Recensione a “Impronte” [Simone Chiani, 2020] – di Marco Papacchini

Simone Chiani rivela le sue Impronte e ci conduce in un viaggio fatto di poesia e di intensità evocativa.

Nell’Introduzione, il giovane Autore viterbese, spiega con amabile sincerità la sua missione di uomo e di narratore “poietico”. Descrive la poesia come uno strumento socialmente utile per una crescita morale ed etica. Parafrasando Dostoevskij, si potrebbe dire che la poesia salverà il mondo. È l’analisi dell’attimo la preoccupazione principale dell’Autore, come spiega nelle prosa esplicativa intitolata Imperfezionismo (subito dopo l’Introduzione); perché il tempo cronologico dato in esatte cifre non è altro che un’unità di misura errata per tentare di calcolare matematicamente una vita che andrebbe piuttosto misurata in momenti. Solo in questo modo si può fare nostra la realtà imperfetta, calcando l’impronta degli attimi di cui siamo attori e spettatori allo stesso modo, in un tempo che scorre e trascina tutto con sé. La poesia è il segno dell’impronta di ogni attimo.

Simone Chiani è un poeta del pensiero, oltre che della coltura dell’attimo, perché i suoi versi declamano nel silenzio epigrammi di filosofia. E, prima di iniziare a mostrare le sue doti di pensatore scrittore, dà un’ultima informazione sulla Struttura del testo. Tre sono le parti in cui si divide: il Passo sbadato fatto di scrittura automatica, il Passo spedito controllato e razionale, il Passo calcolato scritto con la metrica tradizionale. È molto preciso nello specificare il perché di questa divisione: a ogni livello corrisponde un diverso modo di approcciarsi alla vita, dunque ai momenti e quindi alla poesia. Dicendola con Freud, a ogni livello corrisponde una zona della mente umana, rispettivamente: inconscio, conscio, super-io. Dopodiché, il lettore non può avere dubbi, l’Autore ha illuminato il suo mondo narrativo che, di riflesso, dà luce al mondo di chi legge.

Il Passo sbadato ci consente di percepire in modo automatico che c’è un motore della nostra esistenza che non è tangibile ma a cui ci aggrappiamo. Forse l’Autore si riferisce a un Creatore dal quale noi umani abbiamo derivato la facoltà del fare, appunto dal verbo greco poiein: fare nel senso di creare. E per creare un mondo bastano poche parole. L’Autore lo dimostra con la composizione Quello che tralasciamo fatta di soli due versi: L’eternità in un filo d’erba / la staticità in una metropoli. Se gli haiku aprono lo sguardo su di un’immagine e una storia in tre versi, il nostro Autore riduce ancora le parole aumentando la potenzialità espressiva nell’associare un filo d’erba a una metropoli. Un confronto di opposti da cui scaturisce l’analogia di un attimo che dalla mente dello scrittore viene riproposta sulla pagina. Il ritmo delle parole nei due versi è differente, Simone Chiani si diverte a seguire il passo di Walt Whitman e ad opporsi al monotono dinamismo urbano. Questo è solo un esempio tra i tanti che si trovano in questa silloge.

Attraverso il suo cammino l’Autore percepisce qualcosa di altro, simbolico ma razionale, metafisico e reale, attraverso i richiami onirici del sogno, di una città dall’atmosfera penetrante come Parigi, nei flussi di pensieri che scorrono dall’esterno tangibile all’interno dove l’anima colleziona e decifra i brividi, fino al sentimento dell’amore che non può mancare nella poesia. Una poesia dove tutto scorre, tutto è transitorietà, dove L’attimo è vivo / e come tale muore. Sulla caducità instabile della vita, in ogni sua forma, Simone Chiani ritorna in chiusura di un’altra composizione, Ciclo unico, e scrive: Di cicli infiniti si vanta / Natura / e l’uom illude, / ch’è, di contro, a unico ciclo. Mi fa venire in mente la poesia Retreating wind, di Louise Glück, dove il premio Nobel per la letteratura 2020 mette in bocca a Dio queste parole: I gave you every gift, […] / you wanted more, the one gift / reserved for another creation / […] the growing plants. / Your lives are not circular like theirs (Vi ho dato ogni dono […] / volevate di più, l’unico dono / riservato a un’altra creazione / […] le piante che crescono. / Le vostre vite non sono circolari come le loro).

Lo stile varia dal colloquiale, sempre e comunque diluito in un flusso scorrevole di pensieri e concetti, a un raccontare, soprattutto nella seconda e terza parte, che si accosta al medioevale dantesco, elargisce contenuti leopardiani, allude a Paolo Conte, dà qualche stilettata dannunziana. La terza parte, quella del Passo calcolato, è quella più “antica”. I riferimenti stilnovistici nelle forme metriche chiuse e una poetica che centellina riflessioni cavalcantiane sono un arricchimento piuttosto che una ricerca fine a se stessa. L’Autore usa la poesia come una cura, un antidoto che sfiora il petrarchesco quando nella composizione Medicinal poesia scrive in rima: I’ che vo per queste vie iraconde / nel dì che la mente più non ispera / per placebo effetto, chiuso in galera / cerco la fuga con rime feconde. Ma il Medioevo viene riproposto anche con un verseggiare più recente, forse più congeniale ai meno esperti di poesia: Come il disperato cercatore / certo del loco / che scava a mani concave / per trafugar tesoro, / io con cor / scavando / quel desiderio vo’ cercando. Così l’Autore continua e racchiude il suo viaggio nel tempo senza un ancoraggio spazio temporale, e approda alle grandi domande della vita, dei suoi numerosi spigoli di colore sanguigno; domande da fare con lo sguardo rivolto al cielo, meglio se di notte, meglio se con la luna. Proprio come farebbe Leopardi: Mai graziosa come ora, / o’ Luna, / la gente ti brama / d’amaranto inconsueto; / mai come stasera / o’ Sorella / ti mira ascosa. C’è poco da fare, volenti o nolenti il nostro satellite è il mondo narrativo di ogni poeta che sa amare, sa immaginare, sa scrivere. E su cui lascia le proprie impronte.

Di Marco Papacchini

 

Il libro (pubblicato nel 2020) si trova anche su Amazon: https://www.amazon.it/Impronte-Simone-Chiani/dp/8868816369

Qualche informazione in più sull’autore: https://arteculturaviterbo.it/simone-chiani/

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