Il sonno della libera espressione genera Pietro Diomede

Non raramente la cronaca di certi paesi ci racconta di studenti che entrano nelle scuole e sparano all’impazzata uccidendo compagni e professori. La cosa accade spesso nei paesi che hanno una visione distopica della libertà, ritenuta erroneamente come la possibilità di suonare gli strumenti più disparati e non invece anche una musica diversa. Gli Stati Uniti, per esempio. O anche la Norvegia, paese che conosco bene per averci vissuto, bellissimo per alcuni aspetti, molto meno bello per altri. Che si caratterizza per una forte morale socialista che da quelle parti fu portata agli estremi livelli. E dove Breivik, nel 2011, prese le armi e fece fuoco contro un centinaio di persone, causando la famosa strage. Ma il punto è: come Breivik è arrivato a fare quel che ha fatto? Semplice. Quando qualcuno ha un padre che chiude con lui i rapporti perché ha la passione dei graffiti e vive in una famiglia con due genitori di sinistra che regolano il proprio affetto per il figlio in base ai suoi valori, non è strano che questi sviluppi un rancore nei confronti dello status quo. Fino ad arrivare a compiere gesti sconsiderati. Censurabili ma conseguenziali ad una situazione. Alla quale le persone fortemente equilibrate reagiscono inaugurando una battaglia civile. Quelle più instabili, compiendo gesti che definiremmo insani.

libertà di informazione

Il caso in esame è assai più blando. Anche perché per fortuna non parliamo di un terrorista che ha sparato a qualcuno, ma di un comico di Zelig che ha fatto una battuta alquanto discutibile su una pornostar assassinata. La battuta è “Che il cadavere di una Pornostar (Carol Maltesi nota come “Charlotte Angie”, nda) fatto a pezzi venga riconosciuto dai tatuaggi e non dal diametro del buco del culo non gioca a favore della fama della vittima”. Battuta macabra ma che a me, all’inizio, ha fatto ridere. Devo confessarlo.
Non avendo dato prova nella vita di particolare cattiveria nei confronti del prossimo – per inciso, sono incensurato, non ho mai bullizzato nessuno, non ho mai fatto del male gratuitamente a qualcuno – non penso dunque di essere uno stupratore in erba come ha scritto un’idiota sulla pagina ieri quando avevo inizialmente pubblicato la battuta. Tutto questo, semmai, ha a che fare con un mio particolare apprezzamento nei confronti dell’humour nerissimo, macabro, politicamente scorretto. Poi, anche confrontandomi con persone che politicamente corrette non lo sono affatto, mi sono reso conto che oggettivamente è una battuta orribile. Perché ironizza su una poveretta che è stata ammazzata, per di più in maniera sconvolgente. E così alla maniera di Will Smith dapprima ho riso, poi ho razionalizzato anche vedendo la reazione di persone al di sopra di ogni sospetto circa la loro scorrettezza politica. E così ho capito che effettivamente mi devo vergognare di quella risata. Come forse anche di altre battute che pure mi sono sorpreso a trovare divertente. Ma a farmi ragionare non è stato il cipiglio severo del moralista ma una serena spiegazione della cosa da parte di gente che stimo, che non è sospettabile di buonismo.
Dunque, la battuta di Pietro Diomede è brutta? Sì. E’ opportuna? Secondo me no. Denota cattiveria? In una situazione normale, sì. Ma il punto è. La nostra è una situazione normale? Chi sono i buoni? E perché Pietro Diomede ha fatto quella battuta? E perché a me quella battuta orribile ha fatto ridere? E perché ha fatto ridere non solo me, dato che quando l’avevo pubblicata inizialmente su Facebook, anche altri hanno riso?
Se definiamo l’umorismo secondo la lezione pirandelliana come “avvertimento del contrario”, cioè come il manifestarsi di un paradosso di fronte ad una verità che si vorrebbe imporre come indiscutibile, ci ritroveremo di fronte alla seriosità di un fatto orrendo contrapposto ad una circostanza che, secondo la morale comune, è grottesca: una morte non esattamente “tradizionale”, cioè un incidente o una malattia. E’ lo stesso fenomeno che portava sistematicamente molte persone a ridere quando gli si raccontava la storia dei desaparecidos che venivano portati dal regime in aereo poi si aprivano gli sportelli e gli si diceva “Uscite che c’è bel tempo”, loro uscivano e precipitavano al suolo da migliaia di metri. Il fatto è orrendo ma si rideva lo stesso. Perché?

Pietro Diomede e la frase choc su Carol Maltesi il tweet di Zelig

La risposta ha a che fare con quella che definirei la “sindrome delle catacombe”. Succede che ci si ritrova in un posto dove tutti costringono le persone a pensarla in un certo modo, a ridere di alcune cose, solo però quando ad esserne vittime sono alcune persone e per determinati motivi. Per esempio, se la vittima dell’omicidio fosse stata Giorgia Meloni o una qualsiasi donna di destra invece di Carol Maltesi (la vittima irrisa da Pietro Diomede) tutti avrebbero detto che in fondo se l’era cercata e avrebbero approvato una battuta analoga. E ben ci ricordiamo le ironie sulla povera Alessia Augello, militante di Forza Nuova, scomparsa recentemente. Colpevole unicamente di essere fascista. Succede così che il nostro Pietro Diomede si ritrovi in un ambiente contrassegnato da regole molto ferree. Quando la satira e l’umorismo sono, per definizione, la rottura delle regole. Ogni tanto, riascoltando e rivedendo trasmissioni televisive e radiofoniche del passato – penso ad una puntata di “Casa Vianello” che aveva per oggetto Vianello che per liberarsi della moglie si fingeva gay. Oppure alle gag di Fiorello di viva Radio Due, quando imitava il coreografo gay che ci provava con Catello. O anche Checco Zalone che perculava Tiziano Ferro e la sua omosessualità – mi rendo conto che se queste gag venissero proposte oggi, questi comici sarebbero praticamente cacciati a pedate non solo dal circuito mediatico ma anche da ogni consesso civile. E scorrendo quello sciocchezzaio, tempio del conformismo e del puritanesimo occidentale che è Twitter, tra profili italiani ma scritti in inglese (perché la moda, non del CEO di qualche multinazionale ma anche del macellaio di Casalecchio sul Minchio o di Sbruppate sul Cippo, è di scrivere i propri profili in inglese) di “she/her” (cioè la tizia in questione ci tiene a farci sapere che è lesbica), arcobaleni, “nofasci, noleghisti”, e strali moralistici, fino ad arrivare a VIP che disseminano odio e cattiveria, ogni giorno possiamo scorgere esecrazioni universali da parte di gente che tutto può tranne che dare lezioni di morale. Questi signori rappresentano il Bene che moralizza su Pietro Diomede. Sono gli stessi che godevano quando un no-vax si ritrovava in terapia intensiva o non avevano nulla da dire nei confronti di quei medici che minacciavano di non curare chi non si vaccinava. In un ambiente di questo tipo, chiunque avesse uno spirito critico verrebbe colto da un attacco isterico di iconoclastia. Finendo per esagerare, facendo oggettivamente una battuta sbagliata, andando abbondantemente fuori strada. Ma il punto è esattamente questo: chi definisce quali regole? Che pena dare ad una battuta di questo genere? E’ sufficiente quella battuta per licenziarlo, per ridurlo alla fame? Secondo me no. E intendiamoci. Se una roba del genere fosse stata fatta su persone che amo, avrei dato appuntamento a Pietro Diomede e lo avrei preso a cazzotti, alla maniera di Will Smith. O lo avrei denunciato. E un tribunale avrebbe deciso – oppure no – che Pietro Diomede mi avrebbe dovuto risarcire. Ma la questione avrebbe riguardato me e lui e basta. Perché il punto cioè non è che abbia o meno fatto una battuta orribile. Così come il punto non è neanche che sia sbagliato insultare i gay, i neri, che siano da approvare le battute sessiste, che il politicamente corretto non abbia a volte dei validi argomenti a favore.

tritacarne mediatico

Il problema è ben più profondo. Chiunque finisca nel mirino di questo meccanismo, viene sottoposto senza processo, senza difese, “sine strepitu advocatorum” come direbbero i giuristi latinisti, ad un tritacarne che si conclude immancabilmente con l’ergastolo morale. Dove una blogger – violando le leggi e le regole dei social – può fare licenziare qualcuno perché fa una battuta discutibile, usando il proprio potere mediatico. E dove le leggi non vengono fatte rispettare dai tribunali e dalle forze di polizia, ma da nuovi poliziotti che, non mossi dalla legge e dalle garanzie previste per gli imputati di un qualsiasi reato, ma dal palese tentativo di imporre una nuova morale, trasformano lo stato di diritto in uno stato reputazionale, a cui la tendenza naturale è ribellarsi. A volte meritoriamente. Altre volte impropriamente. Con battute idiote. O anche imbracciando il mitra e sparando ad innocenti, al massimo colpevoli di adeguarsi al conformismo imperante.
Il buonismo travestito da bontà, colonizzato da persone orrende, oscene, ripugnanti, che stanno costruendo una pericolosissima tirannia, fa diventare “buona”, liberatoria, la cattiveria. E così come il sonno della ragione genera mostri, il sonno della libera espressione genera Pietro Diomede. Che non è un mostro. E’ solo la scomposta reazione alla mostruosità di un paese ormai diretto a vele spiegate verso un neopuritanesimo assai più vicino ad una società coranica che ad un paese di tradizioni cristiane.

FRANCO MARINO
Fonte: Il Detonatore.it

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