Il Giullare Triste

Avevo intenzione di iniziare la nuova rubrica parlando del continuo ed irritante problema che riguarda le strade sconnesse e il traffico a Viterbo, oppure di come procedono a rilento le sistemazioni delle nostre vie e piazze o, anche, di come l’amministrazione comunale, in maniera molto farraginosa, riesca a mal gestire la vita di chi abita la nostra sempre inquieta ma splendida città.
Mi trovo invece a dover fare una riflessione su due figli della nostra terra, ripeto due figli della nostra terra, che questa sera non sono più qui con noi.
Al netto di tutte quante le riflessioni si possano fare intorno alla psiche umana su quei pochi secondi nei quali un uomo decide che non c’è più niente per cui valga la pena rimanere in vita, sussiste però un problema sociale e culturale enorme che investe la famiglia, i rapporti di  amicizia, la scuola, le istituzioni sociali e religiose, il mondo del lavoro.
Se Riccardo e Davide, e non uso purtroppo due nomi di fantasia, se questi due ragazzi hanno preferito la fine prima ancora di iniziare, è possibile che in nessuno di noi abbiano trovato uno spiraglio da cui tentare di vedere un mondo migliore, un mondo diverso?
Avere, apparire, emulare, mitizzare la mediocrità ci ha giovato in qualcosa, se l’unica resa ottenuta dalla vendita delle nostre etiche povere e delle nostre coscienze sporche alla moda di turno lascia oggi due buchi neri nelle anime?
Ora sento un peso opprimente sul cuore, anche per quel poco che avrei potuto fare con un semplice esempio, con una parola, con un gesto che, omettendo di compiere, ha lasciato nell’abbandono il chiunque qualcuno mi possa aver incrociato nel cammino delle nostre vite parallele.
Certo io oggi sono qui, mentre loro vivono adesso in situazioni, momenti e mondi diversi.
Il peso sul cuore rende ancora più mesta questa insulsa serata di venerdì.
Eppure, la porta della speranza non è ancora chiusa.
Incontriamoci, nelle piazze e nelle vie.
Apriamo le menti perché crollino le mura delle nostre solitudini.
Poniamoci domande difficili da risolvere, perché è la ricerca che giustifica una vita di tentativi.
Preoccupiamoci di esercitare l’imperfezione.
Parliamoci sempre, non ignoriamoci mai più.
Promettiamolo a Riccardo e Davide, affinché non restino infinitamente soli.
Andrea Redi
Riflessioni di un padre su due giovani vite stroncate sul crescere, che dovrebbero farci porre diverse domande e forse faci riflettere che come uomini dovremo vergognarci  di essere parte di un mondo cieco, muto e sordo.
Poteva essere un nostro figlio…
Se è naturale diventare padre, ciò che è innaturale è dimenticarsi di essere stati figli, di aver cercato risposte ed essere rimasti soli.
Abbiamo dimenticato che essere fragili è un diritto e stiamo perdendo l’abitudine di vivere.

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