Elena Del Pozzo, la confessione della mamma: «Ha visto i cartoni animati, poi l’ho colpita con forza come fossi un’altra persona»

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di Alfio Sciacca, inviato a Catania

Il drammatico interrogatorio di Martina Patti: «Ricordo solo di avere pianto tanto»

«Quando ho colpito Elena avevo una forza che non avevo mai percepito prima. Non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma, ma ho un ricordo molto annebbiato». È una donna gelida quella che alle 12.50 di ieri, nella caserma del comando provinciale dei carabinieri di Catania, assistita dall’avvocato Gabriele Celesti, confessa di aver ucciso la figlia Elena. Una mamma totalmente diversa da quella che meno di 24 ore prima si era presentata in lacrime ai carabinieri del suo paese, Mascalucia, per denunciare che la figlia era stata sequestrata da tre uomini armati e incappucciati.

L’inizio della confessione di Martina Patti, 23 anni, sembra un normale quadretto familiare. Quella donna minuta, mamma-bambina che frequentava la facoltà di Scienze Infermieristiche a Messina, descrive in maniera piana il rientro a casa con la figlia, dopo l’asilo. Prima dell’orrore di sette coltellate al collo e alla schiena e poi il corpo riposto in cinque diversi sacchetti di plastica, uno dentro l’altro, come una macabra matrioska. E poi il terriccio buttato sopra per nascondere tutto.

«Quando ho preso mia figlia all’asilo siamo andate a casa mia — racconta —, Elena ha voluto mangiare un budino poi ha guardato i cartoni animati dal mio cellulare. Io intanto stiravo… in serata saremmo dovute andare da un mio amico per il suo compleanno ed Elena era contenta… poi siamo uscite per andare a casa di mia madre, ma poi ho rimosso tutto». Il piano per uccidere la bambina, però, è già in atto. «Non ricordo se ho portato con me qualche oggetto da casa. All’incirca erano le 14.30, siamo andate nel campo che ho indicato ai carabinieri». E poi aggiunge: «Era la prima volta che portavo la bambina in quel campo… ho l’immagine del coltello, ma non ricordo dove l’ho preso. Non ricordo di aver fatto del male alla bambina, ricordo solo di aver pianto tanto».

Quasi assente, ricostruisce la fase successiva al delitto e la messinscena del rapimento. «…forse ho capito che la bambina era morta e non sapevo che cosa fare. Subito dopo ho chiamato il padre di Elena, ma ero così agitata che non capivo cosa dicessi… quindi sono andata a casa dei miei genitori, ero molto confusa e quello che era successo non mi sembrava reale». Gli inquirenti la incalzano ma lei è evasiva: «Non ricordo dove ho messo il coltello… prima di andare dai miei genitori mi sono cambiata, ma i vestiti che indossavo quando ero con la bambina non erano sporchi di sangue, ero macchiata solo nelle braccia e ricordo che piangevo forte… quando ho incontrato i miei genitori e Alessandro (l’ex compagno, ndr) ho inventato la storia che ci avevano fermato e che avevano rapito la bambina sfruttando la storia delle minacce ad Alessandro». Il riferimento è ad un particolare vero. Tempo fa il compagno aveva ricevuto un biglietto di minacce a lui e alla bambina. Un dettaglio che nella mente di Martina avrebbe reso credibile la storia del sequestro, da collegare però ai vecchi precedenti penali del padre di Elena.

La donna è molto evasiva sull’occultamento del cadavere: «Non ricordo di aver sotterrato la bambina, ma sicuramente sono stata io». E poi la parte più agghiacciante: «Non ricordo cosa sia passato per la mia mente quando ho colpito mia figlia, anzi posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa». La voglia di confessare sarebbe maturata dopo l’interrogatorio della notte. «Stamattina (ieri, ndr) all’uscita dalla caserma mentre salivamo a casa ho cominciato a raccontare la verità a mio padre, anche se con difficoltà e con il timore che potesse sentirsi male».

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