Il problema della libertà è che finora non esiste

Nell’Antica Roma, quando volevano smontare una tesi partendo dalla falsità delle premesse, usavano una locuzione rimasta immortale: ex falso quodlibet. La maggior parte delle tesi, non sono false di per sé ma partono da presupposti sbagliati che le annullano. Per esempio, per criminalizzare chi non si vaccina, gli si dice che “cura il cancro con il bicarbonato invece di fare la chemioterapia”. E qui si tocca il record delle premesse false. Quali? Che il cancro sia una malattia con una percentuale di mortalità pari al 2%. E noi sappiamo che non è così. Che al paziente vengano negati i pesanti effetti collaterali della chemio. E noi sappiamo che non è così. Che la chemioterapia sia obbligatoria. E sappiamo, ovviamente, non è così. Se invece ci imponessero una chemioterapia preventiva contro un cancro che non abbiamo, anche con una percentuale di letalità ben superiore al 2%, al disgraziato più ipocondriaco verrebbero dubbi. Abbiamo dunque il classico caso in cui da premesse sbagliate si giunge a conclusioni sbagliate che inquinano il discorso.
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In questi anni va molto di moda la discussione sulle libertà. Che le classi dirigenti meditino di toglierle, era palese già prima del covid, quando potevamo assistere a tavole rotonde su una riduzione del suffragio universale. Ma a volte ci casca anche quella parte di dissidenza che vorrebbe riprendersela. Ad ispirarmi è stata una discussione nella bacheca di Matteo Fais. Che sulla sua bacheca scrive “Se chiudi le TV commerciali, proibisci col carcere le “50 Sfumature di Grigio” e via dicendo, non ottieni un popolo libero, ma degli schiavi piegati dalla tua coercizione intellettuale e fisica” e prosegue “Tu devi convincere con le armi della Ragione e della Dialettica che Amici è un prodotto perverso dell’Occidente, non con le manette. Un regime uguale al nostro, ma di segno ideologico opposto, non è la soluzione”. Tutte argomentazioni che sarebbero imparabili se le 50 sfumature di grigio fossero figlie di produzioni cinematografiche originate da un vero capitalismo. Ma è davvero così?
Se già prendiamo il nostro Paese, tutti i giornali e le televisioni, media che rappresentano il tirante di una democrazia, hanno conti completamente disastrati. In un regime davvero liberale, avrebbero chiuso. Invece, anche grazie ai legami tra la politica e la finanza, continuano ad imperversare, producendo la schifezza contro cui Fais si scaglia. E non sapendo misurarsi col mercato, inevitabilmente si reggono in piedi fin quando obbediscono ai dettami dei loro padrini e protettori, che inevitabilmente tollereranno ben poco opinioni differenti.
Non migliore è il sistema americano. Che si basa interamente sulle esenzioni fiscali e sul massiccio intervento del venture capital. Che si struttura su investitori dalle origini spesso incerte – altro che “i mercati”, ma per carità – e che consente ad un’azienda di usare gratis gli stessi servizi di cui usufruisce l’azienda concorrente pagando quelle tasse. Ecco il caso più palese di statalismo mascherato. Ogni film, ogni libro, ogni album musicale, ogni fottuta produzione artistica viene sottoposta ad una commissione che valuta, sulla base di criteri puramente politici, quale opera artistica deve fruire delle esenzioni e quale no. Un tempo esisteva una commissione, l’USIA, che poteva semplicemente bandire una qualsiasi produzione artistica, impedendole di diffondersi. Statalismo puro. Sia pure abilmente celato dietro la maschera di libero mercato.

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In sostanza, le discussioni sulla libertà, sul libero mercato, sulla democrazia, dunque sulla possibilità che si possa costruire un paese ispirato a questi princìpi, partono dal presupposto errato che si viva in un paese libero. Cosa che non è mai stata vera. Ritenere controproducente vietare a qualcuno di vedere brutti film, brutti libri, di ricevere brutte sollecitazioni – principio giusto in assoluto, ma in tempi di pace – nasce dall’errato presupposto che la formazione dei gusti e delle preferenze personali si sia strutturata in un regime di assoluta libertà e di formazione democratica del consenso. Cosa non vera, proprio nel momento in cui vediamo che i principali vettori della comunicazione sono tutti statali o parastatali. In sintesi, il punto di rottura del ragionamento di Matteo è nella convinzione che di un regime ci si liberi andando a fare i pastori predicatori, dicendo che 50 sfumature di grigio sia un brutto film, che Fedez sia un prodotto degenerato di una malintesa concezione per cui la musica è propaganda. Tutte cose vere, ma che costituiscono metà del problema. L’infezione non è né in chi produce merda d’artista né in chi crede che siano opere d’arte di grande valore, ma in chi ha permesso, nutrendo artificialmente la domanda e l’offerta, di affermarsi nel circuito mediatico, artefacendole. Tutta l’arte e la cultura contemporanee, non vivono di capacità proprie, ma di finanziamenti di realtà collegate allo stato e al parastato, di esenzioni fiscali, di connivenze tra poteri finanziari e politici. Puro statalismo, puro regime. Se sul covid e sulla guerra in Ucraina, si hanno opinioni non allineate a questo grumo di potere, non ci viene torto neanche un capello. Si viene semplicemente ostracizzati. Miracolosamente se si ha un fido in banca, si viene convocati dal direttore il quale ci fa capire che qualche nostro comportamento, per qualche non meglio precisata ragione, allarma la banca. Cosa capitata a più di un mio conoscente. Cosa c’entrino le opinioni di uno sul covid e su Putin con la solvibilità dell’azienda è un dubbio che verrebbe a qualsiasi mente pensante, ma se qualcuno ipotizzasse che dietro quel direttore di banca ci siano i servizi segreti, passerebbe per complottista.

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Tutto questo non ha niente a che fare con la libertà e la democrazia. E vivendo in una tirannia ormai conclamata, questo regime e i suoi frutti veleniferi possono essere sradicati solo con la forza. Ripartendo da regole solide. Magari usando proprio l’esperienza della pandemia per capire come sia stato possibile schiavizzare centinaia di milioni di persone.
Per poter davvero ritrovare la libertà perduta, dobbiamo convincerci di un fatto: che l’Occidente è tirannico come la Cina e la Russia. Anzi, si avvia a diventare molto peggio. Perché almeno la Cina e la Russia mostrano il loro vero volto.
L’Occidente no.

FRANCO MARINO
Fonte: Il Detonatore.it

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