Pupo: «Vivo con mia moglie Anna e la mia amante Patricia, ma chi mi invidia si sbaglia. È stato Morandi a salvarmi»

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di Mario Luzzatto Fegiz

Il cantante, al secolo Enzo Ghinazzi: «Ho mentito tanto e tolto dignità alle donne che mi sono state accanto. Loro invece mi hanno insegnato la lealtà. Non auguro alle mie figlie una cosa simile». La dipendenza: «A 25 anni ero miliardario, poi i debiti di gioco».

C’è qualcuno dei vizi capitali che non ha?

«(ride) Sono come i sette Re di roma. Difficile ricordarli tutti. Dunque non ho l’invidia. Chiaramente ho desiderato la donna d’altri. Ho tradito spesso. Poi vado forte con la superbia. Sì, superbo e arrogante, anche se non sembra. La superbia mi ha salvato da un sacco di attacchi che avrebbero potuto minare la mia incolumità fisica e psicologica. Sì, un po’ di superbia non guasta».

Pupo, 67 anni, vero nome Enzo Ghinazzi: quando ha scoperto di avere un dono artistico?

«Non c’è stato un momento preciso. Fin da piccolo mi sono sentito attratto dallo spettacolo. Quando avevo cinque anni mio padre mi faceva esibire alle battiture del grano. Mi piazzavo sulle grandi tavole del cibo e cantavo le canzoni di Celentano. Su quel palco mi trovavo bene. Avevo la sensazione di trovarmi nel posto giusto. Non provavo imbarazzo. Anzi. Aspettavo che mi chiedessero di esibirmi… Al liceo avevo una professoressa che aveva un difetto e io la imitavo. Tutti ridevano. Insomma, ero giullare per vocazione. Poi ho incominciato a suonare perché nella mia famiglia tutti erano inclini alla musica. C’era in particolare uno zio che suonava benissimo il flauto e il sassofono. Piano piano mi sono reso conto che questo poteva essere il mio destino e che il mio compito era quello di dare spettacolo non necessariamente cantando. Ora sono davanti al mio pianoforte bianco. Ci sono anche le chitarre. Tutti strumenti che ho imparato a suonare da autodidatta. Mai avuto un insegnante».

Quindi non sa leggere la musica?

«Sì che la so leggere. Ho studiato musica anche a scuola. La so leggere come un bambino principiante. Insomma mi fermo all’abc del pentagramma».

Da alcuni decenni Enzo Ghinazzi vive con la moglie (Anna) e con l’amante (Patricia) in un menage a trois che molti gli invidiano. Ha avuto la passione per il gioco d’azzardo e delle donne e spesso si è trovato con le spalle al muro assediato dagli usurai.

«Lei dice che mi invidiano. Fanno male. È un percorso che non ho scelto io. Perché è difficile. C’è sofferenza. È troppo facile liquidarlo così. Io oggi ho 67 anni, mia moglie Anna ne ha quasi 70, Patricia ne ha 62 . Sto da 50 con la moglie, da 33 con l’amante. E lei pensa che sia stata una cosa semplice? O che io possa consigliare alle mie tre figlie o a chiunque altro un rapporto pluri-amoroso come il mio? Ma non ci penso nemmeno. Dicevo: invidia sprecata. Come quella di coloro che invidiano Berlusconi, il presidente degli Stati Uniti o i miliardari e non sanno niente su quello che comporta affrontare percorsi di questo genere… Poi la vita è anche fortuna, non solo abilità. Io non mi pento del mio percorso sentimentale che oggi sarebbe più semplice da affrontare. Ho avuto a che fare con due donne speciali. Non sono io lo speciale, sono loro».

Oggi è sulla retta via?

«Dopo aver sbagliato tanto e dopo aver raccontato un sacco di fesserie, dopo aver mentito tanto, dopo aver tolto la dignità alle donne che mi sono state accanto, ecco io da queste due donne sono stato migliorato. Loro mi hanno insegnato la lealtà».

Anche nella musica lei ha sempre fatto a modo suo?

«Il mio obiettivo, che non ho mai confessato pubblicamente, era ed è stare a metà classifica. In serie A, certo. Ma a metà classifica. Quel posto dove nessuno ti rompe le palle, in cui stai bene. E puoi fare quello che ti pare. Senza dare troppo nell’occhio. Nel mio caso qualcosa non ha funzionato e ho vissuto sotto i riflettori».

Torniamo alla poligamia.

«La poligamia è una realtà diffusa, maggioritaria nel pianeta. La nostra cultura, educazione e religione ci impediscono di essere poligami. Io ho pagato e sto pagando le conseguenze di queste mie scelte fatte alla luce del sole».

Lei si è messo a nudo in due libri: «La confessione» e «Banco solo! Diario di un giocatore chiamato Pupo».

«La mia vita è stata movimentata sul piano umano e artistico. Io non ho scritto canzoni importanti dopo i successi degli anni 70-80 come Gelato al cioccolato e Su di noi. Ho scritto solo qualche canzone che più che altro sono state delle provocazioni mediatiche. Mi riferisco a Italia amore mio con Emanuele Filiberto a Sanremo nel 2010 dove ho sfiorato la vittoria. Più che far canzoni io ho vissuto e la mia vita mi ha collocato in una sorta di limbo unico in Italia. La mia vita è diventata un vero percorso artistico».

Perché funziona nei concerti?

«Sto per partire con un tour che toccherà in due anni tutto il mondo. Finalmente avrò la possibilità di suonare dal vivo su un palco. E sa perché tutti i concerti sono già esauriti? Non solo per ascoltare quelle dieci canzoni molto conosciute e popolari. No. Il pubblico viene per ascoltare la mia vita. Oltre alla musica ci sono filmati e mia figlia (Clara, 30 anni) che canta con una voce bellissima. Insieme raccontiamo la nostra storia di famiglia particolare. La gente apprezza».

Le piace mostrarsi?

«Non salgo volentieri in cattedra. Ma in un certo modo sì. Io sono un sopravvissuto. Non sono mai stato una persona banale. A proposito, un’ora fa mi ha chiamato Amadeus. Gli avevo scritto a fine gennaio: “Il tuo sarà il Festival dei record”. Solo ieri lui mi ha risposto: “Sei un veggente?”».

Dal suo osservatorio privilegiato come ha visto cambiare il mondo e la musica?

«Sono su piazza da cinquant’anni. E dico che andiamo male. Sul fronte della cultura siamo in piena involuzione, una rincorsa all’ignoranza davvero preoccupante».

Nel 1989 girava voce di un suo mancato suicidio. È vero?

«Sì. Tornavo dal Casinò di Venezia ed ero su un caratteristico viadotto al confine fra Emilia e Toscana. La banca mi massacrava per uno scoperto di 70 milioni di lire. Io avevo un fido di 50 milioni dal casino di Venezia. E li c’erano anche gli usurai. Andai dunque lì per prendere il denaro a prestito e tacitare la banca. Non vinsi, ma persi altri 50 milioni peggiorando la mia situazione. Mentre tornavo con la mia jaguar riflettevo sulla mia condizione di… ricco coi debiti. Così avevo parcheggiato sulla piccola corsia d’emergenza del viadotto con l’idea di farla finita. Ero sconvolto, non vedevo vie d’uscita. Era notte, fra sabato e domenica, e i Tir non circolavano. Tutti meno uno: quello che mi sfiorò a un millimetro. Lo spostamento d’aria mosse la macchina di qualche centimetro e mi riportò alla ragione».

Progetti al di là del tour?

«Ho deciso di sospendere le mie apparizioni televisive. In questa tv mi ritrovo poco. Molti ci vanno per apparire dicendo banalità. È diventata troppo cannibale, troppo fine a se stessa, autoreferenziale. Se vado in tv devo avere qualcosa di interessante da raccontare. Quello che paga la tv non cambia la mia vita. Non mi interessa aumentare la mia popolarità. Questi teatrini con artisti leggendari come Bobby Solo o Fausto Leali, sono utili solo al programma e poco e niente a chi vi partecipa. Quindi niente tv a meno che non si tratti di una conduzione di un programma televisivo che sia stimolante e gradevole. Ma per ora non se parla».

Incontri determinanti della sua vita?

«Freddy Naggiar, il padrone della Baby Records. Mi ha immaginato e poi costruito. Ma ha sbagliato nel sottovalutare la mia durata. Mi mollò nel 1982. Mi ha insegnato il valore della sofferenza. Fondamentale è stato l’incontro con il mio attuale manager: Umberto Chiaramonte. Con lui, 25 anni fa, iniziammo un difficile (per alcuni addetti ai lavori impossibile) lavoro di riposizionamento artistico. Visti i risultati, direi che Umberto è stato bravo. E poi Gianni Morandi che, oltre ad avermi aiutato economicamente, mi ha anche spesso insultato e strapazzato sbattendomi in faccia quel che ero: un poco di buono, un delinquente perché tradivo le attese di mia madre e dei miei amici. Io, lui, il nostro commercialista Oliviero Franceschi e Gianmarco Mazzi eravamo in società. Una società che gestiva la mia attività e che oggi appartiene totalmente a me».

Cosa farebbe e non rifarebbe?

«Vedendo il risultato finale rifarei tutto. Sofferenze e errori compresi. A 25 anni ero miliardario. Pochi anni dopo ero indebitato per 7 miliardi. Gioco d’azzardo, investimenti sbagliati. Mi trovai in un vortice. Io son qui a raccontarla, ma è stato un miracolo. Irripetibile».

Rapporti con le figlie?

«Bellissimi. Quanto amore ricevo dalla mia famiglia! E poi figlie e figliastra hanno un bellissimo rapporto fra loro. Tu pensa che il mio nipotino Matteo (8 anni), il figlio di Valentina, chiama nonna sia Anna che Patricia. Ho altri due nipoti, Leonardo (22 anni) e Viola (12), figli di Ilaria, la mia figlia più grande. Una famiglia allargata ante litteram».

Lei è stato tra i fondatori della Nazionale Cantanti…

«Sì, ma è un’esperienza ormai chiusa. Prima erano i big della canzone a illuminare la squadra, adesso sono i cantanti a prendere popolarità da questo brand».

Rospi ingoiati?

«Il secondo posto a Sanremo con Emanuele Filiberto. In realtà avevamo vinto, ma alla votazione finale dei primi tre successe qualcosa di strano. Non posso fare i nomi delle persone con cui parlai in quei momenti. I veri vincitori eravamo noi. E io avevo un grosso debito di riconoscenza con la Rai con la quale stavo lavorando benissimo e non volevo fare casini».

E la guerra in corso in Paesi che lei ben conosce?

«Sta tenendo incollate nelle nostre menti delle orribili immagini di morte e distruzione».

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