Il mortale pericolo che corre la scienza

Chiunque oggi si definisse “uomo di fede”, godrebbe di un minore prestigio rispetto a chi invece si ritenesse “uomo di scienza”.

In generale, la convinzione comune è che la fede sia qualcosa di simile alla superstizione mentre la scienza sia il regno dell’esattezza. Mostrando così, chi accettasse questa visione, di non capirne nulla né di fede né di scienza.

Premettendo che la dimostrazione scientifica di una trascendenza viene già studiata dalla fisica quantistica e analogamente fu già, molti secoli fa, sottoposta ad indagine dagli evemeristi, i due ambiti si muovono separati e questa, paradossalmente, è proprio la ragione per cui non necessariamente debbano confliggere. La scienza ci dice la tecnica per realizzare qualcosa, la fede il senso di quel qualcosa. E poi perché in generale sulla scienza esiste la convinzione che coincida con la verità delle cose. Che si riassume anche nel brocardo di burioniana memoria “La scienza non è democratica”. Tutte cose che non sono mai state vere. E basterebbe snocciolare un lunghissimo elenco di cose che, per secoli, si sono ritenute “scientificamente vere” e alla fine non erano tali. Questo perché la scienza non ci dice la verità, ci mostra una tecnica.

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C’è stato, invece, un tempo in cui la fede era la bussola che regolava tutte le dinamiche di interazione umana. La scienza praticamente non esisteva – in generale degli scienziati si pensava che fossero poco più che maghi, fattucchiere e illusionisti – e si tendeva a spiegare ogni fenomeno col volere di Dio. Di conseguenza, la Chiesa era potentissima e poteva, attraverso la terribile Inquisizione, mandare a morte praticamente chiunque. Scomunicando un sovrano – e accadeva spesso – di fatto gli aizzava contro tutta una popolazione che tendeva a credere molto di più in Dio che nel suo sovrano. Le espressioni “andare a Canossa”, o anche “inginocchiarsi sui ceci”, derivano proprio dal terrore che una scomunica papale generasse nel sovrano, tanto che quando Enrico IV venne scomunicato da Gregorio VII, per giorni attese al freddo e al gelo che il Papa lo ricevesse e lo perdonasse.

Come era inevitabile che fosse, ad un certo punto i sovrani nel proprio interesse, capendo che il potere temporale della Chiesa andasse limitato, iniziarono a finanziare le scienze, incentivando e proteggendo tutti i filosofi e gli artisti di ispirazione laica. Il risultato fu che grazie ai progressi scientifici che dimostrarono l’origine di fenomeni che prima si spiegavano con Dio, la fede iniziò progressivamente ad indebolirsi e, con essa, il temuto potere del Papa.

Possiamo raccontarla così la cosa e considerarla per quella che è: un progresso. Sfortunatamente però queste scoperte scientifiche non hanno risposto ad una serie di domande: a cosa serve vivere di più? Come gestire l’incremento della popolazione dovuto sia all’aumento della durata della vita che al benessere? Ma soprattutto, qual è il senso della nostra vita?

La scienza non avrà mai una risposta perché non è suo compito rispondere. Sul senso della vita, di solito rispondono la fede o la filosofia. Su come gestire le conseguenze sociali di una scoperta scientifica, la risposta la dà la politica. Quel che è certo è che la scienza non può e non deve rispondere a nessuna di queste domande, altrimenti si approprierebbe di un ruolo che non ha e che non deve avere.

D’altra parte, che questo sia il rischio si evince anche dal profondo mutamento nel linguaggio. “Credi nei vaccini?”, “Credi nel covid-19?”, “Ci rimettiamo agli scienziati”, “la scienza non è democratica”. E potrei proseguire all’infinito, elencando tutta una serie di locuzioni che stanno progressivamente dimostrando la pericolosa deriva totalitaria di chi oggi è chiamato ad amministrare la scienza, tributandole un’aura di infallibilità. Per giunta dimenticando – particolari di non poco conto – che essa è gestita dagli uomini e dunque potrebbe persino spacciare per verità assolute, scoperte che non lo sono affatto. La teoria della relatività, per dire, non mette tutti d’accordo nell’ambiente della fisica. E sfido io qualcuno a saperla riproporre in maniera tale da renderla accessibile a chiunque volesse cercare di smentirla. Parimenti, esistono moltissimi medici che sostengono l’inutilità ed anzi la pericolosità dei vaccini. Ma “credere”, “rimettersi”, “non è democratica”, sono tutte cose che non hanno nulla a che fare con la scienza. Dove non si crede, si analizzano i fatti. Lasciando però alla politica il compito di gestirli. Col nucleare si possono fare tante cose belle e tante altre pericolose che, a volte, possono essere ciò nonostante indispensabili. La minaccia dell’atomica costituisce un freno alla tentazione di un nemico aggressivo di aggredirci.

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Se la scienza tenta di sostituirsi alla fede e alla politica, il risultato inevitabile sarà che entrambe la faranno fuori, riversandole il medesimo stigma che da anni percorre la fede. Anche perché prima o poi qualcuno si farà una serie di domande di non poco conto: a cosa serve campare di più se si campa male? A cosa serve vivere se tanto siamo qui sulla Terra per caso? A cosa servono le scoperte scientifiche se il risultato finale è che l’umanità peggiora? A cosa è servito interconnettere un mondo che mai come in questi anni è sembrato incapace di comunicare e vicino al fallimento culturale, economico e sociale? E varie ed eventuali.

Se la scienza non ha queste risposte – e non le ha – ma persegue il potere di governare la vita degli esseri umani, prima o poi verrà fatta fuori esattamente come sono stati fatti fuori altri costrutti sociali prima di essa. E degli scienziati si penseranno le stesse cose che si pensa oggi degli uomini di fede. Qualcosa di bello ma che se lasciato solo a se stesso, diventa un pericolo. Da sopprimere. E, specialmente per ciò che riguarda la scienza, è qualcosa che è già accaduto. Pochi sanno, per esempio, che progetti di automobili venivano costruite già ai tempi dell’Impero Romano. Soltanto che gli imperatori, fatta la tara tra vantaggi e svantaggi provocati da quel progresso, decisero di soffocare quella scoperta scientifica. Il che spiega anche come mai in molti paesi islamici si censurino l’arte e la scienza: se si smette di credere in Allah, non per questo la propria vita sarà felice. Molti musulmani preferiscono, per quella figura del tutto mitologica, farsi saltare in aria. Se sono felici così, chi siamo noi per impedirglielo? In cambio di cosa? Di una vita contrassegnata da un benessere indebitato, da vivere come polli di batteria per poi concluderla con qualche malattia legata alla lunga anzianità? Che i talebani dicano “no grazie”, visti i mortali pericoli che sta correndo l’Occidente, si può anche capire. Perché è proprio in quest’epoca che sto comprendendo quanto quelle parole in apparenza così insensate e fanatiche di Khomeini siano in realtà profondissime e verissime. “Dio è tutto, l’Islam è tutto”.

Da non credente, mi costa dover riconoscere che senza un senso (e ognuno si cerchi liberamente il suo), un uomo è una zattera senza percorso e dunque senza senso. Un’imbarcazione che aspetta il logorio inevitabile del suo motore e del suo telaio, fino ad una morte più o meno dolorosa che ci consacrerà ad un’eterna inutilità. Cosa ne sarà di me quando non avrò la salute e l’energia di oggi? E quando vedrò il mio corpo reso impraticabile dalla vecchiaia? E quando perderò, ad una ad una, tutte le persone che sono state le colonne della mia vita? Le rivedrò altrove o devo pensare che non rivedrò più il sorriso gioioso di mia madre e le battute di mio padre? Tutto qui è la vita? Sbattersi per una novantina d’anni, perdere le proprie funzioni vitali per poi diventare un mucchio di cenere come la legna che brucia nel camino? A quel punto, che differenza farà morire a quaranta o a novant’anni?

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A queste e altre domande può rispondere solo la fede. E può darsi che non abbia risposte o anche che le domande siano sbagliate. Quel che è certo è che non può rispondere la scienza né essa può pretendere di governare il mondo. E se tenta di fare ciò, pretendendo di non dover rispondere delle proprie azioni, quello è inevitabilmente il momento in cui la scienza va messa a tacere.

Il merito della fede è di aver dato, per millenni, un senso alle brutture della vita. Quello della scienza è di darci la prospettiva – non sempre suffragata dai fatti – di campare qualche anno in più, in condizioni migliori ma di smarrirne il senso, tanto che le civiltà più secolarizzate sono, puntualmente, quelle dove dilagano le patologie psichiatriche.

Per dirla con Bellavista di Luciano De Crescenzo, ci siamo fatti bene i conti? Ci conviene?

FRANCO MARINO
Fonte: Il Detonatore.it

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