I maiali comunisti e le loro menzogne, in George Orwell

In “La Fattoria degli Animali” George Orwell (pseudonimo di  Eric Arthur Blair) compie un’impressionante denuncia allegorica al comunismo, colpevole di distruggere nella pratica tutto ciò che promette nella teoria.

Il tradimento della rivoluzione bolscevica osservato da vasta distanza ha permesso allo scrittore britannico di comporre questa pungente novella in maniera impeccabile.

Gli animali sono stufi di sottostare alle ingiuste prepotenze degli uomini, così decidono di ribellarsi tutti insieme: nella Fattoria Padronale gli esseri su due zampe sono cacciati durante una rivoluzione e rimangono, in “autogestione”, le bestie; la fattoria, pertanto, diviene “degli animali“.
Tuttavia dopo un’iniziale gioia incontenibile, data dal fatto che per la prima volta sono coloro sempre consideratisi “schiavi” al potere, si iniziano a delineare nuove dinamiche, e nuove gerarchie.
I maiali, capitani dell’insurrezione, sembrano via via dimenticarsi sempre più delle promesse fatte durante la rivolta, e arrivano ad accomodarsi così tanto al potere da divenire, alla fine del racconto, veri e propri umani.

E’ l’utopia del comunismo raccontata con una pungente allegoria: i maiali, cioè i principali comunisti autori della rivoluzione, finiscono per diventare come i padroni, cioè i ricchi/borghesi/industriali/aristocratici, e per tradire dunque il resto degli animali, cioè il popolo che aveva creduto nella rivoluzione ed è finito per essere più schiavo di quanto non fosse in partenza.

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Con la sua lucidità disarmante, Orwell riesce a cogliere il declinare della situazione giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, finendo per regalare al lettore una favola socio-politica facilmente rapportabile alla realtà per tutta la durata del racconto.

Il popolo (cioè il resto degli animali) finisce, come avviene in 1984, per perdere addirittura la memoria, pilotato dall’abile Gazzettino (chiamato così nella traduzione di Luca Manini per Liberamente) e da alcuni comandamenti che paiono cambiare nel corso del tempo.

E allora non è difficile rivedere alcuni grandi nomi della storia russa nei principali personaggi della novella: Lenin è il “Vecchio Maggiore”, che dà il via alla rivolta con i più buoni propositi ma vedrà poi, dopo la sua morte, svanire ogni progetto di parità e uguaglianza; Stalin è “Napoleone”, il colpevole di aver tramutato, con metodi scorretti, la rivolta dei pari in un nuovo totalitarismo; infine, “Palla di Neve” è Trockij, comunista incorruttibile costretto a scappare dalla fattoria perché fedele sostenitore dei principi contro le nuove pieghe impresse dal nuovo Capo.

In molte porzioni di testo, in realtà, pare di rivedere anche tutti gli altri totalitarismi: il culto del capo, la modifica perpetua della memoria popolare e una sorta di schiavitù lavorativa eretta a incontestabile virtù, oltre che l’allontanamento dalle proposte iniziali, possono facilmente rimandare anche a situazioni viste in dittature realmente avvenute sotto la fazione politica opposta, ossia l’Estrema Destra.

Rimane comunque il fatto che, nei caldissimi anni ’40, con questa novella Orwell preferì scagliarsi contro il comunismo, in maniera incontestabilmente evidente. Forse scioccato dal totale ribaltamento degli ideali utopici pre-rivoluzione, e forse preoccupato che qualcosa di simile potesse avvenire anche negli altri Paesi europei, sentì la necessità di farsi portavoce di tutte le menzogne e dell’impossibilità effettiva di concretizzarsi che sono proprie dell’Estrema Sinistra.

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Sono esemplari, sennonché lapidarie, le battute finali dell’opera, nelle quali i maiali comunisti che avevano promesso la rivoluzione, dopo un climax prolungato per tutto il racconto, finiscono con l’assimilarsi confusamente agli umani, ossia proprio coloro contro i quali insorsero molti anni prima, anche a livello fisiologico:

Dodici voci gridavano piene di rabbia e tutti loro erano uguali. Non importava ormai che cosa fosse accaduto alle facce dei maiali. Le creature, da fuori, spostavano lo sguardo da maiale a uomo e da uomo a maiale, e ancora da maiale a uomo; ma già era impossibile dire chi fosse chi.

Alcuni spezzoni allegorici evidentemente riferiti al regime comunista sovietico:

“Dopo di che, non parve strano che, il giorno seguente, i maiali che sovrintendevano il lavoro della fattoria reggessero tutti una frusta nella zampa. Non parve strano venire a sapere che i maiali si erano comprati una radio senza fili, che stavano facendo i preparativi per installare un telefono e che si erano abbonati a John Bull, Tit-Bits e al Daily Mirror. Non parve strano quando si vide Napoleone che passeggiava nel giardino della casa padronale con una pipa in bocca… no, neppure quando i maiali tolsero dall’armadio del signor Jones i vestiti e li indossarono. Napoleone si fece vedere con indosso una giacca nera, calzoni da caccia e gambali di pelle, mentre la sua scrofa favorita apparve nell’abito di seta marezzata che la signora Jones indossava solitamente la domenica.”A sottolineare, nel finale, l’assoggettamento e asservimento degli ormai ex-rivoluzionari al mondo capitalista/borghese del resto d’Europa

“Non si parlava più, però, dei lussi che Palla di Neve aveva insegnato agli animali a sognare: le stalle con la luce elettrica e l’acqua calda e fredda. e la settimana lavorativa di tre giorni. Napoleone aveva dichiarato che quell’idea era contraria allo spirito dell’Animalismo. La felicità più autentica, diceva, consisteva nel lavorare duramente e nel vivere frugalmente.” L’allontanamento progressivo dagli ideali bolscevichi

“Gli anni passarono. Le stagioni vennero e se ne andarono, le brevi vite degli animali fuggirono via. Venne il giorno in cui non ci fu più nessuno che ricordasse i giorni prima della Ribellione […]” Il tempo (e l’informazione corrotta) che cancella la memoria ed elimina le premesse iniziali della rivoluzione

“Verrà il giorno, o presto o tardi,
che abbattuto sarà l’Uomo Tiranno
e che d’Inghilterra i fertili campi
solo dalle bestie saranno calpestati”Un canto popolare degli animali che intende mostrare la bellezza priva di concretezza delle utopiche promesse comuniste

“Ben presto fu svelato il mistero di dove andasse a finire il latte. Ogni giorno, veniva mescolato al pastone per i maiali. Le prime mele stavano in quel periodo giungendo a maturazione e l’erba del frutteto era cosparsa di mele cadute. Gli animali supponevano che, naturalmente, esse sarebbero state distribuite in modo equo. Un giorno, però, giunse l’ordine che tutte le mele […] fossero portate alla selleria per l’uso esclusivo dei maiali. […] Gazzettino fu mandato in giro per dare la necessaria spiegazione: ‘Compagni! Non immaginerete, spero, che i maiali lo stiano facendo per puro egoismo e per avere un privilegio? A molti di noi in verità non piacciono né il latte né le mele. Non piacciono neanche a me. […] Il latte e le mele contengono sostanze assolutamente necessarie al benessere di un maiale. Noi maiali lavoriamo di cervello. Da noi dipende completamente la gestione e l’amministrazione di questa fattoria. Giorno e notte noi vegliamo sul vostro benessere. E’ per il vostro bene che noi beviamo quel latte e mangiamo quelle mele. […] Così, senza ulteriori discussioni, tutti furono d’accordo che il latte e le mele cadute dai rami dovessero essere riservati ai soli maiali.” – Il paradosso implicito di un regime comunista

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