Cosimo Di Lauro, chi era il boss della guerra a Scampia: ritratto di un camorrista

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di Roberto Saviano

È morto dopo 17 anni di carcere duro a Milano. Nel 2004 scatenò gli omicidi contro gli scissionisti

L a notizia della morte di Cosimo Di Lauro
, Cosimino, mi ha riportato direttamente nei giorni della faida di Scampia, quando lui si fece Generale di una delle più sanguinose guerre interne accadute in un’organizzazione criminale, una delle più sanguinose della storia umana. Era nato fortunato e incoronato: primo figlio del boss Paolo Di Lauro. Era nato l’8 dicembre del ’73, e questo era sembrato al padre un segnale miracoloso: il primo figlio maschio che nasce il giorno dell’Immacolata Concezione.

Cosimo ha tradito tutte le aspettative di suo padre. Cosimo ha sbagliato tutto quello che era possibile sbagliare. Ha tradito persino il suo nome — Cosimo — che viene da kòsmios, moderato. Non fu moderato mai, neanche per un istante, nella sua vita. Cosimo è rispettato solo perché è il figlio di Paolo. È chiamato «’o Chiatto», cresce grosso, goffo, non ha mai sparato in vita sua. Sì, certo, in strada ci si «vatte», ci si picchia spessissimo, è un modo per misurare la propria mascolinità, corteggiare, mostrarsi vincenti. Ma Cosimo, se non fosse figlio di re, non riuscirebbe neanche a fare l’autista per una famiglia di camorra. Dentro di sé ha voglia di emergere, ha una grande rabbia, brama ad essere rispettato da suo padre per ciò che è, non semplicemente perché è nato dal suo sangue. Ha vissuto una vita in competizione, cercando di essere amato dal genitore, che fra tutti i figli, probabilmente, preferiva Vincenzo, trovandolo più capace di gestire la responsabilità del potere. E la madre, fra tutti, era molto legata ai più piccoli, Antonio, e Giuseppe l’unico incensurato.

Proprio mentre il padre è assente, accade l’episodio destinato a diventare cruciale, ce lo raccontano i pentiti: Nunzio, il litigiosissimo fratello di Cosimo, si picchia con un affiliato del clan Licciardi. Lello Amato viene mandato a parlare con questa persona dei Licciardi, per dire che non si devono permettere di toccare Nunzio. È stata la regola aurea di tutta la storia della camorra degli ultimi anni: il sangue dei Di Lauro non viene mai messo a terra, perché è il sangue di coloro che portano qui la droga di qualità, e quindi sono i fornitori di ricchezza e lavoro per tutti. Chi fornisce è intoccabile. Ma questo affiliato dei Licciardi, gli risponde minacciandolo di morte: «Se vieni qua un’altra volta ti sparo in bocca».

Lello amato va da Cosimo, riporta quella minaccia, gli dice che una cosa simile non è accettabile e che lui, quindi, avrebbe ucciso questo affiliato dei Licciardi. Cosimo glielo impedisce, dicendo che è lui a decidere chi muore adesso. È il primo atto in scena di Cosimino, che inizia una lenta rivoluzione maltrattando tutti i colonnelli del padre. Il senso è: basta potere ai vecchi. I liberi imprenditori diventano dipendenti. Cosimo dà l’ordine: tutti a stipendio, riceveranno soltanto un salario, le piazze tornano alla gestione diretta dei Di Lauro, non si è più liberi tra pari, ma c’è un re e tutti gli sono sudditi. Avviene la scissione. Fulvio Montanino viene mandato a uccidere Luigi Aliberti, con cui divideva una piazza, ’o Luongo.

Chiunque si pone contro di lui deve essere ucciso. Un killer degli Scissionisti, Gennaro Notturno, scappa, e gli uomini di Cosimo tortureranno una ragazza bruciandola, Mina Verde, perché non rivela il luogo dove è nascosto Notturno, con cui ha avuto una relazione. La Scissione cerca di far rientrare Paolo Di Lauro a tutti i costi, gli scissionisti vogliono che il padre riprenda il potere, ma Cosimo continua la guerra. Settanta morti in un anno soltanto, in un fazzoletto di terra. Muoiono moltissimi innocenti, persone uccise per scambio di persona, come Dario Scherillo e Attilio Romanò, o Antonio Landieri, che si trovava semplicemente sulla linea di tiro in un agguato.

Cosimo considera tutto questo come la sua vittoria: lo vedevano come un chiattone incapace di uccidere, e invece ora tutti hanno paura di lui. Ma gli affari iniziano ad andare male. L’attenzione mediatica è tantissima, questo porterebbe qualsiasi capo clan a fermarsi, ma non Cosimo, che invece vede la sua vendetta: più violenza c’è, più lui è forte, più i suoi nemici avranno paura e cercheranno una negoziazione, andranno via e gli lasceranno il campo. È convinto che persino i morti innocenti giocheranno a suo favore, tanto che diversi pentiti diranno che la sua frase era: «Cchiù sanghe amma fa punt’», più sangue più alto il punteggio. La morte di innocenti non è un problema, perché se la sua furia tocca persino chi non c’entra con le dinamiche di camorra significa che chi invece è coinvolto non avrà scampo di salvezza.

Dopo tre anni di guerra e di ferocia tra scissionisti e Di Lauro siamo all’epilogo. Quando arrestano Cosimo, nel gennaio del 2005, i carabinieri non riescono a prelevarlo: l’Italia intera raccontò che il quartiere difese il boss, un atto di solidarietà verso il capo, ma non è così semplice. Ci fu un’effettiva rivolta, ma serviva a dire al capo: non siamo stati noi a parlare, non siamo noi i traditori, prenditela con chi ha davvero tradito il quartiere. Cosimo è stato un sovrano criminale per poco tempo. In questi 17 anni in carcere duro al 41 bis, Cosimo sembrerebbe completamente impazzito: non si lavava più, non voleva più colloqui, non rispondeva agli avvocati. Tutti, in realtà, l’hanno lasciato solo. Poteva pentirsi, provare a rimediare, però non voleva essere il primo della sua famiglia a collaborare. Il suo silenzio ha comunque protetto le imprese nate dai suoi soldi, le campagne politiche sostenute dal narcodenaro, i flussi di corruzione che in questi anni hanno deciso appalti, processi, equilibri. Tutto quello che poteva sbagliare ha sbagliato. Non sappiamo ancora il motivo della morte di Cosimo: infarto, ischemia, suicidio… qualcuno dice autoavvelenamento. Ma qualunque sia la causa della sua morte, il senso è questo: per un camorrista neanche quando si muore arriva la pace. E ora mi sento solo di dire: è così che immaginavi sarebbe stata la vita di chi ha il potere di decidere della vita e della morte di tutti, Cosimì?

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