Venerdì 4 novembre 2022, nella cornice di Artissima, il PAV è lieto di inaugurare Tierra, mostra personale dell'artista Regina José Galindo, artista guatemalteca che da più di vent'anni indaga il tema della giustizia sociale attraverso pratiche performative il cui baricentro espressivo si situa nella relazione tra il corpo e l'ambiente. L’esposizione, a cura di Marco Scotini, fa seguito a quelle dedicate all'artista indiana Navjot Altaf e all'artista indonesiana Arahmaiani nell'indagare le specifiche relazioni che intercorrono tra sfruttamento ambientale e soggetti oppressi, le donne e le minoranze, decentrando lo sguardo oltre i confini geografici e culturali del cosiddetto occidente. La mostra a cura di Marco Scotini ripercorrerà la ventennale carriera di Galindo (vincitrice del Leone d'Oro alla 51° Biennale di Venezia come miglior giovane artista) focalizzandosi sui modi in cui ogni suo contatto con gli elementi naturali vada letto in chiave intersezionale e militante. E tra tutti gli elementi naturali, la terrache dà il titolo alla mostra ha un suo particolare statuto: l'approccio di Galindo si sottrae a qualsiasi declinazione essenzialista del rapporto tra terra e corpo femminile, anticipando e nondimeno influenzando le più recenti tendenze della ricerca artistica ecofemminista. Il percorso esporrà i risultati di un approccio evolutosi nel corso degli anni, dal focus iniziale verso le problematiche politico-sociali guatemalteche, all'attenzione (site-specific) verso i contesti e le comunità con cui l'artista si trova ad interagire. Infine, in occasione dell'opening, una performance inedita basata sulla materia fossile connette il percorso espositivo all'attuale crisi umanitaria ed energetica. Originaria di Guatemala City (1974), Regina José Galindo utilizza il corpo come strumento privilegiato di una pratica artistica intensa, inaugurata alla fine degli anni Novanta; lontana dalle ricerche formali condotte nelle scuole d'arte tradizionali, sin da subito Galindo utilizza l'arte come modalità di comunicazione e azione politica: nata e cresciuta durante la lunga dittatura militare guatemalteca, assiste sin dalla più tenera età ad una guerra civile connotata da feroci pratiche repressive, sino alla pulizia etnica nei confronti delle popolazioni indigene.Cuore fisico e concettuale della mostra, la performance Tierra (2013) testimonia il trauma che innerva la memoria del suo popolo. Un trauma in cui la terra è baricentro di crimini consumati aggredendo i corpi – la pala meccanica che scava una fossa attorno al corpo di Galindo, allude alle fosse comuni in cui i militari gettavano oppositori politici e persone indigene – quanto sul piano politico ed economico: il colpo di stato che inaugura il regime militare di Carlos Castillo Armas nel 1954, venne sostanzialmente costruito dagli Stati Uniti per tutelare gli interessi della società United Fruit Company. Parallelamente, in Mazorca (2014) l'azione predatoria e violenta rappresentata dalla pala meccanica si trasla in quattro uomini che recidono con un machete le piante intorno al corpo dell'artista, in piedi al centro di un campo di mais. Le strategie repressive dei militari annoveravano proprio la distruzione dei campi, fondamentali per il sostentamento della popolazione indigena. Una minaccia a cui ha fatto seguito, vent'anni dopo il termine del conflitto, da una legge approvata nello stesso 2014 dal Congreso de la República, comunemente nota come legge Monsanto. Il nome della celebre multinazionale statunitense ci riporta all'inscindibilità di ecologia e politica. Con la mostra di Galindo, il PAV Parco Arte Vivente ribadisce in maniera particolarmente cristallina il filo conduttore della propria programmazione, affermando che la sensibilità nei confronti dell'ecologia non possa essere in alcun modo scissa da una radicale analisi delle relazioni di potere economico e politico che disegnano il capitalismo contemporaneo. Nel periodo di apertura al pubblico della mostra, su prenotazione, le AEF Attività Educative e Formative del PAV propongono alle scuole e ai gruppi l’attività laboratoriale Patchwalking - Creazione di nuovi territori OMGFree. Il bene comune, inteso come totalità planetaria da preservare, sottende un codice collettivo che è proprio di tutte le specie viventi. Le migrazioni e gli spostamenti producono una continua contaminazione tra locale e globale, per cui le geografie e le culture si ridistribuiscono e mutano secondo criteri di ibridazione, adattabilità e incontro.Durante il laboratorio, a partire dal valore simbolico della terra, che ciascun gruppo è invitato a portare dal proprio luogo di appartenenza, e attraverso l’utilizzo di pigmenti colorati messi a disposizione, viene prodotto un elaborato collettivo in cui l’esperienza materica con la terra dà vita a una mappatura organica fatta di tracce e traiettorie.Per partecipare alle attività è necessaria la prenotazione: 011 3182235 - lab@parcoartevivente.it La mostra è realizzata con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Regione Piemonte, Città di Torino.Inaugurazione e performance con l'artista: venerdì 4 novembre 2022, ore 18
Studio Guastalla Arte Moderna e Contemporanea presenta una collezione di opere (circa quaranta disegni tra studi preparatori di monumenti e pergamene con oro e alcune sculture in marmo e bronzo) distillati in lunghi anni di ricerca attraverso le generazioni. Alcuni sono infatti stati ereditati dai bisnonni Belforte di Ettore e Silvia Guastalla, che nel 1922 aprirono a Livorno Bottega d’Arte, una delle prime gallerie italiane, dove esposero ripetutamente opere di Wildt in collettive e in una personale del 1930. A corredo dei disegni rimasti da allora nella collezione di famiglia, Studio Guastalla presenta lettere autografe di Adolfo e del figlio Francesco, che gli faceva da segretario, indirizzate all’epoca a Gino Belforte, concernenti questioni estetiche ed economiche. Molte altre sono state raccolte nel corso degli anni, soprattutto attraverso un contatto diretto con gli eredi di Wildt, ed alcune provengono da privati e gallerie d’arte. Nonostante la coincidenza dell’inaugurazione di questa mostra, a cento anni dall’apertura di Bottega d’Arte, a celebrare un secolo di presenza della famiglia nel panorama dell’arte italiana, la mostra vuole essere una ricognizione contemporanea e non antiquaria dell’opera di un artista fedele a un ideale di arte come ricerca dell’idea e non del contenuto, della purezza e non della verosimiglianza, dell’astrazione e non del sentimento. Wildt ci parla in modo così urgente, cento anni dopo la realizzazione delle sue opere, perché la sua è un’arte mentale, astratta, e tremendamente tormentata. Mario Sironi, suo coetaneo che nella grande diversità lo amava e lo capiva, scrisse un bellissimo necrologio nel 1931, in occasione della morte dell’artista, su “Il Popolo d’Italia”, in cui colse il senso della sua “frenetica aspirazione verso quella stessa fatale, splendida, impassibile meraviglia” degli scultori barocchi. Raramente un maestro è riuscito a trasmettere agli allievi il nocciolo profondo della propria visione del mondo lasciandoli poi liberi di trovare il loro nucleo più autentico come ha fatto Wildt con Lucio Fontana e Fausto Melotti, suoi discepoli all’Accademia di Brera. Ma ogni volta che guardiamo il nostro disegno del Cristo Crocifisso non possiamo non pensare a un taglio di Fontana, con quel segno netto, diagonale, privo di esitazioni. E nel disegno Mi dolgon fanciullo, dedicato a Margherita Sarfatti e al suo dolore supremo, quello della morte di un figlio, intravediamo, in quella croce formata da due sottili linee che si intersecano, il modello delle aeree costruzioni di Melotti. L’arte di WIldt è senza tempo perché emblematica, mai accomodante, mai facile. E quella nitidezza di verità non può essere imitata, ma solo fatta propria e trasformata in qualcosa di altrettanto nitido e vero, da chi ne ha la capacità. Ognuno con la propria diversa strada per mostrare il dolore del mondo, nudo, senza veli, senza ipocrisie. Tra le opere, alcune importanti sculture come Fides, realizzata da Wildt in marmo nel 1906 su commissione del suo mecenate prussiano Franz Rose che lo sostiene per anni indirizzandolo nello stesso tempo verso uno sguardo nordico e mitteleuropeo. Il volto del giovane ha una corona di spine e gli occhi stupefatti rivolti verso l’alto di chi ha affidato la propria fede al cielo e si interroga sul mistero di quella Fiducia. La scultura fu realizzata immediatamente prima di quei tre anni di gravissima depressione che Wildt stesso definì “notte mentale” alla fine dei quali, dopo aver ossessivamente scolpito e ossessivamente distrutto, l’artista emerse nella sua maturità stilistica. A quella crisi seguì un periodo di “ritorno” alla classicità in parte testimoniata dal ritratto del piccolo Augusto Solari, del 1918, realizzato da Wildt nell’ambito della Mostra del Salvadenaio, promossa da Toscanini per stimolare i bambini italiani a raccogliere risparmi per gli orfani di guerra. I vincitori avrebbero ricevuto un ritratto da un famoso artista dell’epoca, e al bambino Augusto Solari toccò di essere ritratto in marmo da Wildt, che realizzò quattro esemplari della scultura. Questo in mostra (proveniente dagli eredi Wildt ed esposto nel 1930 a Bottega d’Arte su prestito dello stesso Wildt), impeccabile nello stato di conservazione, mostra da una parte l’addolcimento di quegli anni nello stile di WIldt rispetto alla drammaticità delle opere precedenti, il chiaro riferimento ai busti quattrocenteschi di Desiderio da Settignano, e nello stesso tempo i riferimenti al fitomorfismo liberty nelle volute dei capelli così come quella “finezza squisita fino alla tortura” notata da Margherita Sarfatti che conferisce al ritratto un tono distaccato, glaciale, da erma funebre. Tra i molti disegni, alcuni già pubblicati negli anni ’20 e ’30 sui Bollettini di Bottega d’Arte, i cataloghi mensili che la galleria di Livorno realizzava per far conoscere al pubblico la propria attività, anche un bozzetto per un monumento in cui il curatore, Mirko Agliardi, ha rinvenuto il progetto per una scultura funebre presente al Cimitero Monumentale di Milano, finora inedita, di cui i documenti di archivio certificano la paternità wildtiana. Inaugurazione: giovedì 10 novembre ore 18
Il Comune di Brescia, la Fondazione Brescia Musei e il Festival della pace presentano per la prima volta in Italia la personale dell’artista dissidente russa Victoria Lomasko, curata da Elettra Stamboulis.La mostra, presentata nell’ambito del Festival della Pace di Brescia, rappresenta il terzo attodella ricerca intrapresa da Fondazione Brescia Musei con la curatela di Elettra Stamboulis nel 2019 con la mostra di Zehra Doğan, Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche, e proseguita con quella di Badiucao nel 2021, La Cina non è vicina. Opere di un artista dissidente.Il progetto espositivo intende presentare una vasta personale dell’artista russa con un percorso ideato specificatamente per gli spazi di Brescia, dove Lomasko trascorrerà un periodo in residenza per la realizzazione di opere site-specific, dedicato a quanto sta vivendo e osservando negli ultimi mesi. La ricerca artistica di Lomasko permette di ricostruire in modo minuzioso la storia sociale e politica della Russia dal 2011 a oggi: dalle manifestazioni anti Putin che l’artista ha disegnato dal vivo con un tratto originale e immediatamente riconoscibile, alle rappresentazioni della “profonda Russia”, quella dei dimenticati e marginali, che da sempre costituiscono i suoi soggetti preferiti.Lomasko è nata a Serpukhov, a 99 km a sud di Mosca, nel 1978. Il padre, operaio metalmeccanico di questa cittadina interamente dedita alla produzione industriale, agiva come artista provocatore in segreto.Diplomatasi all’Università statale di Mosca in Arti Grafiche nel 2003, Lomasko intraprende da subito una strada non confortevole che mette insieme osservazione e azione, disegno documentario e performance, attivismo e impegno personale inteso come corpo dell’artista che non sfugge all’essere parte di un gruppo. Da marzo 2022 vive in Europa.Considerata dalla critica e dalla stampa anglosassone come la più importante artista sociale grafica russa, Lomasko è sostanzialmente ancora sconosciuta al pubblico italiano, anche se i suoi libri sono stati da tempo tradotti in inglese, tedesco, francese e spagnolo. The other Russia ha vinto il Pushkin House Book Prize nel 2018, anche se il libro non è mai stato pubblicato in Russia. Su di lei è stato realizzato un documentario, The Last Soviet Artist diretto dal musicista e compositore Geraint Rhys,. Le sue opere sono state esposte al museo Reina Sofia di Madrid, che ha acquisito parte dell’archivio, a Basilea, a Londra ed è al momento ospite di Documenta a Kassel.
La mostra affronta il tema della sacralità vista da diverse angolature, si snoda secondo tracce differenti ma complementari tra gli spazi espositivi di Palazzo Barberini, il MAXXI e Palazzo delle Esposizioni.
Ricorre nel 2022 il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, intellettuale e creativo tra i più complessi e rilevanti del XX secolo. Per questa occasione le Gallerie Nazionali Barberini Corsini, La Fondazione MAXXI e l’Azienda Speciale Palaexpo di Roma danno vita ad un progetto coordinato volto a celebrare il poeta nelle tre sedi museali romane.Tutto è santo è il titolo ispirato all’omonima frase pronunciata dal saggio Chirone nel film Medea (1969), e tratteggia ciò che è considerato sacro per il poeta: il mondo del sottoproletario, arcaico, religioso che è in netto conflitto con l’eroe di un mondo razionale, laico, borghese e neo-capitalista. Al MAXXI la chiave di lettura dell’opera pasoliniana è restituita attraverso le voci di artisti contemporanei, le cui opere evocano l’impegno politico dell’autore e l’analisi dei contenuti sociali ispirati alle sue opere.La dedizione costante ai temi della vita pubblica, l’osservazione acuta delle dinamiche di potere, hanno fatto di Pasolini un profeta a cui molte generazioni hanno guardato per tracciare le linee guida della propria ricerca. La genuinità del volgo che diventa sacralità, la scomparsa delle periferie, gli effetti di un consumo mediatico massiccio sul grande pubblico, i grandi poteri letti come forze disgreganti del nostro presente, la voce dell’artista come atto di protesta e profezia sono i temi che articolano le sezioni pensate per la mostra.
Le Gallerie d’Italia di Milano ospiteranno, dal 18 novembre 2022 al 26 marzo 2023, la grande mostra “Mecenati, collezionisti, filantropi. Dai Medici ai Rothschild”, a cura di Fernando Mazzocca e Sebastian Schütze.Da Cosimo e Lorenzo de’ Medici a Edmond de Rothschild, molti dei maggiori mecenati e collezionisti di tutti i tempi sono stati dei grandi banchieri che hanno voluto consacrare la loro ascesa sociale gareggiando con l’aristocrazia e i sovrani nel proteggere e incoraggiare gli artisti, anche acquistando le loro opere. Per i grandi banchieri, mecenatismo artistico e collezionismo appaiono strumenti strategici di rappresentazione e di affermazione sociale, o meglio un esempio eloquente della sapiente trasformazione di capitale economico in capitale culturale e simbolico.A molte di queste figure sono stati dedicati studi importanti, ma esistono casi in attesa di nuove ricerche. La mostra potrà essere l’occasione per originali approfondimenti e per una riconsiderazione nei secoli di questo fenomeno attraverso l’analisi di personaggi che hanno segnato in modo incisivo la storia del collezionismo e del gusto. Attraverso i loro ritratti, le testimonianze della loro eccezionale vicenda biografica e soprattutto alcune opere d’arte esemplari delle loro raccolte, è possibile rievocare la loro figura e le scelte collezionistiche.La mostra intende ricordare infine la luminosa figura del banchiere “umanista” Raffaele Mattioli, protagonista della rinascita economia e culturale nell’Italia del difficile dopoguerra. Le sue prestigiose acquisizioni per la Banca Commerciale e il suo impegno nella grande editoria hanno costituito uno straordinario esempio, a cui il “Progetto Cultura” di Intesa Sanpaolo ha dato continuità e conferma.L’esposizione, attraversando un arco temporale che spazia dal Rinascimento al Novecento, presenta opere di autori quali Michelangelo, Caravaggio, Bronzino, Verrocchio, Antoon Van Dyck, Angelika Kauffmann, Hayez, Gherardo delle Notti (Gerrit van Honthorst), Valentin de Boulogne e Giorgio Morandi.Le oltre 120 opere esposte provengono dai più prestigiosi musei internazionali come la National Gallery di Londra, il Musée du Louvre di Parigi, la Albertina di Vienna e The Morgan Library & Museum di New York.La mostra è realizzata in partnership con l’Alte Nationalgalerie - Staatliche Museen zu Berlin e con i Musei del Bargello, e con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la CIttà metropolitana di Milano.
Dal 23 settembre al 31 dicembre del 1953 Guernica venne esposta nella Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, insieme a più di trecento altre opere del maestro spagnolo, dando forma alla più grande retrospettiva di Picasso mai tenuta in Italia. Successivamente la mostra venne spostata a Roma, ma in formato ridotto e soprattutto senza Guernica, che da allora non fece mai più ingresso nel nostro Paese.La Sala delle Cariatidi, che al momento di accogliere il capolavoro picassiano presentava ancora i segni dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, amplificando così il significato dell’opera, ospitò in quell’occasione anche altre drammatiche composizioni di esplicita denuncia dei disastri della guerra quali il Massacro in Corea e Carnaio. Oggi Guernica non viaggia più, non lascia mai la Spagna né la sua sala al Museo Reina Sofía di Madrid. Non tornerà più a Parigi, dove è stata creata, commissionata dal governo repubblicano spagnolo per l’Esposizione Universale del 1937, non tornerà più al MoMA di New York dove ha passato buona parte del suo esilio prima di tornare in patria. E sicuramente non tornerà più in Italia.Settant’anni dopo la storica esposizione al Palazzo Reale di Milano, il MAN di Nuoro celebra il passaggio italiano di Guernica, simbolicamente e artisticamente fondamentale per una generazione di artisti, di critici d’arte e di cittadini italiani. L’omaggio nuorese si suddivide in due sezioni principali: l’eco di Guernica nella produzione artistica di Picasso e il racconto della genesi dell’opera attraverso la narrazione visiva di Dora Maar, fotografa e all’epoca compagna dell’artista spagnolo.La prima sezione trova il suo fulcro principale nello straordinario dittico di incisioni intitolato Sueño y mentira de Franco, vero e proprio contraltare grafico del grande dipinto. Picasso iniziò a incidere la prima lastra nel gennaio del 1937 ma abbandonò presto il lavoro. Nel mese di maggio, appena dopo il tragico bombardamento della cittadina basca, portò a termine entrambe le matrici proprio mentre stava eseguendo la monumentale tela, utilizzando gli stessi studi e le stesse idee. Non si tratta affatto, però, di una versione in formato ridotto del quadro, ma di un’invenzione originale, a sé stante, che prende le mosse dallo stesso pensiero e dallo stesso impeto creativo. Attorno a Sueño y mentira de Franco si raccoglierà una piccola ma significativa serie di incisioni, che afferiscono direttamente alla gestazione di Guernica o che, per essere stati realizzate nello stesso periodo, richiamano da vicino stile e temi del celebre dipinto.La seconda anima della mostra ruoterà attorno alla straordinaria testimonianza di Dora Maar, che documentò giorno per giorno, con le proprie fotografie, il lavoro di Picasso. Si tratta di una serie di scatti al contempo commoventi e fondamentali per la ricostruzione filologica della creazione di Guernica. Insieme alle fotografie, si esporrà la splendida incisione Portrait de Dora Maar au chignon eseguita da Picasso proprio nel 1936 a un anno da Guernica e che per certi versi riverbera lo stile sintetico di Guernica. Non mancheranno immagini scattate nel 1953 da Mario Perotti in occasione della rassegna milanese, nell'allestimento toccante della Sala delle Cariatidi segnata dai bombardamenti, situazione tragica che convinse Picasso a esporre il suo capolavoro in quel contesto così affine all'anima del dipinto. Catalogo Interlinea, italiano inglese, con testi di Michele Tavola, Gioxe De Micheli, Victoria Combalía, Jean-Louis Andral, bibliografia ragionata su Guernica a cura di Erica Rompani.
140 opere di grandi interpreti dell’arte del ‘900 e dell’oggi – da Paul Klee, Max Ernst, Alberto Giacometti, Jean Dubuffet a Hans Hartung e Anselm Kiefer, da Antonio Ligabue, Pietro Ghizzardi, Cesare Zavattini a Maria Lai, Alighiero Boetti, Emilio Isgrò, Carla Accardi – per indagare, come prima mai fatto, “l’Arte Inquieta”. A Palazzo Magnani, dal 18 novembre 2022 al 12 marzo 2023, una sequenza mai vista di capolavori di grandi interpreti, anche dell’art brut internazionale e italiana. Accanto ad essi, per la prima volta, le creazioni inedite che provengono dagli Archivi del San Lazzaro, quello che fu il “Manicomio” di Reggio Emilia.Al centro di questa mostra, le opere rivelano l’urgenza creativa e la vitalità dei linguaggi dell’arte, necessari all’esplorazione degli infiniti volti ed espressioni dell’identità umana.Un’esposizione – questa curata da Giorgio Bedoni, Johann Feilacher e Claudio Spadoni - dove ad emergere è l’impulso creativo degli artisti, di cui sono frutto opere uniche che sorprendono, stupiscono e coinvolgono il visitatore. In ciascuna delle stanze tematiche di questa grande mostra, autori e opere si confrontano per affinità di generi e di linguaggi in un percorso espositivo che indaga la bruciante vitalità dell’artista, la sua inquieta ricerca sull’identità, sospesa tra sguardi sulla storia e l’esplorazione di paesaggi interiori. “L’arte deve comunicare, lanciare dei messaggi, servendosi di espressioni forti, barbare, violente, vandaliche. L’arte non è un’immagine piatta, levigata e lucida, che gli acidi emozionali non possano attaccare. Al contrario l’arte graffia e disturba, è stridore, imperfezione e invenzione. Per questo bisogna opporsi al razionalismo che vuole invadere dei territori che non gli appartengono, i territori dell’immaginario”.L’affermazione di Asger Jorn, riverbera quella di Paul Klee che così si esprime: “Più di uno non riconoscerà la verità del mio specchio. Deve comunque rendersi conto che io non sono qui per riflettere la superficie (questo può farlo la lastra fotografica) ma che devo penetrare all’interno. Io rifletto fino all’interno del cuore. Io scrivo parole sulla fronte e attorno agli angoli della bocca. I miei volti umani sono più reali di quelli veri”.L’arte è un sismografo sensibile ai confini incerti, ci interroga sulla natura dell’uomo, su sogni e desideri collettivi, è un viaggio che evidenzia quanto la vicenda umana possa essere stupefacente e imprevedibile, al di là di qualsiasi forma e confine tracciato. Come questa mostra autorevolmente conferma. L’esposizione è il momento culminante di Identità Inquieta, il cartellone di eventi, mostre e performance promosso da diverse istituzioni culturali del territorio per raccogliere domande e mostrare visioni sulle infinite sfumature dell'identità.
111 fotografie, in bianco e nero e colore, quasi tutte inedite, realizzate a Catania negli anni novanta, raccontano Ettore Sottsass fotografo, uno degli aspetti ancora meno conosciuti e indagati del grande architetto e designer italiano.Al Museo Civico “Castello Ursino” di Catania sarà presentata dal 21 novembre 2022 al 21 maggio 2023, la mostra di Ettore Sottsass CATANIA MIA!, a cura diBarbara Radice con Iskra Grisogono e la direzione artistica di Christoph Radl.L’esposizione, che sarà inaugurata domenica 20 novembre alle ore 11.00, è promossa e prodotta dalla Fondazione OELLE Mediterraneo Antico in collaborazione con lo Studio Ettore Sottsass e in partnership con l’Assessorato del turismo dello sport e dello spettacolo del Comune di Catania.Il percorso espositivo, pensato e realizzato per l'open space del Castello Ursino di Catania, comprende 111 fotografie, in bianco e nero e colore, quasi tutte inedite, scattate da Ettore Sottsass (Innsbruck, 1917-Milano, 2007) negli anni novanta a Catania, una città per la quale ha sempre nutrito interesse e affetto.Le fotografie in mostra raccontano una Catania vitale: il Barocco, il mercato del pesce, le strade, le scene di vita quotidiana come fotogrammi di una storia della città.Ettore Sottsass potrebbe essere definito un “fotoreporter della vita”. Ha cominciato a fare foto quando era ragazzo e da allora non ha più smesso. "Ero orribilmente curioso", ha dichiarato lui stesso. Fotografare era un modo di “fermare” la vita oltre che un mezzo per documentarla.Si ringraziano per la collaborazione lo Studio Sottsass di Milano, il Fondo Sottsass del Centre George Pompidou di Parigi e la Bibliothèque Kandinsky per le alte definizioni dei negativi che custodiscono.
Per parlare di sostenibilità… di 10 idee per salvare il Pianeta prima che Sparisca il cioccolato parleremo oggi live dalle
The post Ci vediamo su Cusano news 7, canale 234 del digitale terrestre, nella trasmissione Green. Ecco i video appeared first on Letizia Palmisano Giornalista ambientale, ecoblogger 2.0.
Dopo la segnalazione dell’azienda ospedaliera di Alessandria, sono ancora in corso le indagini in merito alla morte di un anziano di 83 anni che a fine settembre, in pochissimi giorni, è deceduto a causa di una sospetta meningite da Listeria. Il caso è stato subito rapportato al focolaio di listeriosi che si è sviluppato negli...