Come costruire un uomo libero?

Qualche tempo fa scrissi un articolo dove parlavo di libertà. In esso, scrivevo che il primo passo per arrivare alla libertà è che ci siano uomini liberi.
E tra le critiche, ce ne fu una, singolare, di un amico di vecchia data, il quale mi disse testualmente “In vent’anni che ti leggo, spesso sono stato d’accordo con te, molte altre volte no. Ma questa è forse la prima volta che un tuo scritto non dice assolutamente nulla. Perché la vera domanda è come si educa un individuo alla libertà”.
E dal momento che se ho un pregio, fosse anche uno solo, questo è sicuramente di parlare chiaro e andare sempre al nocciolo della questione, quando accade il contrario – e per fortuna, credo che accada raramente – per me è una sconfitta in casa. Però ha ragione lui: dire che per arrivare alla libertà occorrano uomini liberi, è una cosa che, da sola, non significa nulla.
Al riguardo, la prima cosa da dire è che la libertà non è un valore assoluto ma, sempre e solo, relativo.
E dico relativo nel senso etimologico del termine, nel senso che si relaziona a qualcosa o qualcuno. Ad una legge, per esempio. Che può vietarci determinate cose che altrove sono invece consentite e invece ce ne consente alcune che altrove sono vietate. Alla volontà altrui. Ai nostri bisogni in relazione alle risorse disponibili. A tutta una serie di cose che possono diminuire la nostra possibilità di fare o di dire ciò che vorremmo. E dinnanzi alle quali a quel punto, o aumentiamo le nostre possibilità di fruire di certe facoltà o diminuiamo i nostri bisogni.
Personalmente, ho sempre pensato che la libertà derivi dall’autosufficienza.
Poiché sono un uomo di questo tempo e di questo spazio, ho i miei desideri. Ma faccio in modo che non mi schiavizzino. E se proprio voglio soddisfarli ma non ho i mezzi per farlo, cerco di costruirmeli. Non vivo al di sopra delle mie possibilità, non ho debiti con nessuno – la semplice parola “debito” mi provoca la stessa orticaria che la parola “novax” provoca a Burioni – e cerco in tutti i modi di autoprodurmi, per quanto ne sia in grado, ciò che mi serve.
Tanto che il mio sogno è quello di ricomprare il terreno che fu del mio nonno paterno e vivere di cose prodotte dalla terra. E da quindici anni, per vicende personali molto dolorose, ho un’arma da fuoco regolarmente denunciata per difesa personale. Senza con questo darmi arie da cowboy, dato che so benissimo che se qualcuno in casa mia venisse ad aggredirmi con un mitra, ovviamente soccomberei senza problemi. Ma, al di là delle chiacchiere pelose dei radical chic, quando qualcuno entra in casa nostra senza il nostro consenso, l’unica cosa che dà speranza di salvarsi è la possibilità di fargli molto male.
Naturalmente, l’autosufficienza assoluta non esiste.
Così come non sempre è possibile vivere come vivo io, senza contare che ciò che sta bene a me, può benissimo non stare bene a tantissime altre persone. Ma il punto è proprio questo. Si è tanto più liberi quanto meno si ha bisogno di qualcosa o di qualcuno per sopravvivere. Si potrebbe dire che cercare la libertà sia come correre verso l’orizzonte. Non si potrà mai raggiungerlo ma intanto ci si muove. Ai livelli più alti, cioè quando parliamo di politica, specialmente di geopolitica, la libertà di una nazione è quella di non dipendere da nessuno.
E anche qui è del tutto illusoria la presunzione di un paese di vivere unicamente delle proprie risorse, dunque ciò che ci manca dobbiamo ottenerlo stabilendo delle buone relazioni con gli altri paesi. Ma tutto ciò viene reso difficile se una nazione è particolarmente bisognosa di qualcosa. Perché chi la possiede, naturalmente, se conscio dei nostri bisogni e della sua esclusività, farà in modo di alzare il prezzo per quanto possibile. Dunque una nazione davvero libera avrà un esercito ben addestrato – e dunque farà fare ai suoi cittadini un servizio militare serio, non dico alla israeliana ma neanche la burletta che era divenuta la nostra naja – si armerà in modo da sconsigliare ai nemici qualsiasi aggressione, farà pochissimi debiti, avrà una propria moneta e cercherà, per quanto possibile, di farsi più forte, in modo da non suggerire ai nemici la possibilità di aggredirli gratis.
Fu questo ad ispirare il famoso brocardo latino, si vis pacem, para bellum.
Così, costruire un uomo libero significa educarlo ad avere meno bisogni possibili e nel contempo insegnargli i mezzi per ottenere onestamente il necessario e quel superfluo a cui proprio non si può rinunciare; educarlo a prendersi cura di se stesso, sia nel senso di autodifendersi quando necessario, sia nel tutelare un bene primario come la salute.
Perché quanto più si ha bisogno di qualcuno che ci protegga, tanto più si affacciano sul proscenio tanti protettori più o meno bene intenzionati.
L’uomo è infatti un animale sociale. E’ del tutto impensabile che possa provvedere da solo a tutto. Tende dunque a creare legami con altri suoi congeneri. Al più alto livello, quando c’è un gruppo che domina tutti gli altri, tutto questo si chiama Stato. Che si occupa dell’istruzione dei consociati, della loro difesa, della risoluzione delle loro controversie e, tema strategico oggi, della salute pubblica.
Ma se gli si danno troppi compiti, inevitabilmente finisce per diventare oppressivo e costoso. Sciupone perché la sua logica non è economica. E non essendo efficiente, genera un eccesso di aspettative che poi la criminalità organizzata, che vive inserendosi nel divario tra queste aspettative e la realtà, tenta di soddisfare nell’interesse del capoclan, contribuendo a peggiorare le cose.
Da questo assieme di cose, se ne ricava una conclusione fondamentale: uno stato è tanto più libero e democratico quanto meno gravato dalle aspettative dei cittadini.
Ed è esattamente questo il punto. Molti dicono di battersi per la libertà ma poi cadono nella tentazione del Padre che si prenda cura di loro, senza rendersi conto di consegnarsi ad un padrone/padrino, abilissimo a vendere queste suggestioni salvo chiedere un conto salatissimo. Che talvolta poi sfocia nei deliri totalitari che ben conosciamo e di cui stiamo osservando solo l’ennesima reincarnazione.
Così, in rapida sintesi, educare un uomo alla libertà non significa consegnarlo ad una cultura priva di doveri ma mostrargli come la libertà richieda un’attrezzatura mentale e psicologica che non è alla portata di tutti, dato che spesso il cammino della vita è attraversato dal pericolo di rimanere soli, indifesi nei sentieri più oscuri. E soprattutto, come ogni protettore sia abituato a chiedere un pizzo in cambio dei suoi servigi, tanto alzando il prezzo della sua protezione, tanto decidendo di sbarazzarsene di qualcuno, quando quei protetti diventano troppi. Magari con un vaccino?
Il cittadino davvero libero è quello che sa stare da solo, che si industria per imparare a prendersi cura di se stesso, che non ha bisogno di delegare ad un illusorio padre putativo il senso della propria vita.
E uno stato è davvero liberale e democratico se insegna al cittadino a difendersi. Persino dal potere dello stato stesso.
FRANCO MARINO
Fonte: Il Detonatore.it

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