L’unica speranza è in America

Se qualcuno leggesse il titolo e pensasse a cosa ho scritto in passato sull’America, si premurerebbe prima di tutto di leggere se l’autore sia io. Poi strabuzzerebbe gli occhi e si chiederebbe ancora “Ma è davvero lui?”.

A quel punto, se è filoamericano, correrebbe a portarmi la pantofola come fecero a Montanelli quando, lui anticomunista, entrò nei cuori della sinistra perché si infilò – avendo torto su tutta la linea, sia detto al passaggio – in una rissa da saloon con il suo amico ed editore Berlusconi, del quale divenne acerrimo nemico. Se è filorusso, mi accuserebbe di aver intascato qualche assegno sottobanco dalla CIA. Va da sé che oltre ad avere un trascurabile peculio, non sono ovviamente neanche lontanamente accostabile a Montanelli. Ma dato che qualche lettore ce l’ho – e tra questi non pochi antiamericani – qualche spiegazione la devo dare.

Anzitutto, cambiare idea è legittimo. La prima regola è non posare a profeti del nuovo Verbo: vizio di molti transumanti. E poi non bisogna criminalizzare coloro che preferiscono non seguirci. Ci arriveranno. Quando vorranno, quando se la sentiranno. Non attingendo alle vette di pensiero di Scanzi e della Lucarelli, di Lilli Gruber e di Formigli, né tantomeno ai loro numeri, in compenso non distribuiamo verità, proponiamo punti di vista, davanti ad una tazzina di caffé.

Il lettore si chiederà “Ma perché Franco Marino si sente in dovere di comunicarci una cosa del genere come se ce ne fregasse qualcosa?” e la ragione è semplice.

Mentre molti vaneggiano di scapparsene all’estero, è sufficiente farsi un giro per capire che il delirio è globale e non risparmia nessuno. Non esistono paradisi territoriali dove rifugiarci e, chi più chi meno, tutti i paesi si sono convertiti alla narrazione covid. L’Italia lo ha fatto nella maniera più aggressiva ma altrove le cose sono o lievissimamente migliori – e dunque non tali da far valere la pena un’emigrazione – o addirittura peggiori. Dove invece stanno nascendo paradisi sono in quei luoghi della mente che si stanno costituendo e che stanno dando vita a nuove fratellanze di pensiero. Una nazione non vive solo di territori ma anzitutto di valori condivisi. Gli Stati Uniti nascono su una profonda ribellione allo statalismo e al Leviatano come adesione ai suoi principi. E ancora oggi resta l’unico paese dove fioriscono le avanguardie di libertà.

Se della politica americana cosiddetta istituzionale è lecito dubitare – e personalmente, non smetterò di farlo – resiste presso alcuni strati della popolazione statunitense, specie nella cosiddetta America profonda, un sano spirito libertario che può costituire il fronte di una futura rivoluzione globale. Esso non ha alcuna rappresentanza nei due partiti tradizionali. Sia perché il bipartitismo americano non è figlio delle tendenze antropologiche e sociali americane ma delle defiscalizzazioni operate in favore delle lobby. Sia perché anche il Partito Repubblicano ha messo i chiodini all’epopea più o meno genuinamente antisistema di Trump.

Semmai, nella destra radicale, nell’Alt Right, si può notare un gran mondo in movimento, rustico e vagamente trash quanto si vuole ma colmo di genuine forze. Mentre, oltre l’Occidente, io vedo solo statalismo e socialismo anche quando abilmente mascherati da un mercatismo predatorio. E fa niente che la Cina si scagli contro le ridicolaggini petalose dell’Occidente. Se l’alternativa ad una dittatura liberal è il sistema dei crediti sociali cinesi, significherebbe passare dalla padella alla brace.

La Russia – che, tra l’altro, la narrazione pandemica, sia pure non ai livelli italiani, l’ha anch’essa abbracciata – appare poco desiderosa di sponsorizzare quelle realtà politiche che si oppongono alle narrazioni dominanti. Tradotto: o si mangia la minestra radical chic occidentale o si passa alle purghe jinpinghiane. Oppure ci si infila nella destra radicale americana, cercando casomai di strumentalizzarla e di non farsi strumentalizzare.

Un cambiamento locale contro nemici globali è del tutto impensabile. Perché a Est la risposta alla deriva totalitaria della sinistra liberal internazionale, è lo statalismo di segno opposto. Che sarebbe opprimente come quello in cui viviamo. Nelle dittature, in tutte le dittature, l’individuo è uguale a tutti gli altri, cioè una nullità. Mentre, ad oggi, solo nell’America profonda si trovano le uniche gemme dentarie di una cultura individualistica che rappresenta il naturale anticorpo contro le follie del Leviatano e delle sue maschere, quella presente sanitaria e quella futura ecologica.

E’ qualcosa che, dal mio punto di vista, va incoraggiato. E, per quanto possibile, eterodiretto. Perché onestamente, oggi, la vedo come l’unica impervia, sterrata, ghiaiosa, ma percorribile via verso la libertà.

FRANCO MARINO
Fonte: Il Detonatore.it

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