore.FORMIDABILE BOCCIONI, Docufilm 54', 2022 | Courtesy of ARTE.it Originals / .ITsArt / Rai CulturaSeguendo idealmente le opere, in ordine di apparizione all’interno del documentario inedito FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ItsART a partire dal 19 ottobre, data di nascita dell’artista, rintraccamo l’impronta dell’autorevole esponente del Futurismo nei musei italiani. Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, il documentario, una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura, snocciola le opere del primo attore del Futurismo, che dedicò l’intera esistenza a inventare un nuovo linguaggio contemporaneo capace di esprimere la modernità in pittura e in scultura. “Il Museo del Novecento di Milano - dichiara nel docufilm il direttore del Museo del Novecento, Gianfranco Maraniello - ha una collezione unica al mondo di opere d’arte futuriste dove il ruolo di Boccioni è portante. Il nuovo allestimento, arricchito dai capolavori della collezione Mattioli, tra cui alcune delle opere più significative dell’artista, rende ancora più completa e preziosa la Galleria dedicata al Futurismo”. Se lo Studio per la Risata del 1911 è patrimonio della Galleria Nazionale di Cosenza, e il bozzetto di La città sale del 1910 si trova alla Pinacoteca Brera, ecco dove ammirare da vicino la pittura di colui che sfidò secoli di immobilità, liberando una volta per tutte quest’arte dalle forme chiuse, e dalla bellezza classica. Rissa in Galleria (1910), Pinacoteca di Brera, Milano Dopo un periodo trascorso a Roma, deluso dal clima artistico della capitale dove i fermenti e le novità che si agitavano in Europa non trovavano alcuna risonanza, Boccioni nel 1906 decise di trasferirsi a Parigi. Inizia così un periodo di spostamenti, da un soggiorno in Russia al trasferimento a Milano, dove si stabilisce attratto dal nuovo spirito tecnologico che anima la città e dove stringe amicizia con i fondatori del movimento futurista, firmatari del primo Manifesto già nel 1909. In Rissa in galleria, dipinto nei mesi immediatamente successivi alla firma del Manifesto Tecnico della Pittura Futurista (1910), Boccioni esaspera la tecnica divisionista per studiare i movimenti della folla e dare vita a inediti effetti di luce e di dinamismo, accentuati dall’uso di vivacissimi colori complementari. Protagonista del quadro è una folla di persone che si accalca di fronte alla buvette di Gaspare Campari (divenuta in seguito "Gran Bar Zucca" nella Galleria Vittorio Emanuele II di Milano), per prendere parte a una zuffa tra due donne. Autoritratto, 1908, Pinacoteca di Brera, Milano In questa tela Boccioni si ritrae sul balcone di quella che nel 1908 era la sua abitazione di Via Castel Morrone, angolo via Goldoni. Il balcone domina il paesaggio della periferia milanese, Lo sfondo è caratterizzato da case in costruzione mentre si vede un treno percorrere il cavalcavia Acquabella, oggi demolito, anticipazione delle tematiche futuriste degli anni successivi. “Dal primo del mese mi trovo in casa di mamma, lontano da quell’antipaticissima padrona e mi trovo abbastanza bene. In quella casa ho finito l’autoritratto che mi lascia completamente indifferente”. Così scriveva il pittore il 13 maggio 1908 a proposito della sua opera. Meriggio. Officine di Porta romana, 1909-10, Galleria d’Italia, Milano Quando, nel 1907, Boccioni arriva a Milano porta avanti lo sviluppo del suo linguaggio espressivo. Con la crescita commerciale e industriale, con il suo evolversi in una metropoli moderna, la città è la cornice perfetta per accogliere la poetica futurista. In Officine a Porta Romana un’inedita inquadratura, dilatata in orizzontale, domina la scena nella quale sono evidenti le diagonali che conferiscono solidità alla struttura compositiva. L'esasperazione delle linee di fuga, nonché l'utilizzo della tecnica divisionista portata all'eccesso, rendono l'immagine fortemente dinamica.Lo spettatore è investito da questa esplosione di contrasti cromatici, nuclei di colore raggrumati pieni di energia e ai quali si sovrappongono fasci di luce discendente, bilanciati dai vapori opachi delle ciminiere che sbucano in lontananza. Questa spasmodica intensificazione cromatica caratterizza l’estrema fase divisionista di Boccioni e precede la prime scomposizioni della forma. Umberto Boccioni, Meriggio. Officine a Porta Romana, 1910, Olio su tela, 145 x 75 cm, Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d'Italia - Piazza Scala, MilanoForme Uniche della continuità dello spazio, 1913, Museo del Novecento, Milano Emblema del dinamismo impresso dalla nuova cultura futurista, quest’opera, gioiello del Museo del Novecento, è diventata un’icona universale, riprodotta in milioni di esemplari sulle monete da 20 centesimi di euro. L’opera, il cui originale è in gesso, è simbolo della produzione scultorea futurista dell’artista, finalizzata a riprodurre la velocità e la forza del dinamismo nell'arte. La copia in bronzo è stata prodotta solo dopo la scomparsa di Boccioni per volere di Filippo Tommaso Marinetti. L’idea non è semplicemente quella di rappresentare un uomo che cammina, ma di rendere una forma unica in un movimento che è quello della materia nella continuità spazio-temporale. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itTre donne, 1909-10, Gallerie d’Italia, Milano In questa tela, che segna l’esordio di Boccioni sulla scena milanese, l’artista ricorre alle figure della madre Cecilia, della sorella Amelia e della modella Ines per rappresentare le tre età della donna, trasformando, attraverso la luce, le tre figure statiche in un vortice dinamico che genera tra le donne legami affettivi. Seduta in posizione rilassata, il volto rigato dal tempo, il morbido chignon d’argento, la madre dell’artista, Cecilia Forlanini, sbuca da un triangolo immaginario, con sottili linee colorate che delineano il lungo e ampio vestito dove dominano le tinte verdi. Anche Amelia è sorridente. I raggi del sole si insinuano tra i capelli, il libro stretto alla mano sinistra, tra il bianco, il verde, l’azzurro, il blu e il rosa dell’abito, tratteggiati con pennellate decise e linee verticali. Un’espressione malinconica avvolge invece Ines, l’amata musa di Boccioni, dalla quale si allargano linee bianche che enfatizzano la fusione dei due corpi. Umberto Boccioni, Tre donne, 1809-1810, Olio su tela, Milano, Gallerie d'Italia - Piazza Scala, Collezione Intesa san PaoloStati d’animo (prima serie), 1911, Museo del Novecento, Milano Il Museo del Novecento conserva la prima versione del ciclo Stati d’animo, realizzato nel 1911. La seconda versione si trova oggi al MoMA. Il titolo Stati d’animo racchiude tre dipinti con i quali Boccioni ha voluto rappresentare i sentimenti delle persone che partono e che restano in una stazione ferroviaria. Addii è la tela che ritrae la confusione, nel momento in cui la gente si saluta abbracciandosi sui binari accanto alla locomotiva. Le linee sono circolari, i colori vivi. Il secondo dipinto è dedicato a Quelli che partono, i volti tagliati dalla velocità del movimento, con i toni del blu e dell’azzurro a trasmettere il senso di malinconia tipica di ogni partenza. Quelli che restano, soggetto del terzo dipinto, è un trionfo di linee verticali, a indicare le persone che rimangono sul binario, mentre il colore verde esprime lo stato d’animo dell’abbandono.Umberto Boccioni, Stati d'animo - Quelli che vanno, 1911, Olio su tela,  95.5 x 71cm | Courtesy of Museo del Novecento, Milano Materia, 1912 Museo del Novecento, MilanoMateria fa parte della collezione Gianni Mattioli, perla del percorso espositivo del Museo del Novecento. La tela raffigura, a figura intera, la madre dell'artista, seduta nella sua casa frontalmente, mentre dà le spalle a un balcone che domina il paesaggio urbano retrostante. Questa scelta contribuisce a fondere in un'unica “visione simultanea” la percezione ottica di due soggetti distinti, il paesaggio metropolitano e la madre dell'artista. Le mani della donna, incrociate e giganti, caratterizzano il fuoco del ritratto. Lo scenario urbano si integra perfettamente con la figura femminile. Un flusso di energia, creata dai colori, si diffonde in ogni direzione. L’opera vuole rappresentare il moto assoluto, la forza del moto insita nell’oggetto nella sua struttura organica, elementi che poi saranno trasferiti da Boccioni nella scultura per dare vita a un insieme polimaterico che contenga la sintesi tra la figura e il suo ambiente. Dinamismo di un cavallo in corsa + case, 1915, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia All’indomani della pubblicazione del suo Manifesto Tecnico della Scultura Futurista, l’11 aprile 1912, Umberto Boccioni si volse alla scultura. In piena linea con i presupposti estetici del documento che prevedevano, in una sola opera, l’impiego dil'artista associa legno, cartone e metallo parzialmente dipinti in un uso futurista dei piani, influenzato dal Cubismo di Pablo Picasso e Georges Braque. Boccioni ricorre all’immagine del cavallo per dimostrare come la qualità della percezione visiva generi l’illusione di una fusione di forme. Umberto Boccioni, Dinamismo di un cavallo in corsa + case, 1915, Guazzo, olio, legno, cartone, rame e ferro dipinto, 115 x 112.9 cm, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim | Courtesy Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)Elasticità, 1912 Museo del Novecento, Milano Considerata una delle opere più significative di Boccioni, Elasticità rappresenta il moto relativo dell’oggetto in un ambiente fluido. Nell’opera è possibile cogliere tutti gli elementi figurativi tipici della pittura futurista: il moto del cavallo in primo piano e i rimandi al progresso con lo scorcio sulle fabbriche in lontananza. Umberto Boccioni, Elasticità, 1912, Olio su tela, 100 × 100 cm | Courtesy of Museo del Novecento, MilanoSviluppo di una bottiglia nello spazio, 1913, Museo del Novecento, Milano Nell’opera è presente una bottiglia poggiata su un piatto. Le due figure formano una natura morta con la quale l'artista restituisce il gioco dinamico che sta alla base dei suoi lavori attraverso una visione vorticosa dei due elementi, dando movimento al tutto. Oltre all'esemplare fuso nel 1935 dal gesso originale e oggi esposto a Milano, ne esistono altri quattro, fusi in diversi momenti. Ritratto antigrazioso, 1912, Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma Conosciuto anche come La madre, il busto di Antigrazioso è uno dei pochi esempi superstiti delle sculture futuriste eseguite da Boccioni nel 1912 e 1913 ed esposti alla Galerie 23 di Parigi nel 1913. Questa scultura in gesso patinato, conservata alla Galleria nazionale d'Arte Moderna di Roma, rappresenta la scomposizione futurista del volto della madre di Boccioni, ripreso nel dipinto Materia. Dell'opera il Metropolitan Museum di New York conserva una fusione in bronzo del 1950-1951. Boccioni porta a termine la sua sperimentazione attraverso la quale aveva liberato la scultura dalle forme chiuse e dalla bellezza classica. Ritratto del maestro Busoni, 1916, Galleria nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma L'amicizia tra Boccioni e il compositore e pianista Ferruccio Busoni risale al 1912, quando Busoni acquista La città che sale in occasione della mostra futurista presso la Galleria Sackville di Londra. A lui è dedicato il ritratto oggi conservato presso la Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. La pennellata strutturata e la gamma cromatica impostata sui toni del verde e del blu racchiudono tutta la riflessione sul linguaggio pittorico di Cèzanne che Boccioni andava approfondendo nel periodo che precede di poco la sua prematura scomparsa. Una ricerca che segue gli studi sullo spazio già intrapresi durante la fase futurista. Umberto Boccioni, Ritratto del Maestro Busoni, 1916, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e ContemporaneaCarica di lancieri, 1915, Museo del Novecento, Milano Come al centro di una fotografia, un serrato gruppo di lancieri procede in avanti per caricare il nemico, inarrestabile. Le linee oblique orientate nello stesso senso, al centro, si contrappongono alle linee curve di destra, mentre a sinistra e in basso prevalgono campiture circolari. A dominare la scena, al centro dell’immagine, è un gruppo ordinato di soldati che procede a cavallo verso sinistra con le lance abbassate. In basso, i soldati nemici sono addossati al bordo del dipinto, mentre sullo sfondo si intravedono stralci di carta stampata. Carica di lancieri rappresenta l’interpretazione di un’azione bellica della Prima Guerra Mondiale da parte di Umberto Boccioni e fa parte di una serie di opere che i futuristi dedicarono alla celebrazione della guerra. Donna al caffè – compenetrazione di luci e di piani, 1912-14, Museo del Novecento, Milano Anch’essa custodita al museo del Novecento di Milano, la tela mostra una donna seduta in un caffè, di fronte a un piatto con un cucchiaino, un bicchiere, delle zollette di zucchero. Leggi anche:• FORMIDABILE BOCCIONI. Il genio futurista in un docufilm

Da Giotto a Boccioni, la settimana in tv

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Il 19 ottobre del 1882 nasceva a Reggio Calabria Umberto Boccioni. A distanza di 140 anni, anche il piccolo schermo rende omaggio al primo attore del Futurismo, genio inquieto che dedicò la sua vita a inventare un nuovo linguaggio contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura. In esclusiva sulla piattaforma ITsART il documentario FORMIDABILE BOCCIONI di Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà, con la regia di Franco Rado, una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura, segue la vita e le opere dell’artista attraverso interviste esclusive a esperti, direttori di musei, collezionisti. Un salto di sei secoli accompagna il pubblico di Sky Arte tra le grandiose intuizioni di Giotto, mentre Arte tv svela la vita di Oskar Kokoschka, l’artista antifascista che amava la pace. Questo e molto altro nella settimana in tv, dal 17 al 23 ottobre. Da I Grandi maestri, Giotto | Courtesy Sky ArteLa vita di Giotto sbarca su Sky Arte La settimana dell’arte su Sky si apre all’insegna del contemporaneo. Il terzo episodio della serie Inspired, dal titolo Georgia O'keeffe, Nuovo Messico, in programma lunedì 16 ottobre alle 21.15 segue la pioniera del linguaggio astratto, l’esponente di riferimento del Novecento americano conosciuta per le sue rappresentazioni floreali. L’episodio esplora il legame tra Georgia O'keeffe e le suggestioni del New Mexico. A seguire, Kusama - Infinity ripercorre la storia di un’altra pioniera con la parrucca rossa e la passione per i pois, che, da un piccolo e reazionario paese del Giappone, sbarca a New York sfidando il sessismo. Dopo il successo della prima edizione, a partire dal 20 ottobre, ogni giovedì sul piccolo schermo tornano i Grandi Maestri, la serie di Sky Arte dedicata alla vita e alla pittura di celebri artisti raccontati attraverso i loro capolavori. La nuova stagione darà ancora più spazio alle singole opere che saranno raccontate attraverso riprese immersive e il commento dei maggiori studiosi e storici dell'arte italiana. Un fotogramma da Kusama – Infinity, 2018, Russia, Documentario, 1h 20m, Regia di Heather LenzGiovedì 20 ottobre alle 21.15, il primo a trasportare lo spettatore a tu per tu con la sua tavolozza, in quel mondo di colori e forme che hanno scritto la storia dell’arte italiana, sarà Giotto. Gli storici dell’arte Gaia Ravalli e Andrea De Marchi ripercorreranno le sue grandiose intuizioni, come l’introduzione della prospettiva tra i contemporanei, accanto alle opere senza tempo, passando in rassegna i capolavori nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, nella Cappella degli Scrovegni a Padova e nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce di Firenze. Sempre giovedì 20 il docufilm Van Gogh – I girasoli ci porta in viaggio tra Amsterdam, Tokyo, Londra, Monaco e Philadelphia per indagare i misteri che si celano dietro i fiori più iconici della storia dell’arte. Il docufilm concede per la prima volta agli spettatori la possibilità di scrutare, fianco a fianco, e tutte insieme sulla pellicola, in altissima definizione, le cinque versioni ancora di proprietà pubblica dei girasoli in vaso, oggi custodite a Monaco, Amsterdam, Tokyo, Londra, Philadelphia. Che cosa lega questi fiori, la luce del Sud della Francia, Arles, la Casa Gialla? Lo scopriremo attraverso un viaggio cinematografico realizzato a stretto contatto con il Van Gogh Museum di Amsterdam per conoscere l’uomo Van Gogh, prendendo come spunto la mostra tenutasi al museo di Amsterdam nel 2019. Su Arte tv la storia di Oskar Kokoschka, l’artista antifascista che amava la pace Nato nel 1886, Oskar Kokoschka, pupillo di Gustav Klimt, irrompe sulla scena a 22 anni grazie a una grande mostra dedicata al giubileo dell'imperatore Francesco Giuseppe. L'enfant terrible della Secessione viennese genera scalpore scandagliando le passioni di una società in decomposizione. Pennello alla mano, fin dal 1923, Kokoschka viaggia per l'Europa. Considerato dai nazisti un "artista degenerato", nel 1938 fugge in esilio a Londra con la moglie Olda per poi stabilirsi in Svizzera. Il documentario Oskar Kokoschka: ritratti della storia europea ripercorre un secolo di memorie del pittore austriaco, intellettuale antifascista, impegnato per la pace, dal suo debutto nell'alveo della Secessione viennese all’incontro con Konrad Adenauer. Vincent van Gogh, Girasoli, 1888, Olio su tela, 73 x 92.1 cm, Londra, The National Gallery | Courtesy The National GallerySu Rai 5 viaggio tra i segreti del mondo sotterraneo Su Rai 5 avventura fa rima con Art Rider. L’archeologo Andrea Angelucci conduce il pubblico alla scoperta dell'Oriente tra le strade d'Italia, scovando tracce di influenze millenarie, tra icone greche e mosaici bizantini. Nelle puntate di questa settimana scopriremo il Monte Amiata e le opere del Parco di Bomarzo, voleremo in Sardegna, da Monte D'Accoddi a Sant'Antioco, e poi da Ascoli Piceno ad Ancona, da Ardea a Gaeta. Mercoledì, per la serie Under Italy, con l’archeologo Darius Arya si parte alla scoperta dei sotterranei partenopei, dai cunicoli di Napoli Sotteranea al teatro romano di Neapolis, dalla Galleria Borbonica con le sue infinite ramificazioni agli Ipogei Greci funerari e al Cimitero delle Fontanelle. Giovedì 20 Darius Arya cercherà invece di "scavare" nei misteri di Torino, dai locali sotterranei della Mole Antonelliana agli Infernotti del Palazzo Saluzzo di Paesana, mentre venerdì 21 protagonista di questo affascinante viaggio nel ventre delle città sarà Bergamo con i suoi sotterranei, dalla Cannoniera di Porta San Giacomo alla Cisterna di Piazza Mercato delle Scarpe.Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it Umberto Boccioni si racconta su ITsART A partire dal 19 ottobre Umberto Boccioni si racconta sulla piattaforma ItsART. Lo scrittore, il giornalista, l’illustratore figlio del suo tempo, in un’Italia scossa dalla Rivoluzione industriale e dalle grandi scoperte scientifiche, destinata a diventare epicentro della Grande Guerra, è il protagonista del documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura. Attraverso il racconto dei direttori dei maggiori musei che custodiscono i capolavori di Boccioni, di collezionisti ed esperti, come gli storici dell’arte Ester Coen e Niccolò D’Agati, lo storico Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani, il biografo Gino Agnese e la scrittrice Marella Caracciolo Chia, autrice del libro Una parentesi luminosa incentrato sulla storia d’amore tra Umberto Boccioni e la principessa Vittoria Colonna, l’artista rivive in un avvincente viaggio corredato da documenti, filmati e materiali d’epoca originali.

Cent’anni di fotografia nei capolavori della Collezione Bachelot

133667 Saul Leiter

Un secolo di storia dell’immagine va in scena a Villa Medici nelle fotografie della Collezione Bachelot: da Brassai a Sabine Weiss, da Diane Arbus a Mitch Epstein, 150 scatti esplorano lo sguardo sull’umanità di circa 50 grandi maestri. A confronto due grandi tradizioni, la scuola umanista francese (Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Willy Ronis) e la fotografia di strada americana, con autori come Dave Heath, Helen Levitt, Vivian Maier, Robert Frank, Joel Meyerovitz. Il percorso immaginato da Florence e Damien Bachelot con il curatore Sam Stourdzé è di ampio respiro: la dimensione corale del reportage e quella intima del ritratto si incrociano di continuo, spaziando dai grandi eventi della storia al racconto intimo. Al cuore del progetto, l’indagine su come il corpo e il ritratto definiscano lo spazio, in una fotografia dove la figura umana funge sempre da unità di misura."Collection", allestimento a Villa Medici: Diane Arbus, Joel Meyerowitz, Bruce Davidson, Susan Meiselas, Judith Joy © Daniele Molajoli Rimandi e corrispondenze disegnano una trama di legami e influenze tra gli artisti in mostra, in un panorama di notevole varietà: accanto agli autori già citati, troviamo pionieri del modernismo come Paul Strand, grandi reporter come Dorothea Lange o Josef Koudelka, protagonisti della fotografia contemporanea come Luc Delhaye, Mohamed Bourouissa, Véronique Ellena, Laura Henno (al centro di un focus speciale nella cisterna di Villa Medici), e non mancano nemmeno scatti made in Italy, con Luigi Ghirri e Mario Giacomelli. Tra i fiori all’occhiello dell’allestimento, una serie di circa 40 stampe d’epoca di Saul Leiter, testimonianza della rivoluzione del colore.Sabine Weiss, Paris, Enfants, 1955. Collection Bachelot © Sabine Weiss Collection – questo il titolo della mostra visitabile fino al 15 gennaio – è un racconto da leggere su più piani: dal punto di vista dei singoli artisti, o nella prospettiva storica riflessa nello sguardo del curatore che, come un sismografo, registra i momenti salienti di un secolo denso di eventi. O ancora, attraverso gli occhi di una coppia di collezionisti che in vent’anni ha dato vita a una delle più importanti raccolte private di fotografia in Francia. Per loro la collezione è prima di tutto un racconto personale, dove la dimensione privata si intreccia alla continua ricerca di pezzi eccezionali per qualità e storia e all’impegno nel sostenere la fotografia nella sua materialità e unicità, specie attraverso i giovani artisti."Collection", allestimento a Villa Medici: Luc Delahaye, Saul Leiter © Daniele Molajoli