Ambiente: SPM, il riassunto per i capi del mondo

Si chiama SPM, un acronimo che significa “summary for policymaker”. Diciamo che, tradotto in italiano, potrebbe essere trasformato nel “riassunto per quelli che decidono”. Ecco, proviamo a metterla giù facile e vediamo se ci capiamo. 

Una premessa necessaria prima di cominciare. Questo post è nato dalla necessità di rispondere a diverse persone che scrivono e postano commenti per confutare evidenze, solo in funzione del fatto che alcuni organi di stampa, ciclicamente, continuano a riportare le affermazioni di, faccio un esempio, Zichichi o Rubbia, o di altri scienziati italiani, che a più riprese e in tempi diversi hanno fatto affermazioni non coerenti con queste notizie.

Per far capire a chi legge, è un po’ come i giornali in cerca di like o di click che, un paio di settimane fa, hanno rilanciato, a seguito della 4^ondata di calore sull’Italia, un articolo del 1964 che centinaia di persone hanno preso per buono (Il direttore del Foglio uno dei tanti) per dire che luglio è sempre stato così caldo. 

In realtà era un’altra esca fomentatrice di traffico social, creata appositamente per gente che non è in grado di proiettare nel futuro una serie di dati interconnessi e che chiosa regolarmente solo sulla base della dipendenza tossica da un credo ideologico. 

Non si vuole entrare nel merito, sono anni che lo fanno in migliaia. Vorremmo invece puntualizzare e focalizzarci su ciò che la scienza produce, come questa sintesi per i responsabili politici, per quelli in cravatta, quelli che governano il mondo. Insomma quelli che devono prendere le decisioni. 

L’SPM è un documento specifico, composto dagli scienziati dell’IPCC per rendere più digeribili una serie di documenti e di studi prodotti nel corso degli anni. Questo gruppo di scienziati provenienti da  tutto il mondo, in pratica, oltre a fare il proprio lavoro, si è preoccupato di comunicare i risultati della comunità scientifica ad un pubblico non necessariamente tecnico. Cercando di proporre un documento edibile, mangiabile, digeribile. 

Intanto cosa è l’IPCC. 

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Nato nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dallo United Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di fornire al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti, esamina e valuta le più recenti informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche prodotte a livello globale, necessarie alla comprensione dei cambiamenti climatici. L’IPCC è stato premiato con il Nobel nel 2007 per il lavoro di ricercatori provenienti da tutto il mondo. Il processo di revisione (basato sulla peer review, non sui post con i link di Facebook) è l’elemento fondamentale delle procedure per assicurare una valutazione completa e obiettiva delle informazioni disponibili.

Torniamo al rapporto. 

E’ chiaro che non è chiesto alla politica di comprendere il perché si arrivi a tali affermazioni ma è chiesto, almeno ai capi del mondo, quantomeno di rendersi conto e di comprendere quali siano i rischi e gli impatti sull’intera umanità. Almeno questo, quando invece parrebbe evidente che una buona fetta della comunità internazionale, non si interessi minimamente.

L’ultimo rapporto, il sesto, (eh già, hanno fatto altri 5 rapporti prima di questo, la maggior parte, visti i risultati,  rimasti inascoltati) presenta i risultati dei gruppi di lavoro basati sulla conoscenza dei precedenti e su tre rapporti speciali [1].

Questo rapporto riconosce l’interdipendenza tra clima, ecosistemi e biodiversità e società umane e integra le conoscenze in modo più forte nelle scienze naturali, ecologiche, sociali ed economiche rispetto alle precedenti valutazioni. La valutazione degli impatti e dei rischi dei cambiamenti climatici, nonché dell’adattamento, è contrapposta alle tendenze globali che si stanno sviluppando contemporaneamente, ad esempio:

  • la perdita di biodiversità, 
  • il consumo insostenibile globale delle risorse naturali, 
  • il degrado del suolo e degli ecosistemi, 
  • la rapida urbanizzazione, 
  • i cambiamenti demografici umani, 
  • le disuguaglianze sociali ed economiche 
  • le possibili pandemie.

Nel rapporto si cita testualmente che le attività umane hanno cambiato il clima (si chiama fattore antropico, deriva dal gr. ἀνϑρωπικός, der. di ἄνϑρωπος «uomo»), cito testualmente: 

“Il cambiamento climatico indotto dall’uomo, inclusi eventi estremi sempre più frequenti e intensi, ha causato impatti negativi diffusi e relative perdite, danni alla natura e alle persone, al di là della naturale variabilità climatica.”

Lo ripeto: “indotto dall’uomo” e “al di là della naturale variabilità climatica”

Seguita: “Alcuni sforzi di sviluppo e adattamento hanno ridotto la vulnerabilità. In tutti i settori e le regioni si osserva che le persone e i sistemi più vulnerabili sono colpiti in modo sproporzionato. L’aumento delle condizioni meteorologiche e climatiche estreme ha portato ad alcuni impatti irreversibili poiché i sistemi naturali e umani sono spinti oltre la loro capacità di adattamento.”

Non è affatto difficile da capire. 

Basterebbe questo paragrafo. 

Basterebbe solo questo. 

Invece c’è bisogno di spiegare, quando ci sarebbe da chiedere scusa. 

Basti pensare ai paesi africani, responsabili al 3% del cambiamento che invece stanno pagando un prezzo elevatissimo in termini di danni e di gravità degli impatti sulla vita umana. 

E tutto questo senza considerare le aspettative che un sistema che cerca profitto e crescita con risorse finite non comprende. Se ci mettete sovrappopolazione e dogmi religiosi sulla riproduzione, i conti son presto fatti. 

Allegata una delle figure inserite nell’SPM. E’ piuttosto facile da leggere e altrettanto inquietante una volta compresa.

Fa capire gli impatti (osservati, significa fattuali, non basati sulle opinioni) dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi, cambiamenti che hanno già alterato gli ecosistemi terrestri, quelli d’acqua dolce e quelli oceanici su scala globale, con molteplici impatti evidenti a scala regionale e locale dove esiste una letteratura sufficiente per effettuare una valutazione. 

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[1] I tre rapporti sono :

-“Riscaldamento globale di 1,5°C. Un rapporto speciale dell’IPCC sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali e sui relativi percorsi di emissione di gas serra globali, nel contesto del rafforzamento della risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico, dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà (SR1.5)’; 

  • ‘Cambiamenti climatici e territorio. Una relazione speciale dell’IPCC sui cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado del suolo, la gestione sostenibile del territorio, la sicurezza alimentare e i flussi di gas serra negli ecosistemi terrestri (SRCCL)»; 
  • “Rapporto speciale dell’IPCC sull’oceano e la criosfera in un clima che cambia (SROCC)”.

Fonti: https://www.ipcc.ch

Il 6° report: https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment-report-working-group-ii/

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