Il mio covid: le cure domiciliari salvano, non il fai da te

Non vaccinato, ma con piena fiducia negli uomini di scienza tanto da partecipare a una sperimentazione terapeutica. Non solo il trivaccinato Galli può guarire: il covid si vince con le cure domiciliari purché ci sia un medico che si prenda cura di te e il paziente faccia tutte le cure senza sospenderle alla scomparsa dei primi sintomi.
La cronaca di una guarigione e il pensiero per chi invece è stato abbandonato e si è buttato sul fai da te, insieme alla Tachipirina e vigile attesa la strada migliore per complicanze e ricovero.
Questa è la cronaca del mio covid. Risparmio al paziente lettore i cuscini sudati, le vestaglie da camera, i brividi e gli affanni, le tazze di tè caldo e tutto l’armamentario tipico di una “scoppola” dicembrina: ho solo una verità da condividere ed è a difesa delle cure domiciliari. A patto, però, che vengano fatte bene e non un tanto al braccio.
Cure domiciliari non vuol dire cure fai da te. È la prima e grande verità che porto a casa dopo questa esperienza che qui si fa cronaca.
Di mestiere faccio questo e dato che per due anni ho documentato in tutte le salse di cure domiciliari anti covid, di schemi terapeutici, contestando il metodo funesto della Tachipirina & vigile attesa, la sorte – io dico: la Provvidenza – ha voluto che capitasse anche a me di metterci la faccia e toccare con mano ciò di cui ho scritto per tanti mesi, spesso nel silenzio. Silenzio generale perché – memento a beneficio degli smemorati – questo giornale ha scritto di terapie domiciliari molto prima di tanti altri e ha continuato a difenderle anche quando è partita l’epica del vaccino e si è continuato a sbeffeggiarle come roba di stregoni e ciarlatani.
«Le difenderò anche stavolta?». Sono sincero, questo mi chiedevo all’alba del 27 dicembre quando mi sono svegliato con la percezione di essere stato travolto da un treno in corsa e ben sapendo che nelle chat non avrei avuto più scuse con nessuno: neanche con Bario, il quale mi avrebbe rimproverato di curarmi con le bucce di banana o le pelli di carciofo e neppure con Ápparo che mi avrebbe rinfacciato Ippocrate e tutto il resto, ma nemmeno col Boldo che mi ha estorto tutta la terapia.
Dolori osteoarticolari, non ci vuole un genio per immaginare che di lì a poco sarebbe arrivata anche la febbre. E così è stato. 37.7. Le classiche due linee.
Che fare?
Sicuramente la telefonata al medico di base, che tutte le volte che l’ho cercata è sempre stata presente, il tampone in farmacia e la messa in quarantena di tutta la family (siamo in sei, alla vigilia dell’ultimo dell’anno, per giunta e con la prova stagionale degli scarponi da sci in corso…della serie: ciao core). Ma prima di ogni altra cosa, prim’ancora di chiedermi se si tratterà o no di covid, prima ancora di annullare l’ordine di pesce per il Veglionissimo dai Guàiti, prim’ancora di mandare il vocale a Giova che forse gli toccava anche a lui se solo non si fosse presentato a casa mia due giorni prima con il Trento doc e la mascherina FFP2, s’impone una decisione: chi mi cura?
Non mi sono chiesto con che cosa mi curo, ma come prima cosa mi sono domandato: chi potrà seguirmi in un cammino che per me, quarantaquattrenne non vaccinato, avrebbe potuto costituire anche un potenziale rischio di cui ero consapevole. Oltre, ovviamente, farmi carico delle reprimende – puntualmente arrivate al grido di «se ti fossi vaccinato» – di tutto il comparto famigliare da mamma in giù fino al terzo o 4° grado di cuginanza.
Non ho dubbi: chiamo i medici Paolo Bellavite e Paolo Gulisano con i quali in questi mesi abbiamo condiviso il percorso di un cammino importante di giornalismo scientifico all’insegna della cura e della libertà.
Con loro decidiamo di farmi seguire dal professor Serafino Fazio, che con Bellavite ha messo a punto uno schema terapeutico che nasce dall’esperienza del Comitato terapie domiciliari pubblicato recentemente su una rivista scientifica a base di indometacina, acido acetilsalicidico, esperidina e quercetina. Scordatevi che vi passi lo schema, non perché si tratti di una ricetta segreta di una torta, ma perché a ognuno il suo mestiere: una terapia per un virus sistemico ha variabili, differenze di dosaggio, cambi di posologia, valutazioni in corso che solo un medico può e deve fare. Lo schema che il dottor Fazio, dopo un’attenta anamnesi, ha applicato a me, ad esempio, si discosta di qualche milligrammo in più o in meno, per necessità varie, da quello ufficiale, quindi, non è proprio il caso che mi metta a spacciare la mia cura miracolosa.
Quello che è importante affermare è però un principio: curare il covid ha a che fare con l’arte medica e non con la fredda applicazione di un protocollo ministeriale passato per telefono, i sintomi sono tali e tanti e variabili nel tempo e carsici, che appaiono e scompaiono con tale repentinità, che serve un medico, il quale tutte le mattine si faccia vivo con un oggi come va? In grado di indagare tutto. Io ho avuto la grazia di avere un medico che si è preso cura di me ogni giorno, che mi ha chiesto meticolosamente saturazione e temperatura e che per giunta mi ha anche proposto di entrare nella sua sperimentazione.
Eh sì, perché dopo la pubblicazione, Fazio e Bellavite stanno continuando a curare e a raccogliere importanti informazioni sulla cura del covid, così partecipare alla loro ricerca scientifica mi è sembrato doveroso oltre che un onore e una risposta a chi pensa che chi non è vaccinato sia nemico della scienza.
Invece, eccola qua la scienza: ero consapevole di essere una cavia? Sì. Quali alternative avrei avuto? L’alternativa erano la vigile attesa o, peggio ancora, la seconda via sicura per la complicazione o il ricovero: il fai da te. Un antinfiammatorio oggi, un anticoagulante domani e poi speriamo che tutto si sistemi con la scomparsa dei sintomi.
Ecco il punto: trattandosi di un virus sistemico, un sintomo che scompare non significa che il virus sia sconfitto. Bisogna continuare con metodo, per evitare che insorgano nuovi sintomi. Il medico – e solo lui – è il metronomo di questo metodo. La strada degli antinfiammatori, ad esempio è illuminante: la maggior parte delle persone (anche io solitamente) li prende al bisogno senza quantificare nemmeno i dosaggi; il segreto invece, da quello che ho capito sulla mia pelle, è continuare nel tempo con la stessa terapia facendo zero affidamento sulla scomparsa temporanea dei sintomi. Così ho fatto per dieci giorni, nel mentre mi sono beccato due giorni di febbre alta, un mal di gola, una rinite, una fastidiosa oppressione tracheale, problemi intestinali e tanta tanta stanchezza.
C’è chi mi dice, fatalisticamente, che «mi è andata bene», ma questo è un ragionamento che rifiuto: se mi è andata bene significa che le cure che ho fatto sono state ininfluenti, ma se sono state ininfluenti significa che il covid in due anni non ha insegnato nulla e che curarsi o no non fa alcuna differenza, tutto è affidato alla cieca fortuna, vaccinatevi. Questo è il ragionamento di chi affida il covid alla roulette russa del caso salvo poi affermare di credere nella scienza con la stessa granitica certezza con cui Peter Pan credeva nelle fate. Lo stesso pensiero di chi, leggendo queste righe, penserà che forse sarei guarito comunque anche senza tutto “sto cinema”: mi spieghi allora perché avrei dovuto fare il vaccino sotto costrizione.
Invece la cura è tutto, infatti stiamo vedendo in queste ore che anche tanti vaccinati finiscono in ospedale. Ancora una volta la domanda da fare è sempre la stessa: come si sono curati? Purtroppo, questa è la domanda che resterà ancora per molto tempo senza risposta.
Il professor Massimo Galli, ad esempio, trivaccinato, sappiamo che si è curato con gli anticorpi monoclonali, ma tutti gli altri come si curano? Le strade sono tre: o Tachipirina e vigile attesa, o fai da te oppure ti curi bene con un medico vigile. Se a Galli “è andata bene” non è per il vaccino, né per il fato, ma per le cure che ha ricevuto. Vale per me, come per lui.
Anche nel mio caso, i medici mi hanno detto che la differenza l’ha fatta la terapia e non il destino o il fato se, ad esempio, non sono passato agli antibiotici o al cortisone. Infatti, alla fine del terzo giorno finalmente la febbre mi ha abbandonato. Che cosa sarebbe accaduto se avessi smesso di prendere gli antinfiammatori perché finalmente sfebbrato e quindi senza sintomi? Che l’infezione si sarebbe spostata da qualche altra parte inevitabilmente aggravandosi e rendendo necessarie altre cure. Non è un’opinione, è scienza medica. E vale per un non vaccinato, ma anche per un vaccinato in bi-tri dose, evidentemente. Penso ai tanti pazienti che non hanno avuto un medico così vicino e si sono affidati al fai da te, vaccinati e non, e ora soffrono in reparto: a loro vanno le mie preghiere.
Metto volentieri questa cronaca a disposizione come contributo per una discussione serena sul tema della cura del covid. Ho avuto la possibilità di condividere un percorso medico con professionisti del settore a cui sono grato e l’ho portato a termine con diligenza e speranza. La virtù, però, non il ministro.
di Andrea Zambrano
Fonte: lanuovabq.it

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