Cinque anni senza Keith Emerson, mago delle tastiere

L’11 marzo 2016 il musicista britannico del trio Emerson, Lake & Palmer si toglieva la vita a 71 anni per la depressione causata da una malattia degenerativa che gli impediva di suonare ai livelli che avrebbe voluto.
Ricordare Keith Emerson è importante. Non solo perché è stato uno dei grandi divi dell’era del rock progressivo, ma anche e soprattutto perché Emerson è stato uno dei grandi musicisti del secolo scorso. Cinque anni fa, l’11 marzo 2016, il tastierista e compositore inglese moriva suicida, nella sua casa di Santa Monica, in California, all’età di 71 anni. A portarlo all’estrema decisione era stato la depressione della quale era vittima da tempo, a causa di una malattia degenerativa del tessuto nervoso della mano destra che gli impediva l’uso di tre dita. Si era già sottoposto a un intervento a entrambe le mani negli anni Novanta, ma la situazione era via via andata peggiorando e questo, per un tastierista come Emerson, che dell’agilità delle dita aveva ovviamente necessità, l’aveva portato in uno stato di scoraggiamento e malessere sempre più grande.
Era un virtuoso del pianoforte, dell’organo (in particolare dell’Hammond), e delle tastiere elettroniche, era stato un pioniere nell’uso dei sintetizzatori, in particolare del Moog, che rese popolarissimo all’alba degli anni Settanta, ma non era la tecnica, l’abilità come solista, ad averlo reso grande, quanto l’intelligenza musicale, l’incredibile (davvero, non sembri un’aggettivo esagerato) capacità di sintesi originali, di soluzioni creative, innovative, uniche. Sin dai tempi dei Nice, la sua prima formazione di successo, che con Ars longa, vita brevis avevano stabilito i confini di un territorio musicale nuovo, in bilico tra i generi, nel quale le categorie di “colto” e “popolare” erano diventate inutilizzabili.
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Emerson, come pochi altri musicisti della sua generazione, aveva saputo mescolare con assoluta naturalezza il jazz, la musica classica e il rock, MussorgskyBachColtraneBruebeckElvis e Hendrix, in un insieme che aveva preso forma nell’opera del trio che lo ha portato al successo planetario, Emerson, Lake & Palmer. Conta, ovviamente, che Emerson con la band abbia contribuito in maniera determinante alla bellissima stagione del rock progressivo, ma è per le sue innate doti di sperimentatore, ricercatore, compositore che dovrebbe essere annoverato tra i più importanti musicisti del secolo scorso. Basta provare a riascoltare i primi tre album del gruppo per comprendere come Emerson fosse ampiamente più avanti, concettualmente parlando, di molti suoi contemporanei, per capire come avesse già superato le necessità delle etichette, le regole statutarie dei generi, come fosse andato “oltre”, fondendo tutti gli elementi necessari per creare una musica che potesse essere libera e totale. Ma al tempo stesso non aveva dimenticato la spettacolarità, anzi nei concerti dal vivo concedeva forse anche troppo a questa parte della sua personalità, divistica e luminosa, con abbigliamenti glitter e accoltellamenti della tastiera sul palco.
Emerson era sempre alla ricerca di nuove strade e il suo rapporto con le tecnologie più avanzate dell’epoca, parliamo della prima metà degli anni Settanta, lo avevano trasformato spesso in un’esploratore, capace di disegnare mappe del suono completamente nuove, sulle quali molti altri musicisti dopo di lui si orienteranno. I sintetizzatori, che diventeranno essenziali nella musica dagli anni Ottanta in poi, il Moog, che polarizzerà l’interesse di molti solisti e compositori negli anni Settanta, e le tecnologie digitali dagli anni Novanta in poi, hanno trovato in Emerson un musicista appassionato e curioso.
È stato anche un divo, un musicista capace di scalare le classifiche, e una rockstar in tutto e per tutto, ha frequentato la grande musica così come il rock più spettacolare e in molti casi anche poco avvincente, in un continuo gioco di specchi, in un inutile mascheramento che non gli ha permesso, alla fine, di vedere riconosciuto il suo vero ruolo, la sua vera grandezza, sepolta sotto i troppi lustrini e gli eccessivi effetti speciali. Ma era davvero un musicista unico e per molti versi inimitabile, che va ricordato come merita.

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