Giornata mondiale orgoglio LGBT: perché è il 28 giugno

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Se non vivete su Urano, vi sarà capitato di notare che negli ultimi anni nel mese di giugno si concentrano le manifestazioni a favore dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Molti negozi e monumenti si tingono dei colori dell’arcobaleno, e perfino i profili social di tante persone vengono modificati con le bandiere della comunità LGBT.

La ragione è che proprio a giugno si celebra la giornata mondiale dell’orgoglio LGBT, e per estensione tutto il mese diventa il Pride month, il mese dell’orgoglio. Per capirne il motivo bisogna risalire a un evento accaduto più di cinquant’anni fa, nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969: i Moti di Stonewall.

I Moti di Stonewall da cui nacque l’orgoglio LGBT

Negli Stati Uniti, dal dopoguerra in poi, gli omosessuali erano oggetto di ripetute persecuzioni, che andavano dai licenziamenti, ai fermi e agli arresti. Stavano nascendo le prime organizzazioni per la difesa dei diritti gay, ma non erano ancora abbastanza efficaci, e le irruzioni della polizia nei locali erano frequenti.

Anche quella notte del giugno 1969 gli agenti entrarono allo Stonewall Inn, un locale nel Greenwich Village di New York, con quell’obiettivo: avrebbero arrestato chi non aveva documenti o era vestito con abiti del genere opposto. Tuttavia, le cose non andarono come previsto e molte persone si opposero alla polizia. In poco tempo, fuori dal locale si riunì una folla, formata da tanti appartenenti alla comunità LGBT: alcune figure che diventarono simbolo di quella notte furono le donne transgender Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, e la performer Stormé DeLarverie, che urlando contro un poliziotto è passata alla storia come “la lesbica che ha dato il via ai Moti di Stonewall”.

Le proteste coinvolsero migliaia di persone, e si protrassero per altre cinque notti. Di lì a poco nacque il primo, grande movimento per i diritti LGBT.

L’orgoglio LGBT e la nascita del Pride

Prima dei Moti di Stonewall era già successo che la comunità LGBT provasse a ribellarsi ad alcune ingiustizie locali. Ma quella notte è entrata nell’immaginario comune di così tante persone che la comunità dell’epoca non ha avuto dubbi sul considerarla una specie di data zero da cui far nascere il movimento di liberazione omosessuale.

Infatti, subito nell’estate successiva, un’attivista bisessuale di nome Brenda Howard, insieme a diverse associazioni, pensò di creare la Christopher Street Liberation Day, una marcia che si sviluppava lungo alcune vie di Manhattan per commemorare le proteste spontanee dell’anno precedente e chiedere a gran voce il rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone omosessuali, bisessuali e transgender. Col passare del tempo, quella prima parata, con i suoi ideali e la sua logica, è stata esportata in tante altre città di tutto il mondo, e oggi viene chiamata Pride.

Attenzione, non si chiama “Gay Pride”, come ancora tanti giornali riportano: la comunità LGBT è molto varia, e non si limita ai soli omosessuali. Ci sono persone bisessuali, transgender, queer, intersex, asessuali, e tante altre “comunità nella comunità”. A volte, per indicarle tutte, si aggiunge il simbolo + in fondo alla sigla: LGBT+.

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Perché la parola orgoglio?

L’idea che sta alla base del Pride è che nessuno dovrebbe vergognarsi per ciò che è, né per il genere della persona che ama, da cui è attratta o con cui ha rapporti sessuali. Insomma: in una società che, nel 1969 come oggi, considera diverse le persone LGBT, il solo fatto di poter manifestare in una parata rappresenta una posizione politica.

Esistere, dire di essere esattamente ciò che si è quando tutti gli altri vorrebbero farti nascondere, è una posizione politica. Al Pride ci sono tantissimi corpi e tantissimi cuori orgogliosi di essere ciò che sono, nonostante alcune persone li considerino anormali, contronatura, non meritevoli di essere visti e, a volte, mostri.

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Serve ancora il Pride?

Se pensate che la comunità LGBT abbia tutti i diritti di cui gode il resto della popolazione, purtroppo vi sbagliate. È vero che, specialmente nei paesi occidentali, la situazione è migliorata rispetto a cinquant’anni fa, ma siamo ben lontani dalla completa equità. In alcuni Paesi del mondo essere gay è reato. In altri sono legali le teorie riparative che vorrebbero convertire all’eterosessualità.

Ma non serve andare troppo lontano per assistere ai casi di omofobia e di transfobia: anche in Italia le vittime di discriminazione sono sempre in aumento, come racconta Sara Sartori nel suo podcast Casa+, in cui intervista direttamente le persone che sono state rifiutate dalla propria famiglia di origine proprio a causa dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

Ecco perché il Pride e giornate come quella dell’orgoglio LGBT sono ancora assolutamente necessarie.

 

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