Decessi e ricoveri pari a un anno fa, è insostenibile Draghi agisca con ogni mezzo necessario. Ora.

Il 9 aprile 2020 ci trovavamo nel picco della prima ondata del Covid-19, un mese esatto dopo l’annuncio del lockdown da parte di Giuseppe Conte, all’epoca presidente del Consiglio.
Scarseggiavano le mascherine nelle farmacie e le bombole d’ossigeno negli ospedali, gli elicotteri segnalavano i trasgressori solitari in spiaggia, mentre si restava chiusi in casa cercando un conforto dai balconi. Avevamo in testa le immagini dei camion militari che trasportavano le bare delle vittime di Bergamo.
Il 9 aprile 2021 abbiamo a disposizione tre vaccini, di cui due a mRNA, e quello prodotto da Johnson & Johnson verrà presto distribuito alle strutture incaricate della campagna vaccinale; un governo è caduto e uno nuovo si è insediato promettendo discontinuità; abbiamo capito l’importanza dell’eparina e dei cortisonici, facciamo molti più tamponi e le mascherine si trovano ovunque; siamo passati dal lockdown puro alla strategia dei colori; le scuole sono state aperte e poi richiuse, così come ristoranti, bar e diverse la maggior parte delle attività. Nessuno canta più dai balconi.
L’esperienza accumulata e l’anno passato non hanno però prodotto i risultati sperati: i numeri relativi agli ospedali di un anno fa sono identici a quelli di oggi. Per la precisione, il 9 aprile 2020 sono stati registrati 28.399 ricoveri ordinari e 3.605 pazienti totali ricoverati in terapia intensiva. Il 9 aprile 2021 i ricoveri sono stati 28.146 e i degenti in terapia intensiva erano 3.603.
Qualcuno potrebbe dire che è cambiato il numero dei contagi, considerando che il picco durante la prima ondata è stato raggiunto il 21 marzo con 6.557 positivi, mentre oggi faremmo carte false per tornare a quei numeri. È però un ragionamento errato, perché i casi durante la prima ondata sono stati molto sottostimati: secondo l’Iss erano 6-7 volte superiori a quelli conteggiati, per diversi virologi ed epidemiologi ancora di più. Quindi è molto probabile che i seimila casi giornalieri di marzo fossero in realtà più di cinquantamila. Il motivo è che i numeri dei tamponi effettuati al giorno tra il 24 febbraio e il 21 marzo 2020, non superava i 180mila, mentre oggi riusciamo a superare i 300mila tamponi anche in una sola giornata, inserendo nel conteggio anche i tamponi antigenici. Quindi non è la differenza tra i contagi a determinare questa analogia tra i dati ospedalieri.
C’è chi potrebbe tirare in ballo la variante inglese, ormai predominante in tutta la penisola e certamente, a detta dei virologi e delle principali riviste scientifiche, più contagiosa. È anche questa una forzatura, perché tra ottobre e novembre abbiamo avuto numeri peggiori rispetto a oggi sia per casi che per ricoveri, e la variante inglese non era ancora presente in modo massiccio in Italia. Inoltre il Regno Unito ha arginato la forza virale della sua variante e oggi, grazie alla chiusura di scuole, pub e ristoranti e a una vaccinazione massiccia, ha numeri più bassi della Lombardia, pur avendo quasi 67 milioni di abitanti. Inoltre i tre vaccini disponibili attualmente in Italia sono efficaci anche contro la variante inglese, quindi vaccinando con maggiore efficienza avremmo evitato migliaia di morti e di ricoveri. Invece soltanto il 38% degli over 80 è al momento immunizzato.
È proprio la lentezza delle vaccinazioni la principale causa per spiegare il motivo per cui in un anno non sia cambiato nulla nei numeri dei ricoveri e delle terapie intensive. In conferenza stampa Mario Draghi ha accusato i giovani che si sono vaccinati, usando come esempio gli psicologi 35enni. Va però detto che gli psicologi under 35 avevano diritto a essere vaccinati per legge, e quindi non possono essere definiti furbetti o salta-fila. Per invertire la rotta, la recente ordinanza del generale Figliuolo, successore di Arcuri come Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, ha ristabilito le priorità per la distribuzione delle dosi, ovvero gli over 80 e i soggetti fragili. Lo stesso Figliuolo qualche settimana fa aveva però dichiarato che avrebbero vaccinato chiunque, anche “il primo che passa”. In pratica la classe dirigente si è accorta che è necessario proteggere le persone che maggiormente rischiano di morire, cioè gli anziani e i malati.
Certo, ci sono eccezioni che non possono essere dimenticate: è stato giusto vaccinare trentenni medici, infermieri o lavoratori a contatto con i malati, perché chi lavora in prima linea ha bisogno di tutta la protezione disponibile, anche per rendere più sicuri gli ospedali per i pazienti. Sicurezza che in ogni caso non può essere totale, considerando che anche i vaccinati possono essere contagiosi, seppur con un’incidenza minore in base al tipo di vaccino fatto. Alcune categorie però hanno avuto un trattamento di riguardo: era davvero necessario vaccinare avvocati di 31 anni, peraltro con una gestione a macchia di leopardo, o ricercatori di 28 che non mettono piede in facoltà da mesi? Un criterio di distribuzione così opaco da aver portato diverse categorie a insorgere: dai cassieri dei supermercati che sono a stretto contatto con centinaia di clienti al giorno, ai dipendenti che lavorano in spazi angusti e senza la possibilità di farlo da casa. Nessuno di loro ha torto, ma intanto la stragrande maggioranza dei decessi riguarda ancora gli anziani.
Questa ambiguità nella distribuzione delle dosi è la principale criticità della campagna di vaccinazione in Italia. Il paradosso è che il  numero di dosi somministrate è più alto che in Germania e Francia, considerando il rapporto vaccini per 100mila abitanti, e siamo sopra la media dell’Unione europea. Il fatto che noi continuiamo ad avere uno dei tassi di letalità più alti al mondo non è quindi dovuto al numero di dosi somministrate, ma alla platea che le riceve. Attualmente 330mila trentenni hanno ricevuto la seconda dose del vaccino, contro 157mila settantenni.
Eppure il motivo dei numeri identici a quelli dello scorso anno non può ridursi alla sola campagna vaccinale. Una grande responsabilità è sicuramente da attribuire alla classe dirigente, tanto nazionale quanto locale. Ha sbagliato il precedente governo così come quello attuale; hanno pesato le campagne negazioniste sia della Lega ora al governo con Draghi che di Fratelli d’Italia, che per mesi hanno parlato di virus clinicamente morto e lisciato il pelo alla parte di opinione pubblica che si oppone all’uso dei dispositivi di protezione e alle misure di contenimento. Anche l’Unione europea ha contribuito accettando contratti  poco limpidi con le case farmaceutiche. Secondo un’analisi di Politico, gli accordi stipulati da Bruxelles sarebbero poco dettagliati su alcuni punti specifici importanti, per esempio riguardo all’adempimento di consegnare la merce in base all’esatta formulazione del contratto, rispetto, per esempio, a quelli siglati dal Regno Unito. Non si può negare anche la colpa di un sistema mediatico che spesso ha preferito terrorizzare la popolazione piuttosto che informarla, cavalcando e amplificando le paure e le isterie collettive al punto da rallentare la stessa campagna vaccinale, come dimostra il rifiuto massiccio di parte della popolazione di vaccinarsi con il siero AstraZeneca.
Allo stesso tempo è giusto che anche i cittadini si assumano le proprie responsabilità. Il virus non è una punizione divina, e se ci ritroviamo nella stessa situazione dello scorso anno è anche perché abbiamo un problema con il rispetto delle regole e con il senso civico. C’è chi si è appellato alla libertà personale per giustificare il menefreghismo durante la pandemia, ma la libertà personale finisce dove quella altrui. Dopo più di un anno si incrociano ancora per strada e nei luoghi pubblichi persone che si rifiutano di indossare correttamente la mascherina, altri che neanche fingono di portarle, soprattutto nei luoghi che l’Iss indica come i principali protagonisti della trasmissione del virus: le abitazioni private.
È bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità, ma l’esempio maggiore deve venire dall’alto. Mario Draghi deve essere il primo ad ammettere di non essere stato tempestivo nella rielaborazione delle strategie per superare la pandemia e agire perché questo accada nei tempi più brevi. La logica della politica che insegue il consenso e non si assume mai le proprie responsabilità deve essere smantellata in ogni modo, per il bene della collettività e per salvare centinaia di vite umane.
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Fonte: The Vision.com

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