Pillole Letterarie: visioni e rumori in “Sera d’Ottobre” di Giovanni Pascoli

Il potere delle parole si rivela in maniera esplicita con Giovanni Pascoli come accade con pochi altri scrittori italiani; la sua capacità di cogliere rumori, visioni, sapori e odori, e di collocarli nella realtà passando per le più disparate figure retoriche, ne fa un caso unico nella storia della letteratura italiana.

Leggere un testo di Pascoli, a discapito di una prima impressione colpevole spesso di portare a considerare tal opera come semplice e superficiale, significa immergersi in veri e propri “scatti fotografici” di scene di mondo; in particolare, e spesso come nel caso trattato, di un mondo rurale, contadino, analizzato non solo da un punto di vista descrittivo, ma, in maniera più profonda, intimo e, forse, psicanalitico.
Questa scelta deriva probabilmente dalle origini del Pascoli oltre che dal suo ideale di poetica; non è difficile comprendere, attraverso la ben nota teoria del Fanciullino, quanto la purezza sia uno dei mezzi e obiettivi principali del romagnolo.

Le sue poesie sono comunque esattamente l’opposto di ciò che sembrano: le frazioni di Italia raccontate con tanta calma e dedizione sono in realtà (spesso, non sempre) figlie di riflessioni profonde talvolta scaturite da atroci sofferenze personali. Quando poco fa si è fatto accenno alla psicanalisi non è stato un caso; traumi e perversioni si possono ricercare con estrema attenzione (e presunzione) tra i versi del poeta, genio in grado di tramutare tutto ciò che lo turbava in tangibili immagini quotidiane.

In “Sera d’Ottobre” [che trovate in fondo a questo articolo], scelta qui per via del mese incombente, succede molto di quanto abbiamo appena detto.
Si tratta infatti di un testo in apparenza descrittivo che nasconde al suo interno una frazione di mondo ricca di sofferenze e, in questo caso, anche gioie apparenti.

Sera d’Ottobre, grazie alla sua assoluta tangibilità, è la sofferenza delle vacche che stanche se ne tornano alla stalla, è il racconto di un povero (forse anziano) che trascina il suo passo tra le foglie che urlano, oltre che la gioia ingenua di una fanciulla ancora vivace.
Tutta l’atmosfera, peraltro, racconta di suggestioni che straripano nell’animo del poeta, quasi gioie sempre strozzate dall’incombere di un sentimento negativo inevitabile.

La lirica è stata divisa dal romagnolo in 2 quartine, rigidamente strutturate: 3 endecasillabi per cominciare e un quinario a chiudere.
Un troncamento nel finale che non è fine a se stesso ma riesce con forza a evidenziare quest’atmosfera che solo apparentemente è pervasa dalla calma; proprio lo strozzamento di cui si parlava poc’anzi.

La stessa ragazza, felice, canta ignara un canto popolare “Fiori di spina”, e solo a primo impatto potrebbe questa apparire una felice visione: a un’analisi più approfondita si scopre come la canzone parli addirittura di una trappola che un uomo, vestendosi di spine, vorrebbe tendere a una donna, e così si ritorna a un pessimismo invisibile ma senza dubbio presente, da cui sembra che il mese di ottobre non lasci possibilità di scappare.

Non ci è dato sapere per quale spinta inconscia nell’animo del poeta.

 

Lungo la strada vedi su la siepe

ridere a mazzi le vermiglie bacche:

nei campi arati tornano al presepe

tarde le vacche.

 

Vien per la strada un povero che il lento

passo tra foglie stridule trascina:

nei campi intuona una fanciulla al vento:

fiore di spina…

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