Pillole letterarie: Ravenna, la poesia di Oscar Wilde con dedica a Dante

“O più possente fra gli esuli! Tutto il tuo dolore è finito:
La tua anima incede ora accanto alla tua Beatrice;
Ravenna custodisce le tue ceneri: dormi in pace.”

Un incredibile potere della letteratura è quello di saper connettere mondi lontanissimi nel tempo e nello spazio. Questi collegamenti possono talvolta causare stupore assoluto e, perché no, emozionare profondamente. Pare rivelarsi un sistema di comportamenti umani basilari validi e condivisi in ogni epoca o società; l’antropologia ha già provato a esprimere tale concetto “diagnosticando” usi e costumi ricorrenti, ma vicinanze inaspettate come questa sono davvero sorprendenti.

E’ difficile non rimanere colpiti leggendo la strofa dedicata a Dante Alighieri nella poesia Ravenna di Oscar Wilde. Due autori distanti e con pochissimo in comune: il primo, protagonista nel ‘300 della presa di potere del volgare fiorentino, con un poema creato da una rigida struttura lirica auto-prodotta, il secondo, massimo esponente ottocentesco di una corrente artistica che ha davvero poco a che vedere con regole ferree e conformismo.

Eppure, e questo è certamente da considerare come simbolo della grandezza mondiale del Sommo Poeta, un collegamento c’è; un silenzioso collegamento interiore che ha portato un dandy, un autore di fama mondiale come l’inglese a rivolgere addirittura una lode al fiorentino.

La lirica di cui stiamo parlando è intitolata Ravenna e dedicata all’omonima città. Oscar Wilde nella primavera del 1877 si trovava infatti in Italia per una vacanza, e la sua entrata in città, avvenuta in sella ad un cavallo, gli ispirò un sentimento di pura poesia, soprattutto per gli angoli di storia e cultura dalla quale la trovò pervasa. In seguito utilizzò il componimento per partecipare al concorso Newdigate, che vinse, e ad altre occasioni di letture poetiche collettive.

Ravenna è divisa in 7 parti e ognuna di esse è fortemente caratterizzata a livello tematico. Ci sono riferimenti storici, geografici e in generale culturali, peraltro di grande spessore. (Potete trovare il componimento intero cliccando QUI)

La sezione dedicata a Dante è la n.3, ed è riportata qui di seguito in una delle traduzioni italiane:

“Quella colonna solitaria, ergendosi sulla pianura,
Segna dove il più valoroso cavaliere di Francia fu trucidato, –
Il Principe della cavalleria, il Signore della guerra,
Gastone de Foix: poiché una stella prematura
Lo guidò contro la città, ed egli cadde,
Come cade qualche leone della foresta, combattendo bene.
Tolto alla vita mentre vita e amore erano nuovi,
Egli giace sotto l’ininterrotto velo azzurro di Dio;
Alti giunchi simili a lance gli ondeggiano tristi sul capo,
E oleandri fioriscono in un rosso più cupo,
Dove la sua luminosa giovinezza fece scorrere del vermiglio sulla terra.
Guarda oltre a nord, verso quel tumulo infranto –
Là, prigioniero ora di una tomba solenne
Eretta dalla mano di una figlia, in solitaria malinconia,
Il gigantesco Teodorico, re dei Goti,
Dorme dopo tutto il suo conquistare.
Il tempo non gli ha risparmiato la rovina – vento e pioggia,
Hanno infranto la sua roccaforte, e di nuovo
Vediamo che la Morte è il signore più possente di tutti,
E re e pagliaccio in polvere di cenere debbono cadere.
Possente invero la loro gloria! pure per me,
Re barbaro, o cavaliere della cavalleria,
O la grande regina stessa, furono poveri e vani,
A petto della tomba dove Dante riposa dagli affanni.
Il suo aureo sepolcro giace aperto all’aria;
E abili mani di scultore vi hanno intagliato
La calma fronte bianca, calma come il primo mattino,
Gli occhi che lampeggiarono di amore e disprezzo appassionato,
La bocca che cantò di Cielo e Inferno,
Il viso di mandorla che Giotto disegnò così bene,
Lo stanco viso di Dante; – fino ad oggi,
Qui in questo luogo di riposo, assai lontano
Dalle gialle acque dell’Arno, che precipitano
Sotto gli ampi ponti di quella città fatata,
Dove l’alta torre di Giotto sembra alzare
Un giglio di marmo sotto cieli di zaffiro!
Ahimé! mio Dante! tu conosci la pena
di vite più vili, -l’irritante catena dell’esilio,
Come siano ripide le scale nelle case dei re,
E tutte le piccole miserie che guastano
La più nobile natura dell’uomo con il senso del torto.
Pure questo sordo mondo ti è grato per il tuo canto;
Le nostre nazioni ti rendono omaggio, – lei stessa,
Quella crudele regina della Toscana vestita di vigne,
Che cinse la tua viva fronte con la corona di spine,
Ora ha adornato di alloro la tua tomba vuota,
E chiede invano le ceneri del suo figlio.
O più possente fra gli esuli! Tutto il tuo dolore è finito:
La tua anima incede ora accanto alla tua Beatrice;
Ravenna custodisce le tue ceneri: dormi in pace.”

Per completezza si riporta anche il testo originale in lingua inglese:

Yon lonely pillar, rising on the plain,
Marks where the bravest knight of France was slain —
The Prince of chivalry, the Lord of war,
Gaston de Foix: for some untimely star
Led him against thy city, and he fell,
As falls some forest-lion fighting well.
Taken from life while life and love were new,
He lies beneath God’s seamless veil of blue;
Tall lance-like reeds wave sadly o’er his head,
And oleanders bloom to deeper red,
Where his bright youth flowed crimson on the ground.
Look farther north unto that broken mound —
There, prisoned now within a lordly tomb
Raised by a daughter’s hand, in lonely gloom,
Huge-limbed Theodoric, the Gothic king,
Sleeps after all his weary conquering.
Time hath not spared his ruin — wind and rain
Have broken down his stronghold; and again
We see that Death is mighty lord of all,
And king and clown to ashen dust must fall.
Mighty indeed their glory! yet to me
Barbaric king, or knight of chivalry,
Or the great queen herself, were poor and vain
Beside the grave where Dante rests from pain.
His gilded shrine lies open to the air;
And cunning sculptor’s hands have carven there
The calm white brow, as calm as earliest morn,
The eyes that flashed with passionate love and scorn,
The lips that sang of Heaven and of Hell,
The almond-face which Giotto drew so well,
The weary face of Dante; — to this day,
Here in his place of resting, far away
From Arno’s yellow waters, rushing down
Through the wide bridges of that fairy town,
Where the tall tower of Giotto seems to rise
A marble lily under sapphire skies!
Alas! my Dante! thou hast known the pain
Of meaner lives — the exile’s — galling chain,
How steep the stairs within king’s houses are,
And all the petty miseries which mar
Man’s nobler nature with the sense of wrong.
Yet this dull world is grateful for thy song;
Our nations do thee homage — even she,
That cruel queen of vine-clad Tuscany,
Who bound with crown of thorns thy living brow,
Hath decked thine empty tomb with laurels now,
And begs in vain the ashes of her son.
O mightiest exile! all thy grief is done:
Thy soul walks now beside thy Beatrice;
Ravenna guards thine ashes: sleep in peace.

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