Il mese di agosto fra storia e poesia

Anticamente chiamato sextilis (il sesto mese dell’anno nel calendario romano), il mese fu rinominato augustus dal Senato romano, nell’anno 8 a.C., in onore dell’imperatore Augusto, dal quale prende il nome anche il Ferragosto (feriae Augusti).

A partire dal 18 a.C. sono state celebrate ogni anno come Ferie Augusti il cui termine deriva dal latino Feriae Augusti, ovvero le “ferie in onore dell’imperatore Augusto”. Le ferie per i romani erano giorni sacri agli dei, feste religiose contrassegnate sul calendario con una N, che stava per nefas, giorno nefasto, in cui non era permesso svolgere attività giudiziarie e nessun tipo di altra commissione amministrativa. A tutti gli effetti, si trattava di un periodo di riposo e di festeggiamenti, istituito dall’imperatore, che aveva origine dalla tradizione dei Consualia, feste che celebravano la fine dei lavori agricoli, dedicate a Conso.
In tutto l’Impero si organizzavano feste e corse di cavalli, e gli animali da tiro, esentati dai lavori nei campi, venivano adornati di fiori.

Inoltre era usanza che, in questi giorni, i contadini facessero gli auguri ai proprietari dei terreni ricevendo in cambio una mancia. Anticamente, come festa pagana, era celebrata il 1° agosto. Ma i giorni di riposo e di festa, erano in effetti molti di più: anche tutto il mese, con il giorno 13, in particolare, dedicato alla dea Diana.

paesaggio agosto

Fra le poesie dedicate al mese di agosto, ricordiamo quella di Federico Garcia Lorca

Agosto

Controluce a un tramonto
di pesca e zucchero.
E il sole all’interno del vespro,
come il nocciolo in un frutto.
La pannocchia serba intatto
il suo riso giallo e duro.
Agosto.
I bambini mangiano
pane scuro e saporita luna.

Giovanni Pascoli copertina

Ricordiamo anche la celeberrima X agosto di Giovanni Pascoli

X agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh!, d’un pianto di stelle lo innondi
quest’atomo opaco del Male!

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