Garante dei detenuti, quasi 3800 reclusi con condanne brevi potrebbero evitare il carcere

di Giovanni Bianconi

Così si eviterebbe il sovraffollamento e anche il rischio di abbrutimento: le pene brevi non consentono quella possibilità di rieducazione e reinserimento che dovrebbero essere lo scopo della detenzione. La relazione di Mauro Palma al Parlamento

Se tutti coloro che ne hanno diritto chiedessero e fossero ammessi a scontare le pene brevi o medie fuori dal carcere, il problema del sovraffollamento nei penitenziari italiani sarebbe sostanzialmente risolto. O quasi. È un dato che si ricava dalla relazione annuale al Parlamento svolta in Senato da Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà.
Davanti al presidente della Repubblica e alle più alte cariche istituzionali, Palma rivela un dato che evidenzia proprio questo problema: dei 53.793 detenuti presenti all’ultimo rilevamento, «ben 1.319 sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno, e altre 2.473 per una condanna da uno a due anni». Significa che 3.792 reclusi potrebbero scontare la pena al di là delle sbarre dietro cui si trovano attualmente, senza nemmeno varcare la soglia del carcere.

Una cifra più o meno corrispondente alla differenza tra la capienza regolamentare dei penitenziari italiani e le presenze effettive; cifra che salirebbe ancora, e di molto, se si considerasse la soglia dei quattro anni di pena o residui, fissata dalla legge per l’esecuzione esterna.

«Minorità sociale»

Il motivo di questa situazione risiede nelle decisioni dei giudici, ma soprattutto nel fatto che chi ha diritto a chiedere questo beneficio non è in condizione di chiederla (ad esempio per mancanza di una dimora dove scontare la detenzione domiciliare) o non ha un’adeguata assistenza legale. Al di là del problema del sovraffollamento, questi scampoli di condanne scontati in una prigione anziché nelle forme alternative previste dall’ordinamento, sono quindi sintomo di una «minorità sociale» – così la chiama il Garante – che non solo costringe in cella anche chi potrebbe non starci, ma finisce per rendere inutile e «meramente enunciativa» la «finalità costituzionale delle pene in quella tendenza al reinserimento sociale». Pensare di impostare, per i reclusi che devono stare dentro un anno o poco più, un cammino che li restituisca migliori di come sono entrati, è complicato se non impossibile. «La complessa ‘macchina’ della detenzione – spiega Palma – richiede tempi per conoscere la persona, per capirne i bisogni e per elaborare un programma di percorso rieducativo. Al di là della volontà del Costituente e delle indicazioni dell’ordinamento penitenziario, queste detenzioni si concretizzano soltanto in tempo vitale sottratto alla normalità – interruzioni di vita destinate probabilmente a ripetersi in una inaccettabile sequenzialità».

I tempi lunghi dei processi

C’è dunque il rischio, per che chi va in prigione ma potrebbe non andarci, di ritrovarsi in un percorso inverso a quello previsto dalla Costituzione e dalle leggi, perché il tempo del carcere si tramuta in una «sospensione» che potrebbe spingerlo, una volta uscito, verso la commissione di nuovi reati e quindi a tornare in cella. Un’altra criticità, sotto questo profilo, resta quella dei tempi lunghi dei processi, e il Garante saluta con favore i «recenti procedimenti adottati» che dovrebbero ridurli, «perché una sentenza che deve essere eseguita dopo molti anni finisce con assumere una fisionomia ben diversa da quella che la vorrebbe orientata alla rieducazione e al reinserimento».

Detenzione minorile

Quanto alla detenzione minorile o dei «giovani adulti», i numeri indicano come il ricorso al carcere resti una «misura estrema»: «Il numero attuale di 358 presenti negli istituti penali minorili (di cui soltanto 163 al di sotto dei 18 anni) e il parallelo numero di 3.001 minori in ‘messa alla prova’ e di altri 784 in varie modalità alternative sono indicativi di questo quadro positivo». Tuttavia, avverte Palma, «qualche segnale non rassicurante si è registrato recentemente e riguarda la tendenza, soprattutto in alcune aree territoriali, spesso al Nord, alla crescita del numero di minorenni autori di reati compiuti collettivamente e la cui rilevanza richiede misure restrittive». Un incremento che rischia di creare squilibri pericolosi giacché, a causa della capienza limitata di alcune strutture, può «determinare spostamenti verso istituti geograficamente distanti, a detrimento dei rapporti familiari e affettivi e della connessione territoriale funzionale al ritorno».

Il «carcere duro»

Sul «41 bis», cioè il cosiddetto «carcere duro» per terroristi e mafiosi, resta la raccomandazione che venga mantenuto solo per interrompere il legame tra l’appartenente all’organizzazione criminale e la realtà esterna, con l’impegno del Garante a mantenere alta«l’azione di vigilanza affinché nessuna misura sia introdotta o mantenuta sulla base giustificativa di altri criteri, dettati dalla volontà di maggiore afflittività».

Migranti e soluzioni «strutturali»

Infine sui migranti irregolari rinchiusi negli hotspot, nei centri per il rimpatrio e sulle «navi quarantena», i dati forniti da Palma indicano che «a fronte di 44.292 persone registrate negli hotspot nel corso del 2021 (e tra esse 8.834 minori) le persone rimpatriate sono state 3.420, anche in ragione della minore possibilità di organizzare voli di rimpatrio. Appena il 7 per cento. «Il tema però – denuncia Palma – continua a essere affrontato, nei suoi miglioramenti e nelle persistenti problematicità, in termini emergenziali e non strutturali: quasi fosse ancora un problema nuovo, rispetto al quale deve essere sviluppata una politica solida e non congiunturale, a livello italiano ed europeo». Di qui una raccomandazione: «Il Garante auspica che si avvii una nuova fase di riflessione che, partendo dalla connotazione strutturale delle migrazioni, ricerchi quelle soluzioni di sistema che contemplino la possibilità di accesso regolare nel nostro Paese, forme di accoglienza volte a facilitare un inserimento graduale, diffuso e sicuro nei diversi territori, verso cui indirizzare gli investimenti nel settore». E ancora, sempre in tema di migranti: «Certamente l’accoglienza non può limitarsi a una fase di soccorso, ma deve avere una linea progettuale di percorsi di inserimento e di riconoscimento del loro compiersi. Per questo il Garante auspica che sia quanto prima riconosciuta la piena cittadinanza a coloro che da tempo in Italia, hanno compiuto un completo ciclo scolastico»

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