Categoria Ambiente

Raee, la Toscana resta prima nell’Italia centrale ma la raccolta procapite scende del 5,4%

cdc raee procapite toscana

La raccolta dei rifiuti tecnologici, che rappresentano una delle più preziose “miniere urbane” che abbiamo a disposizione per rispondere alla necessità di materie prime utili alla transizione ecologica, vede la Toscana tra le migliori regioni d’Italia seppur con una performance in calo nell’ultimo anno.
Come a livello nazionale, dove la raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) di origine domestica è diminuita nel 2022 dopo 8 anni di crescita, la Toscana si è fermata a 30.196 ton (6,2%). Il dato arriva direttamente dal nuovo rapporto regionale del Centro di coordinamento Raee, l’organismo che sintetizza i risultati ufficiali conseguiti da tutti i sistemi collettivi che si occupano della gestione dei rifiuti tecnologici in Italia.
Nonostante tutto, la Toscana si confermi in quinta posizione nella classifica nazionale per volumi complessivi. Cala (-5,4%) anche la raccolta pro capite che si attesta a 8,24 kg per abitante: il valore è in ogni caso di gran lunga superiore tanto alla media dell’area di riferimento (6,21 kg/ab) quanto della media italiana (6,12 kg/ab). Nel confronto con il resto del Paese, il dato posiziona la regione al quarto posto della relativa classifica nazionale e la conferma prima tra le regioni del centro Italia.
Un solo raggruppamento di Raee non è interessato al calo di volumi, ovvero freddo e clima (R1), che cresce anzi dell’1,7% per un totale di 7.347 tonnellate; si riduce invece del 7,3% la raccolta di grandi bianchi (R2) che si ferma a 12.604 tonnellate; in contrazione del 14,6% anche Tv e apparecchi con schermo (R3), i cui volumi scendono a 4.322 tonnellate; scende a 5.836 tonnellate, in diminuzione del 5,7%, la raccolta di elettronica di consumo e piccoli elettrodomestici (R4); idem la raccolta di sorgenti luminose (R5), che perde il 10% e si attesta a 88 tonnellate.
«La Toscana nel 2022 raccoglie più di 30.000 tonnellate di Raee e ha un risultato complessivo molto superiore alla media nazionale – commenta Fabrizio Longoni, dg del Centro di coordinamento – Non tutte le province evidenziano performance più o meno in linea con l’anno precedente. Risulta fuori dal coro la provincia di Prato che con un pro capite di solo 4,8 chilogrammi è il fanalino di coda della raccolta regionale, sotto la media non solo nazionale, ma anche di tutte le singole aree del Paese. Rappresenta inoltre un terzo della raccolta della provincia di Pistoia. Positivo in ogni caso il risultato regionale e meritevole di una valutazione su come migliorare ulteriormente le performance soprattutto sul raggruppamento 4, che sarà il bacino da cui attingere i volumi che oggi mancano per raggiungere i risultati auspicati».
Guardando più in dettaglio ai dati provinciali, l’analisi del Cdc mette in evidenza luci e ombre della raccolta Raee toscana dell’ultimo anno.
olto alti e ben al di sopra della media dell’area quasi tutte le restanti province; non raggiungono la media del centro Italia solo Massa Carrara, nonostante un incremento dell’1,1% che porta il dato pro capite a 6,15 kg/ab, e Prato, che al contrario registra la peggiore flessione a livello nazionale (-43,5%) col dato crolla a 4,83kg/ab.
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Altro che hub del gas, Terna: «Italia hub elettrico europeo e mediterraneo»

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Mentre il Governo Meloni magnifica le potenzialità italiane in termini di hub del gas (fossile) con la contrarietà di tutto il mondo ambientalista, Terna – la società guidata da Stefano Donnarumma che gestisce la rete elettrica nazionale – mostra che un futuro diverso è possibile quanto auspicabile: che hub sia, ma per l’energia elettrica da fonti rinnovabili.
Nel suo nuovo Piano di sviluppo decennale, Terna punta non a caso al rafforzamento e allo sviluppo delle interconnessioni con l’estero, prevedendo un investimento complessivo di circa 2 miliardi di euro, per iniziare a fare dell’Italia «un hub elettrico europeo e mediterraneo».
Fondamentale in questi’ottica sarà il progetto di interconnessione tra Italia e Tunisia, intervento di rilevanza strategica che garantirà l’ottimizzazione delle risorse energetiche tra l’Europa e il Nord Africa. A dicembre 2022 il ministero dell’Ambiente ha avviato il procedimento autorizzativo del ponte energetico sottomarino da 600 MW per il quale è previsto un investimento, da parte di Terna e di Steg, l’operatore elettrico tunisino, di circa 850 milioni di euro complessivi.
Nel Piano di sviluppo di Terna è confermato anche il progetto Sa.Co.I.3, il collegamento tra i sistemi elettrici della Sardegna, della Corsica e della penisola italiana, per un investimento complessivo di 950 milioni di euro.
Inoltre, nel secondo semestre del 2023 Terna avvierà la consultazione pubblica per il nuovo cavo sottomarino con la Grecia, 200 km di lunghezza e 500 MW, che raddoppierà la capacità di scambio tra i due Paesi. Per l’opera Terna investirà 750 milioni di euro.
«Queste interconnessioni – concludono da Terna – insieme agli elettrodotti tra Italia-Francia, Italia-Svizzera e Italia-Austria, consentiranno al nostro Paese, in virtù della sua posizione geografica strategica, di rafforzare il suo ruolo di hub energetico dell’Europa e dell’area mediterranea, diventando protagonista a livello internazionale».
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Terna, investimenti da 21 mld di euro sulla rete elettrica per sviluppare le rinnovabili

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A neanche ventiquattro ore dalla proposta avanzata dalla Commissione Ue per la riforma del mercato elettrico, Terna – la società che gestisce la rete elettrica nazionale – ha presentato oggi il proprio Piano di sviluppo 2023, con investimenti da 21 mld di euro nei prossimi dieci anni (che arrivano a oltre 30 mld di euro considerando l’intera vita delle opere previste).
«Gli investimenti inseriti nel Piano di sviluppo 2023 sono i più alti mai previsti da Terna – dichiara l’ad, Stefano Donnarumma – Mai come oggi, in un contesto particolarmente sfidante, è necessario uno sforzo di programmazione di lungo periodo, un coordinamento fra le istituzioni che consenta all’Italia di cogliere tutte le opportunità che la transizione porta con sé. Le fonti rinnovabili rappresentano il nostro petrolio: abilitarne la diffusione e l’integrazione fa parte della nostra missione di registi del sistema elettrico e sarà determinante per la sicurezza energetica del nostro Paese».
Un petrolio che però ancora l’Italia non riesce a sfruttare appieno. Secondo i dati Terna aggiornati a gennaio, ci sono circa 340 GW di proposte impiantistiche rinnovabili in attesa di via libera: cento volte tanto gli impianti effettivamente entrati in esercizio nell’ultimo anno (3 GW), a causa delle ampie difficoltà ancora esistenti lungo l’iter autorizzativo.
Non tutti questi 340 GW potranno entrare in produzione, ma per rispettare gli obiettivi Ue al 2030 dovranno essere almeno 70 GW (secondo lo scenario Fit for 55 preso come riferimento da Terna) o meglio 85 GW (secondo la più recente proposta europea RePowerEu).
Secondo le proiezioni elaborate da Terna insieme a Snam, tali impianti saranno localizzati soprattutto al centrosud (dove è maggiore la presenza di fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico), mentre la domanda elettrica continuerà ad arrivare soprattutto dal nord.
Per questo la principale novità introdotta nel Piano di sviluppo 2023 è la rete Hypergrid, che sfrutterà le tecnologie della trasmissione dell’energia in corrente continua (Hvdc).
Nel merito, Terna ha pianificato cinque nuove dorsali elettriche per 11 mld di euro – la Milano-Montalto, la Central link tra Umbria e Toscana, la Dorsale sarda, la Dorsale Ionica-Tirrenica tra Sicilia e Lazio, la Dorsale adriatica Foggia-Villanova-Fano-Forlì –, funzionali all’integrazione di capacità rinnovabile.
Si tratta di un’imponente operazione di ammodernamento di elettrodotti già esistenti sulle dorsali Tirrenica e Adriatica della penisola e verso le isole, che prevede nuovi collegamenti sottomarini a 500 kV; complessivamente, con le Hypergrid sarà possibile raddoppiare la capacità di scambio tra zone di mercato, passando dagli attuali 16 GW a oltre 30 GW.
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L’Arabia Saudita minaccia l’embargo petrolifero in caso di prezzo massimo alle esportazioni di petrolio

LArabia Saudita minaccia lembargo petrolifero

Rispondendo a una domanda di Energy Intelligence sulla reintroduzione del disegno di legge Nopec da parte del Congresso Usa e sul tetto massimo del prezzo del petrolio russo imposto dal G7 e sulle potenziali implicazioni per il mercato petrolifero, il ministro dell'energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, ha detto che «La legislazione Nopec e l'estensione del tetto massimo sono molto diverse, ma i loro potenziali impatti sul mercato petrolifero sono simili. Tali politiche aggiungono nuovi livelli di rischio e incertezza in un momento in cui sono più necessarie chiarezza e stabilità. Devo ribadire il punto di vista che ho reso noto ad agosto e settembre su come tali politiche aggraverebbero inevitabilmente l'instabilità e la volatilità del mercato e avrebbero un impatto negativo sull'industria petrolifera. Al contrario, Opec+ ha compiuto ogni sforzo ed è riuscita a portare stabilità e trasparenza significative al mercato petrolifero, soprattutto rispetto a tutti gli altri mercati delle materie prime. Il disegno di legge Nopec non riconosce l'importanza di detenere capacità inutilizzata e le conseguenze del mancato mantenimento di capacità inutilizzata sulla stabilità del mercato. Il Nopec minerebbe anche gli investimenti nella capacità petrolifera e causerebbe un calo dell'offerta globale molto inferiore alla domanda futura. Gli impatti si faranno sentire in tutto il mondo sia sui produttori che sui consumatori, così come sull'industria petrolifera».
Dopo l’accordo con l’Iran mediato dalla Cina, l’Arabia saudita ha cambiato idea anche sulle sanzioni e bin Salman avverte che, «Lo stesso vale per i massimali di prezzo, siano essi imposti a un Paese o a un gruppo di Paesi, al petrolio o a qualsiasi altra merce. Ciò porterà a contro-risposte singole o collettive con conseguenze intollerabili sotto forma di massiccia volatilità e instabilità. Quindi, se venisse imposto un prezzo massimo alle esportazioni di petrolio saudita, non venderemo petrolio a nessun Paese che impone un prezzo massimo alla nostra offerta e ridurremo la produzione di petrolio, e non sarei sorpreso se altri facessero lo stesso».
Non a caso l’intervista di bin Salman a  Energy Intelligence è stata rilanciata con grande rilievo dai media russi e iraniani.
Lo scenario è quello di una nuova crisi petrolifera in stile austerity anni ’70 e il ministro dell’energia saudita manda a dire a statunitensi ed europei che «La capacità inutilizzata e le scorte di emergenza globali sono la rete di sicurezza definitiva per il mercato petrolifero di fronte a potenziali shock. Ho ripetutamente avvertito che la crescita della domanda globale supererà l'attuale capacità di riserva globale, mentre le riserve di emergenza sono ai minimi storici. Ecco perché è fondamentale che vengano messe in atto politiche per sostenere gli investimenti necessari per aumentare la capacità inutilizzata in modo tempestivo e che le scorte di emergenza globali siano mantenute a un livello adeguato e confortevole. In Arabia Saudita, abbiamo avviato in modo proattivo l'espansione della nostra capacità a 13,3 milioni di barili al giorno entro il 2027. L'espansione è già in corso nella fase di ingegneria e il primo incremento dovrebbe entrare in funzione nel 2025».
Intanto prosegue il riavvicinamento tra l’Iran e le monarchie petrolifere assolute sunnite del Golfo: domani il segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale della Repubblica islamica dell’Iran, Ali Shamkhani, sarà negli Emirati Arabi Uniti per ricambiare la visita in Iran dello sceicco Tahnoun bin Zayed Al Nahyan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati. Pars Today spiega che dd accompagnare Shamkhani ci saranno  alti funzionari economici, bancari e della sicurezza che discuteranno le questioni di intresse comune, regionali e internazionali.
Commentando l'accordo tra Iran e Arabia Saudita per riprendere le relazioni diplomatiche Il portavoce del governo iraniano, Ali Bahadori Jahromi, ha detto che «La soluzione alle questioni regionali e globali non viene dall'Occidente. Questo evento e il rilancio delle relazioni tra i due Paesi hanno dimostrato che la soluzione delle questioni regionali e globali non passa per la rotta occidentale. La politica estera del 13esimo governo iraniano è stata quella di sviluppare relazioni di vicinato e dare priorità alla politica di diplomazia regionale, e questo recente evento è stato nella stessa direzione, e anche i Paesi della regione hanno accolto con favore il rilancio delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita».
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Dal Pnrr 550 milioni per sostenere l’innovazione delle startup

550 milioni per sostenere linnovazione delle startup

Il ministero delle imprese e del made in Italy ha annunciato che «Startup e piccole e medie imprese possono presentare progetti riguardanti la transizione ecologica e digitale, finanziati con risorse europee ricomprese nel PNRR per un ammontare di 550 milioni. L’obiettivo è stimolare la crescita del Paese tramite investimenti di capitale di rischio (venture capital diretti e indiretti)».
I finanziamenti provengono dal Green Transition Fund (GTF), dotato di 250 milioni di euro, e dal Digital Transition Fund (DTF), dotato di 300 milioni, gestiti da CDP Venture Capital SGR per conto del ministero delle imprese e del Made in Italy, e sono compresi negli interventi PNRR “Supporto di startup e venture capital attivi nella transizione ecologica” e “Finanziamento di startup”.
GTF e  DTF) sono due fondi che promuovono l'innovazione in Italia attraverso investimenti di capitale di rischio, investono, direttamente o indirettamente, in imprese attive negli ambiti della transizione ecologica o digitale con l’obiettivo di sostenere i processi di transizione con l’impegno di risorse PNRR e attivando capitali privati con competenze specifiche, in tutte le fasi di sviluppo di un’impresa.
Il ministero sottolinea che «I progetti riguardanti la transizione verde potranno prevedere l’utilizzo di energia rinnovabile, mobilità sostenibile, efficienza energetica, economia circolare, mentre quelli legati alla transizione digitale dovranno interessare gli ambiti come l’Intelligenza Artificiale, l’Industria 4.0, la cybersicurezza, fintech e blockchain L’ente gestore selezionerà le proposte di investimento conformemente a quanto previsto dalla politica di investimento dei Fondi e in linea con le best practice di mercato. Il 40% delle risorse saranno riservate agli investimenti (diretti e indiretti) da realizzare nelle regioni del Mezzogiorno».
 
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Da Estra al via la nuova edizione di E-qube, pere sostenere start-up su energia e digitale

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Si alza oggi il sipario sulla quarta edizione di "E-qube startup&idea challenge", l’iniziativa messa in campo dalla multiutility Estra in collaborazione con Nana bianca e StratupItalia per individuare e lanciare sul mercato i migliori progetti in ambito digital&energy.
Le startup verranno selezionate in base ad un’azione di scouting e accelerazione continua, che porterà all’identificazione quadrimestrale delle priorità commerciali di Estra e ad una selezione di 2-3 startup target per la specifica priorità individuata, all’interno di un’unica call annuale.
La long list da cui selezionare i progetti sarà composta da 20 unità, e il supporto economico a beneficio dei progetti selezionati sarà pari a 10mila euro ciascuno, per un massimo di tre startup; è inoltre prevista la possibilità, da parte di Estra e di Nana bianca, di entrare nel capitale delle startup selezionate.
Ogni startup avrà a disposizione un certo numero di appuntamenti formativi su tematiche rispondenti ai bisogni specifici di progetto, oltre ad essere seguita da un mentore con la partecipazione a workshop e sessioni mensili di business review.
«E-qube è un’idea vincente – commenta l’ad di Estra, Alessandro Piazzi – che conferma la forte attenzione del nostro gruppo nei confronti dei valori dell’innovazione e dello sviluppo imprenditoriale, attraverso la selezione di start-up e di idee capaci di contribuire allo sviluppo sociale ed economico. La sfida nasce con la volontà di trovare e supportare proposte che abbiano forza, prospettive e grande consistenza in settori ad alto potenziale di sviluppo e che abbiano una forte connessione con le priorità commerciali di Estra».
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Batterie al litio, al via il progetto Enel X e Midac per riciclare almeno 10mila ton l’anno

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Enel X e Midac, azienda manifatturiera italiana che da un decennio produce batterie al litio, hanno avviato le attività di ricerca e sviluppo per realizzare in Italia il primo grande impianto di riciclo delle batterie al litio per veicoli elettrici, sistemi industriali e sistemi stazionari: l’obiettivo è quello di arrivare ad una capacità di almeno 10mila tonnellate all’anno.
L’iniziativa rientra nell’ambito del progetto europeo Ipcei sulle batterie, pensato per gestirne il fine vita in un’ottica circolare: entro soli sette anni, si stima infatti un volume complessivo di batterie al litio da riciclare di circa 200mila tonnellate.
«Partiremo dal riciclo per arrivare alle celle, i nostri impianti sorgeranno in Italia per rafforzare la presenza italiana nel comparto delle batterie e creare posti di lavoro e sviluppo in tutto il territorio nazionale», dichiara il presidente di Midac, Filippo Girardi.
Alimentare la transizione ecologica richiede una grande sfida in termini di approvvigionamento delle materie prime: basti osservare che la Commissione europea stima che al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, in primis (ma non solo) per coprire la domanda di mobilità elettrica.
Oltre a nuove miniere e a nuovi accordi commerciali, per soddisfare questa domanda è necessario massimizzare le potenzialità del riciclo, che entro il 2040 potrebbero fornire oltre la metà del litio necessario all’Europa.
«Questo progetto – argomenta Francesco Venturini, responsabile di Enel X – permetterà di creare nuovi mercati e nuove opportunità di crescita per le aziende, coniugando efficienza, sostenibilità e innovazione e facilitando l’Europa nel raggiungimento di un obiettivo di cruciale importanza, come una maggiore indipendenza di approvvigionamento delle materie prime».
In particolare, Enel X si occuperà di studiare e sviluppare le migliori tecnologie per lo smontaggio automatico delle batterie al litio ed il loro processo di riciclo; Mdac curerà lo sviluppo dell’intero processo di riciclo al litio, inizialmente in una dimensione in scala pilota, e successivamente realizzerà un impianto industriale con una capacità di almeno 10.000 tonnellate all’anno.
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In Trentino Alto Adige trend negativi per le nevicate negli ultimi 40 anni

Nevicate trentino

Lo studio “Diverging snowfall trends across months and elevation in the northeastern Italian Alps”, pubblicato sull’International Journal of Climatology da Giacomo Bertoldi, Michele Bozzoli e Alice Crespi di Eurac Research  e da Michael Matiu, Lorenzo Giovannini, Dino Zardi e Bruno Majone dell’università di Trento, ha collezionato i dati storici sulle precipitazioni nevose delle Provincie autonome di Bolzano e Tren to e  dell’associazione Meteo Trentino Alto Adige e li ha interpretati in base a fasce di quota e ad altri parametri climatici e «I risultati delle analisi mostrano come in generale i trend delle nevicate dal 1980 al 2020 sono diffusamente negativi in tutto il Trentino Alto Adige, con picchi fino a meno 75%. I dati più negativi si registrano a inizio e fine stagione; solo nel cuore dell’inverno, tra gennaio e febbraio, e attorno 2.000 metri di quota, le nevicate sono stabili o addirittura in crescita in poche stazioni di misurazione come quelle dei passi Rolle e Tonale, che registrano un aumento attorno al 15%. Nei fondovalle la mancanza di neve, pur non danneggiando direttamente l’economia dello sci, ha comunque cambiato del tutto la percezione dell’inverno. Ovunque si registra un aumento delle temperature medie, con picchi fino a 3 gradi».
;Ma anche i pochi casi di trend positivi delle nevicate, a quote attorno o superiori ai 2.000 metri, sono da ricondurre al fatto che, nonostante un aumento della temperatura, è ancora sufficientemente freddo perché le precipitazioni avvengano sottoforma di neve.  «Per esempio – evidenziano i ricercatori - anche se ai passi Rolle e Tonale le temperature sono cresciute in media rispettivamente di circa 1,5 e 2,3 gradi, l’aumento delle precipitazioni ha portato a un aumento dell’accumulo di neve fresca rispettivamente del 16 e 17%».
Tra il 1980 e il 2020 la neve fresca accumulata per stagione, cioè la somma dei centimetri di neve che cadono tra ottobre e aprile, è diminuita del 75% nella città di Bolzano e del 46%  a Trento. Ma se nei capoluoghi di provincia la mancanza di neve è sotto gli occhi di tutti oramai da anni – tanto che le rare nevicate occupano spesso le prime pagine dei giornali – a preoccupare di più i ricercatori sono i numeri negativi di altre località.  Bertoldi e Bozzoli sottolineano che «A San Candido le nevicate sono diminuite del 26%, a Andalo del 21%  e a Rabbi del 29%. L’impatto visivo è meno forte perché parliamo di posti dove l’accumulo medio di neve fresca rimane comunque sopra il metro, ma queste diminuzioni hanno conseguenze gravi per le falde acquifere, la disponibilità di acqua e dunque tutte le attività umane che ne hanno bisogno».
Per i ricercatori è colpa del cambiamento climatico: «L’aumento medio della temperatura nelle 18 stazioni che abbiamo selezionato è di 1,54 gradi. Per il caldo le precipitazioni rimangono perlopiù sottoforma liquida, soprattutto alle quote più basse, perché non c’è abbastanza freddo per trasformarsi in neve».
Bertoldi  conclude: «Infatti, il bilancio totale delle precipitazioni stagionali in 40 anni non è negativo: «Anzi, ovunque sono aumentate, ma per lo più sottoforma di pioggia, e questo aspetto è solo parzialmente rassicurante. Infatti, anche se statisticamente non sembrano aumentare gli inverni secchi come questo o il precedente – e questo è indispensabile per avere abbastanza acqua – il passaggio da neve a pioggia ha conseguenze negative non solo per le attività sciistiche. La neve è fondamentale perché protegge i ghiacciai e il terreno ostacolando l’evaporazione e, sciogliendosi lentamente in primavera, ricostituisce gradualmente le riserve di acqua. Senza neve il rischio siccità è maggiore».
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Indagine internazionale: massiccia contaminazione da Pfas in Italia

Pfas

Dopo la diffusione dell’inchiesta giornalistica The Forever Pollution Project sulla contaminazione da Pfas (Sostanze perfluoroalchiliche note anche come “inquinanti eterni”) in numerosi Paesi europei, che in Italia ha coinvolto Radar Magazine e Le Scienze, Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, sottolinea che «Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili».
L’inchiesta ha rivelato l’esistenza in Europa di più di 17.000  siti contaminati ai quali se ne aggiungono altri 21.000 nei quali è possibile la presenza di Pfas a causa di attività industriali in corso o passate, e 2.100 hotspot, luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute.  Greenpeace fa notare che «La mappa italiana rivela elevati livelli di inquinamento non solo in alcune aree del Veneto, già tristemente note per essere uno degli epicentri europei dell’emergenza Pfas, ma toccano anche alcune zone del Piemonte, limitrofe allo stabilimento della Solvay specializzato proprio nella produzione di Pfas, della Lombardia e della Toscana. Questo quadro potrebbe essere ben più grave considerando che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari».
All'inizio di marzo, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato la bozza di proposta per vietare a livello comunitario la produzione e l'uso di migliaia di Pfas, avviando un processo necessario per fermare la contaminazione di questi inquinanti eterni. Tra le nazioni promotrici del divieto figurano Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia, ma non l’Italia. Greenpeace, insieme a oltre 100 organizzazioni della società civile europee, è promotrice del Ban Pfas Manifesto che chiede la messa al bando di queste pericolose sostanze.
Gli ambientalisti sottolineano che «Proprio ieri l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti ha proposto l’introduzione di limiti estremamente cautelativi riguardo la presenza di sei molecole appartenenti al gruppo dei Pfas nell’acqua potabile. Per due di questi composti, Pfoa e Pfos, la cui pericolosità per la salute è nota considerata la loro classificazione come possibili cancerogeni, l’autorità americana ha proposto come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza».
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Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale

sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale

Secondo il rapporto “Europe and Central Asia – Regional Overview of Food Security and Nutrition 2022” pubblicato da Fao, International Fund for Agricultural Development (IFAD), Unicef, United Nations Development Programme (UNDP), United Nations Economic Commission for Europe (UNECE), World Food Programme (WFP); Regional Office for Europe dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e World metorological organization (Wmo), «In Europa e Asia centrale, la pandemia Covid-19 tutt’ora in corso e la guerra in Ucraina mettono in pericolo la sicurezza alimentare e il diritto a un’alimentazione sana. I prezzi dei generi alimentari sono saliti alle stelle, rendendo difficoltoso per i responsabili delle decisioni garantire l’obiettivo di non lasciare indietro nessuno». Ma il rapporto evidenzia anche che «I dati e le tendenze degli ultimi anni tratteggiano un quadro della sicurezza alimentare e della nutrizione perlopiù incoraggiante in Europa e Asia centrale. In generale, la regione versa in condizioni migliori rispetto ad altre aree del mondo, benché siano necessari miglioramenti per evitare battute d’arresto».
Il rapporto elaborato dalle 8 agenzie Onu fornisce indicazioni preziose per aiutare a far fronte a questa situazione e contiene informazioni e analisi aggiornate sui trend a livello regionale e sui progressi compiuti verso il conseguimento dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) “Fame zero”. Inoltre, riporta studi sulla definizione di «Quadri strategici che consentano di favorire l’accesso a un’alimentazione sana e di rendere i sistemi agroalimentari più sostenibili dal punto di vista ambientale nella regione di Europa e Asia centrale».
Le agenzie Onu sottolineano che «Avvalendosi dei dati e delle raccomandazioni contenuti nel rapporto, i paesi dovrebbero essere nelle condizioni di fornire assistenza ai piccoli agricoltori, alle comunità rurali e a tutti gli attori della filiera alimentare, nonché di sostenere le fasce povere e vulnerabili della popolazione tramite programmi olistici, secondo quanto previsto negli SDG. Come per le precedenti edizioni della Rassegna regionale della sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale, ci auguriamo che il rapporto fornisca conoscenze e riscontri preziosi e contribuisca a individuare alternative per un dialogo consapevole e un'azione concertata da parte di tutti i partner, in un contesto di piena collaborazione, tesa ad accelerare i progressi verso l’obiettivo della fame zero e dell’accesso a un’alimentazione sana in Europa e Asia centrale».
Il rapporto evidenzia che «La prevalenza della sottoalimentazione nel mondo è salita al 9,9% nel 2020 e, da allora, non ha smesso di crescere, mentre negli oltre 50 Paesi dell’Europa e dell’Asia centrale la media è rimasta al di sotto del 2,5% negli ultimi anni. Inoltre, sebbene in alcune zone della regione (Caucaso, Asia centrale e Balcani occidentali) la porzione di popolazione classificata come sottonutrita sia in aumento, e non si prevedano inversioni di rotta, la media regionale dovrebbe attestarsi al di sotto del 2,5%».
Dopo un brusco rialzo nel 2020, la prevalenza regionale dell’insicurezza alimentare moderata o grave è tornata a salire dall’11,% nel 2020 al 12,4% nel 2021, un dato che  secondo il rapporto «Riflette un deterioramento della situazione per le persone che si trovano in gravi difficoltà a causa della pandemia Covid-19. Nel complesso, nel 2021, circa 116,3 milioni di persone, nella regione, versavano in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave; di queste, 25,5 milioni sono stati segnalati in soli due anni. Il numero delle persone vittime dell’insicurezza alimentare grave, ossia che non hanno regolarmente accesso a una quantità sufficiente di cibo nutriente, ha subito un’accelerata, aumentando di oltre 13 milioni dal 2019 al 2021».
Il dato positivo è che in Europa e Asia centrale,  «I ritardi della crescita (un basso rapporto tra età e altezza) e il deperimento (causato da un apporto insufficiente di nutrienti all’organismo) interessano, rispettivamente, il 7,3% e l’1,9% dei bambini di età inferiore ai 5 anni, mentre, nel resto del mondo, tali condizioni colpiscono un numero di bambini tre volte maggiore».
Ma nella regione Europa e Asia centrale «Il sovrappeso e l’obesità continuano a essere fenomeni allarmanti, sia tra bambini che tra gli adulti, con dati superiori alla media globale». E il rapporto avverte che «A causa del rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari, il costo di un’alimentazione sana è aumentato in quasi tutti i paesi dell’Europa e dell’Asia centrale. Nonostante ciò, ad eccezione di alcuni Paesi, la maggior parte della popolazione della regione (approssimativamente il 96,4%) ha potuto permettersi un’alimentazione sana, rispetto alla media del 58% della popolazione mondiale nel 2020. Alcuni Paesi importatori netti e a basso e medio reddito della regione (tra cui Armenia, Kirghizistan e Tagikistan) hanno una percentuale molto alta di popolazione (oltre il 40%) che non può permettersi una dieta sana».
Il rapporto ricorda che «I Paesi della regione si caratterizzano per livelli di sviluppo diversi, così come diverso è il sostegno finanziario che essi assicurano al settore alimentare e agricolo. Inoltre, la maggior parte di questi paesi, soprattutto quelli a medio reddito, sono stati particolarmente colpiti dalle criticità emerse di recente, a livello regionale e globale, e non possono fare affidamento su maggiori capacità di investimento nei sistemi agroalimentari, come ricetta per superare la crisi».
Per questo le agenzie Onu evidenziano che «Occorre rimodulare le politiche alimentari e agricole, in modo da renderle più adatte ad affrontare la “triplice sfida” a cui sono attualmente esposti i sistemi agroalimentari, vale a dire potenziare l'accesso a un’alimentazione sana, garantire mezzi di sostentamento migliori agli agricoltori e promuovere la sostenibilità ambientale. Per conseguire questo traguardo, non sarà sufficiente offrire incentivi fiscali ai singoli agricoltori, ma occorrerà ottimizzare i servizi generali, con interventi mirati nei settori della ricerca e dello sviluppo agricoli e dell’istruzione, con misure di espansione, con azioni di controllo di parassiti e malattie, con l’adozione di sistemi pubblici di controllo della sicurezza alimentare, nonché con la promozione di un'agricoltura climaticamente intelligente e di tecnologie e pratiche più efficienti in termini di emissioni».
Secondo il rapporto, «Ripensando le attuali strutture di sostegno agricolo, sarà possibile incoraggiare anche il consumo di alimenti sani, primi fra tutti frutta, ortaggi e legumi. Nel definire il quadro per lo sviluppo di sistemi agroalimentari più sani, sostenibili, equi ed efficienti, non sarà, tuttavia, sufficiente limitarsi alle politiche agricole. Per avere azioni di rimodulazione degli obiettivi capaci di incidere nella regione, occorrerà, invece, ampliare lo spettro, fino a includere anche politiche complementari nel campo della sanità, della protezione sociale, del commercio e dell'ambiente. Soprattutto per quanto concerne la sostenibilità ambientale e una maggiore riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, i responsabili delle decisioni dovranno pensare in maniera olistica e facilitare l’applicazione di tecnologie e pratiche basate sulla scienza, climaticamente intelligenti ed efficienti dal punto di vista energetico lungo tutta la filiera agroalimentare».
Il rapporto conclude: «Per avere successo, è fondamentale che tutti questi interventi tengano conto, in particolare, delle circostanze locali e rispettino il principio della partecipazione».
L'articolo Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.