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L’Onu dopo il rapporto IPCC: un futuro vivibile per tutti è possibile, ma c’è rimasto poco tempo (VIDEO)

IPCC Onu

Il segretario generale dell’Onu António Guterres ha descritto l’ultimo Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment presentato ieri dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), come «Unaguida pratica per disinnescare la bomba climatica» e riferendosi al vincitore dell’Oscar come miglior film di quest’anno, ha aggiunto: «L'azione climatica è necessaria su tutti i fronti: "“everything, everywhere, all at once”.
Il capo dell’Onu ha proposto al G20, che riunisce le economie altamente sviluppate ed emergenti un “Climate Solidarity Pact” attraversi o il quale «Tutti i grandi emettitori farebbero ulteriori sforzi per ridurre le emissioni e i Paesi più ricchi mobiliterebbero risorse finanziarie e tecniche per sostenere le economie emergenti in uno sforzo comune per garantire che le temperature globali non aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali».
Guterres ha anche annunciato la prossima presentazione di «Un piano per aumentare gli sforzi per arrivare a questo Patto attraverso un'Acceleration Agenda, che coinvolga i leader dei Paesi sviluppati che si impegnano a raggiungere il net zero netto il più vicino possibile al 2040 e i Paesi in via di sviluppo il più vicino possibile al 2050». Questa Agenda richiederà la fine del carbone, la produzione di elettricità net zero entro il 2035 per tutti i Paesi sviluppati e al 2040 per il resto del mondo, e la fine di tutte le licenze o finanziamenti di nuovo petrolio e gas e qualsiasi espansione di petrolio e gas dalle riserve di gas esistenti. Queste misure devono accompagnare le salvaguardie per le comunità più vulnerabili, aumentare i finanziamenti e le capacità di adattamento, perdite e danni e promuovere riforme per garantire che le banche multilaterali di sviluppo forniscano più sovvenzioni e prestiti e mobilitino pienamente la finanza privata». Forse ai ministri e alla premier del nostro governo, che puntano al futiro dell’Italia come hub del gas europeo, mentre a Piombino attracca un rigassificatore che sforerà i limiti posti da Guterres, saranno fischiate le orecchie, ma è più probabile che abbiano fatto finta di non sentire.
In vista dela 28esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP28 Unfccc) che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, Guterres ha detto di aspettarsi che «Tutti i leader del G20 si saranno impegnati in ambiziosi nuovi nationally determined contributions  a livello economico che comprendano tutti i gas serra, e indicando i loro obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni per il 2035 e il 2040».
Il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell ha avvertito che «Il tempo sta per scadere, ma non le opzioni per affrontare il cambiamento climatico. Il Synthesis Report del Sixth Assessment Report dell'IPCC aggiunge più chiarezza e dettagli a una semplice verità: dobbiamo fare di più sul cambiamento climatico, adesso. Siamo in un decennio critico per l'azione climatica. Le emissioni globali devono essere ridotte di quasi il 43% entro il 2030 affinché il mondo possa raggiungere l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare l'aumento della temperatura globale a 2 gradi Celsius e proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius. Il Synthesis Report evidenzia quanto siamo fuori strada.
Non è troppo tardi. L'IPCC dimostra chiaramente che è possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius con riduzioni rapide e profonde delle emissioni in tutti i settori dell'economia globale. Ci ha fornito molte opzioni di mitigazione e adattamento fattibili, efficaci e a basso costo da poter attuare in tutti i settori e Paesi».
Stiell evidenzia che «Se vogliamo dimezzare le emissioni entro la fine del decennio, dobbiamo essere precisi ora. Il cosiddetto Global Stocktake di quest'anno, un processo in base al quale i Paesi valutano i progressi verso gli obiettivi di Parigi, è per i Paesi un momento per concordare le pietre miliari concrete che ci porteranno ai nostri obiettivi per il 2030. Questa roadmap deve includere passaggi dettagliati per tutti i settori e i temi, compresi l'adattamento climatico, le perdite e i danni, la finanza, la tecnologia e il capacity building. Fornendoci non solo un piano basato sulle opzioni disponibili, ma anche riforme finanziarie e un rinnovato senso di responsabilità politica e imprenditoriale sul cambiamento climatico, la COP28 può essere il momento in cui iniziare a seguire la rotta per raggiungere collettivamente gli obiettivi di Parigi».
Petteri Taalas, segretario generale della World meteorological organization (Wmo) fa notare che «Il rapporto fa eco ai risultati di tutti gli assessment reports dell'IPCC dal 1990. Ora, con un tono molto più alto, i precedenti rischi teorici si sono materializzati. Il cambiamento climatico è già visibile ei suoi problemi umani, economici e sociali sono in crescita. Questo rapporto dimostra che attualmente ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento di 2,2 - 3,5 gradi. Un riscaldamento di 3 gradi avrebbe un impatto drammatico sulla salute umana, sulla biosfera, sulla sicurezza alimentare e sull'economia globale. Molti di questi rischi potrebbero essere evitati se rimanessimo entro 1,5 gradi di riscaldamento».
La Wmo pubblicherà il suo rapporto sullo stato del clima globale tra poche settimane e Salas annuncia che mostrerà che «Tutti i parametri climatici stanno andando nella direzione totalmente sbagliata: riscaldamento degli oceani, acidificazione degli oceani, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, inondazioni e eventi di siccità e concentrazioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto. L'altro messaggio chiave dell'IPCC è che è molto più razionale limitare il cambiamento climatico rispetto all'inerzia o affrontarne le conseguenze. La buona notizia è che abbiamo mezzi sia economicamente che tecnicamente attraenti per limitare il livello di riscaldamento anche a 1,5° C e che la transizione è anche una grande opportunità per nuove imprese e risparmi finanziari. Oltre alla mitigazione dei cambiamenti climatici, dobbiamo accelerare l'adattamento ai cambiamenti climatici. I sistemi di allerta precoce sono uno strumento di adattamento economico ed efficiente ed è per questo che la Wmo sta dando la priorità agli allarmi precoci per tutti entro il 2027».
Per Inger Andersen direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme (Unep), il Synthesis Report «Ci dice che il cambiamento climatico è qui, ora. Che il cambiamento climatico è una minaccia per il benessere umano e planetario, che sono la stessa cosa. Che siamo molto vicini al limite di 1,5 gradi Celsius e che anche questo limite non è sicuro per le persone e per il pianeta. Il cambiamento climatico sta sferrando i suoi colpi più duri alle comunità vulnerabili che hanno meno responsabilità, come abbiamo visto con il ciclone Freddy in Malawi, Mozambico e Madagascar e le inondazioni improvvise in Turchia, che insieme hanno ucciso centinaia di persone. Il rapporto ci dice che il nostro fallimento collettivo nel ridurre le emissioni di gas serra ci lascia sulla cattiva strada per superare 1,5 gradi Celsius di riscaldamento globale. E che continuare a marciare su questa pista porterà un'ulteriore intensificazione di condizioni meteorologiche estreme, degrado dell'ecosistema e danni a vite e mezzi di sussistenza. Dobbiamo abbassare il riscaldamento. E dobbiamo aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi a quegli impatti del cambiamento climatico che sono già qui. Questo rapporto di sintesi, che coincide con la ricerca dell'Unep, ci dice che abbiamo già la tecnologia e il know-how per portare a termine entrambi questi lavori. Energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili. Efficienza energetica. Trasporti verdi. Infrastrutture urbane green. Fermare la deforestazione. Ripristino dell'ecosistema. Sistemi alimentari sostenibili, compresa la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari. Investire in queste aree, e non solo, contribuirà a stabilizzare il nostro clima. Ridurre la natura e la perdita di biodiversità, l'inquinamento e i rifiuti: gli altri due poli della tripla crisi planetaria. Fornirà molti altri vantaggi: da aria più pulita e natura più sana a posti di lavoro dignitosi e maggiore equità. È l'ultima occasione che abbiamo».
La Andersen ha ricordato che «Davanti a noi, quest'anno ci aspettano l’UN Climate Action Summit, il primo Global Stocktake ai sensi dell'accordo di Parigi e la COP28 negli Emirati Arabi Uniti. Questi saranno senza dubbio momenti importanti per dare il tono all'azione nella seconda metà di questo decennio critico. Ma se c'è un aspetto fondamentale di questo synthesis report per le nazioni, il businesses, gli investitori e ogni individuo che contribuisce al cambiamento climatico, ed è questo: dobbiamo passare dalla procrastinazione climatica all'attivazione climatica. E dobbiamo farlo oggi».
Il rapporto IPCC evidenzia che non possiamo più permetterci giochini contabili, scarcabarile e greenwashing  e Achim Steiner, amministratore dell’United Nations Development Programme (UNDP). Ha sottolineato che «Mentre le condizioni meteorologiche estreme colpiscono con crescente ferocia - tra cui devastanti siccità, inondazioni e ondate di caldo - l'impronta digitale del cambiamento climatico è evidente in ogni angolo del globo. Non c'è dubbio che la salute delle persone e del pianeta dipende ora da un'azione politica decisiva. Questo è il duro messaggio alla base dell'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo delle Nazioni Unite (Onu) per la valutazione della scienza relativa al cambiamento climatico, che ha fornito la valutazione più completa del cambiamento climatico negli ultimi 9 anni».
E anche Steiner fa notare che «Eppure il Climate Change 2023: Synthesis Report non è tutto cupo. Delinea come le opzioni fattibili, efficaci e a basso costo per la mitigazione e l'adattamento al clima siano già a disposizione dei Paesi di tutto il mondo. Ad esempio, questo  include l'elettrificazione diffusa da fonti di energia pulita, l'efficienza energetica e dei materiali e il ripristino delle foreste e di altri ecosistemi. Richiede inoltre una maggiore enfasi sulla riduzione dei gas fluorurati - gas prodotti dall'uomo utilizzati in una serie di applicazioni industriali - per ridurre le emissioni di gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico. La scienza è chiara sul fatto che possiamo mantenere in vita 1,5° C con un processo decisionale solido e basato su prove. Faccio eco all'appello del Segretario generale dell’Onu per un'Acceleration Agenda e per riduzioni immediate, forti e sostenute delle emissioni di gas serra per raggiungere lil net zero globale entro il 2050. In effetti, gli impatti negativi del cambiamento climatico aumenteranno con ogni frazione di grado».
L’amministratore dell’UNDP  ribadisce che «Fondamentalmente, i Paesi ad alto reddito devono estendere i mezzi promessi, tra cui finanziamenti, cancellazione del debito e partenariati, ai Paesi in via di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico e lo sviluppo, come co-investimenti  sulla base del riconoscimento che solo l'azione collettiva della nostra comunità globale sarà sufficiente. Questo include che i Paesi sviluppati finalmente mantengono la promessa da tempo attesa di estendere almeno a 100 miliardi di dollari all'anno in finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo. Il cambiamento climatico è profondamente ingiusto. Oltre 3 miliardi di persone, comprese alcune delle comunità più povere e vulnerabili del mondo che storicamente hanno contribuito meno all'attuale crisi climatica, stanno subendo in modo sproporzionato i suoi peggiori effetti. Sta anche frenando i loro sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Eppure i Paesi in via di sviluppo stanno dimostrando che un'azione decisiva per il clima è possibile. Attraverso i partenariati dell’UNDP con Paesi e comunità di tutto il mondo, stiamo assistendo a una leadership visionaria. Ad esempio, Bhutan, Vietnam e India stanno guidando l'adozione di veicoli elettrici. Kenya e Uruguay ora utilizzano il 90% di fonti energetiche rinnovabili. E in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati stanno intraprendendo azioni di vasta portata per il clima nonostante uno spazio fiscale limitato e una  crisi del debito».
Steiner preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno del Synthesis Report IPCC e conclude: «Ci sono segnali che il cammino verso il net zero  stia accelerando mentre il mondo guarda alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023, o COP28, negli Emirati Arabi Uniti. Questo include l'Inflation Reduction Act negli Stati Uniti,  descritto come "la legislazione più significativa nella storia per affrontare la crisi climatica" e l'ultimo Green Deal Industrial Plan dell'Unione europea , una strategia per  rendere il blocco la patria della tecnologia pulita e dei posti di lavoro verdi. Ora è il tempo di un'era di co-investimenti in soluzioni audaci. Man mano che la stretta finestra di opportunità per fermare il cambiamento climatico si chiude rapidamente, le scelte che i governi, il settore privato e le comunità fanno - o non fanno – ora, passeranno alla storia».
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La corretta gestione dei boschi e la frammentazione legislativa

corretta gestione dei boschi

Come effettuare una corretta gestione dei boschi in un momento di crisi climatica, povertà energetica e in un contesto di frammentazione legislativa nazionale? E’ questa la domanda che è stata al centro del convegno regionale organizzato da Legambiente Toscana alla Casa del Popolo dell’Impruneta e che ha vistio una numerosa partecipazione. i.
L’ultimo inverno ha portato ad un aumento di pressione sull'approvvigionamento di legna dai boschi: oltre 9 milioni di famiglie italiane si riscalda con il legno che viene prelevato da foreste sempre più vulnerabili alla siccità, all’aumento delle temperature e agli eventi estremi.  Per Legambiente, «I boschi sono un patrimonio di servizi ecosistemici cruciali da mantenere e gestire correttamente: un dibattito La discussione sulla gestione dei boschi si alimenta con le difficoltà normative che vive il settore, in particolare le maestranze che operano nella silvicoltura, e la scarsità di manodopera qualificata per realizzare il mantenimento dei boschi davanti alla siccità che alimenta incendi sempre più frequenti».
Secondo Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, «La crisi climatica è un tema cruciale nel dibattito sulla gestione del ceduo. I tagli che hanno creato conflitti sul territorio devono essere analizzati da un punto di vista globale: agronomico, forestale, ecologico e paesaggistico. Serve una sintesi colta tra le posizioni».
La Toscana è la regione più boscata d’Italia con 1 milione e 120 mila ettari composti da un terzo di ceduo e il restante di fustaie, l’85% di proprietà privata. Una superficie boschiva in aumento, in linea con l’andamento nazionale. «Ogni 90 minuti in Italia le foreste aumentano come la superficie di 18 campi da calcio», spiega Paolo Mori, amministratore unico della Compagnia delle Foreste.
Un patrimonio che però è messo a dura prova dalla crisi climatica. Il 2022 è stato l’anno più caldo degli ultimi tre decenni e Bernardo Gozzini, amministratore unico del Consorzio Lamma, ha sottolineato che «Ci avviciniamo sempre di più all’aumento di 1,5 gradi, comparando i dati agli ultimi 50 anni».  E Le conseguenze dell’aumento delle temperature del mare e della siccità hanno una diretta correlazione con gli eventi estremi che hanno distrutto i boschi nazionali, come la tempesta di Vaia, e gli oltre 591 incendi nei primi nove mesi del 2022 in Toscana, tra i quali il rogo di Massarosa che ha distrutto oltre 868 ettari in una settimana.
Boschi messi alla prova dalla crisi climatica ma anche dall’azione criminale. In Regione sono stati rilevati una media di 1200 reati accertati dai Carabinieri Forestali, con particolare attenzione nelle provincie di Firenze e Siena, tra il 2017 e il 2021. «Si tratta di controlli effettuati su tagli in cantieri forestali ma anche sulla sicurezza e sulle autorizzazioni delle maestranze – spiega ancora Legambiente - Illeciti che poi possono causare incidenti sul lavoro e pratiche errate di manutenzione dovute alla mancata formazione dei contoterzisti che poi rendono il bosco più vulnerabile al dissesto idrogeologico, all’erosione e agli eventi estremi. Servirebbe maggiore personale per effettuare i controlli, ad esempio nel Parco delle Foreste Casentinesi ci sono solo 44 forestali per una superficie di 44mila ettari».
Quali le difficoltà nella gestione del bosco? Per Mori, «Superando la visione romantica della narrazione mediatica e turistica è necessario tenere conto del valore dei servizi ecosistemici. Bisogna premiare le ditte che seguono le regole e creare una connessione tra le professionalità per tenere conto dei diversi aspetti tra clima, approvvigionamento energetico e mantenimento della biodiversità. Un esempio può essere quello della vendita dei servizi ecosistemici delle foreste del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano che compensano la CO2 delle aziende e finanziano la manutenzione».
Proposte per una corretta gestione che si scontrano con un frammentazione legislativa dovuta al mancato accordo trovato dai Ministeri di Agricoltura e Cultura. Una carenza dove le regioni hanno provato a ritagliarsi spazio, come successo nel caso del piano antincendio della pineta del Tombolo, in un contesto dove la tutela del paesaggio è riservata a competenza statale. E la frammentazione normativa è proprio il nodo da sciogliere: Antonio Nicoletti, responsabile Parchi e biodiversità di Legambiente, ha concluso: «Alla domanda se le norme sono adeguate rispondiamo che qualcosa non torna. Così come è avvenuto al livello nazionale, suggeriamo un tavolo regionale di filiera legno una gestione che apra e consolidi la discussione tra tutti gli enti».
 
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Nuovo Synthesis Report IPCC: gli ambientalisti è il nostro manuale di sopravvivenza

Synthesis Report IPCC 2

Il Synthesis Report del Sixth Assessment Report (AR6) approvato oggi dall’Intergovernmental Panel on Climate Change sta suscitando numerose reazioni umprontate sia a grande preoccupazione che a una prudente speranza. Il World Resources Institute (WRI) sottolinea che «Attingendo ai risultati di centinaia di scienziati, questo rapporto fornisce la valutazione scientifica più completa e migliore disponibile sul cambiamento climatico. Il rapporto dell'IPCC avverte che le conseguenze dell'aumento delle emissioni di gas serra sono già più gravi e diffuse del previsto e che il mondo dovrà affrontare rischi sempre più pericolosi e irreversibili se non dovessimo cambiare rotta. Il rapporto delinea i percorsi che il mondo può intraprendere per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C e rafforzare la resilienza delle comunità agli impatti climatici. Questi percorsi richiederanno trasformazioni urgenti e di vasta portata in ogni settore e sistema globale».
Secondo il presidente e CEO del WRI, Ani Dasgupta, «Questo rapporto dell'IPCC è sia una feroce condanna dell'inerzia dei principali emettitori sia un valido progetto per un mondo molto più sicuro ed equo. Il nostro pianeta sta già vacillando a causa dei gravi impatti climatici, dalle ondate di caldo torrido e tempeste distruttive alle gravi siccità e scarsità d'acqua. Le comunità povere e vulnerabili nel Sud del mondo stanno subendo le peggiori conseguenze di questo mondo più caldo, anche se la colpa è dell'inquinamento da gas serra delle nazioni ricche.  “Gli scienziati dell'IPCC non usano mezzi termini su quale sia la più grande minaccia per l'umanità: continuare a bruciare combustibili fossili. Nonostante la rapida crescita delle energie rinnovabili, i combustibili fossili rappresentano ancora oltre l'80% dell'energia mondiale e oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra. Senza un radicale allontanamento dai combustibili fossili nei prossimi anni, il mondo è certo che supererà l'obiettivo di 1,5° C. L'IPCC chiarisce che continuare a costruire senza sosta nuove centrali elettriche a combustibili fossili segnerebbe quel destino. Nonostante i loro terribili avvertimenti, l'IPCC fornisce motivi per essere fiduciosi. Il rapporto mostra un sentiero stretto per garantire un futuro vivibile se correggiamo rapidamente la rotta. Questo comporta profonde riduzioni delle emissioni da ogni settore dell'economia, nonché investimenti molto maggiori per costruire la resilienza agli impatti climatici e il sostegno alle persone che affrontano perdite e danni climatici inevitabili. Gli autori chiariscono anche che sono necessari approcci per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera per limitare il riscaldamento a 1,5° C, oltre a decarbonizzare urgentemente ogni settore della società. Le nuove tecnologie come la cattura diretta dell'aria non sono una commissione stupida o una distrazione, ma piuttosto strumenti essenziali per evitare la catastrofe climatica.  Grazie al duro lavoro degli scienziati dell'IPCC, i responsabili politici sanno esattamente cosa deve essere fatto. Una vera leadership climatica significa segnalare al vertice COP28 che l'era dei combustibili fossili è finita. Significa aiutare le grandi economie emergenti come l'India e l'Indonesia ad accelerare il passaggio a fonti di energia più pulite. Significa che i principali emettitori aumentano in modo significativo l'ambizione dei piani climatici nazionali. E significa che i Paesi sviluppati aumentano drasticamente i finanziamenti per le nazioni in via di sviluppo per rafforzare la resilienza climatica e proteggere le loro foreste e gli ecosistemi.  Questi cambiamenti possono sembrare scoraggianti, ma le ragioni per agire non potrebbero essere più chiare: oggi esistono soluzioni economicamente vantaggiose che possono evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico, offrire enormi benefici economici, migliorare la salute e i mezzi di sussistenza delle persone e costruire comunità più resilienti».
Stephanie Roe, Wwf Global Lead Scientist Climate and Energy e autrice principale del rapporto IPCC Working Group III , ha dichiarato: «Questo rapporto rappresenta la raccolta più completa di scienza climatica da quando l'ultima valutazione è stata pubblicata quasi un decennio fa. Descrive molto chiaramente gli impatti devastanti che il cambiamento climatico sta già avendo sulle nostre vite e sugli ecosistemi in tutto il mondo, il duro futuro che tutti noi affrontiamo se non agiamo insieme e le soluzioni che possiamo implementare ora per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici».
Secondo Greenpeace, «Con la chiusura dell’ultimo capitolo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC),  consegna  oggi a tutti i governi una sintesi dei più recenti rapporti sul passato, presente e futuro dei cambiamenti climatici. Una sintesi che dipinge una realtà sconfortante, ma non priva di speranza, a patto che i governi agiscano con urgenza».
Per Reyes Tirado dell’Unità scientifica di Greenpeace International all’università di Exeter, «La scienza del clima è ineludibile: questo rapporto è il nostro manuale di sopravvivenza. Le decisioni che prendiamo oggi, e nei prossimi otto anni, possono garantire un pianeta più sicuro per i millenni a venire. Politici, leader e classi dirigenti di tutto il mondo devono fare una scelta: difendere il clima per le generazioni presenti e future, o comportarsi come  criminali che lasciano un’eredità tossica ai nostri figli e nipoti».
Simona Abbate, campaigner energia e clima di Greenpeace Italia, aggiunge: «Non occorre attendere un miracolo, esistono già le soluzioni di cui abbiamo bisogno per dimezzare le emissioni in questo decennio. Un accordo per l’eliminazione equa e rapida di carbone, petrolio e gas deve diventare la priorità assoluta dei governi. Gli eventi estremi saranno sempre più frequenti se non interveniamo subito, ma il governo italiano sembra andare nella direzione opposta, nel folle intento di trasformare il nostro Paese in un “hub del gas” per l’Europa. Una scelta che alimenta la crisi climatica e rischia di trasformare l’Italia in un “hub dei cambiamenti climatici”».
Anche secondo il Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «La buona notizia che emerge dal rapporto IPCC presentato oggi è che siamo ancora in tempo per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5° C. Serve però un’immediata inversione di rotta. Le politiche climatiche messe in campo dai governi sino ad ora ci portano pericolosamente verso un aumento della temperatura media globale di quasi 3° C entro la fine del secolo. Il rapporto su questo è chiaro. L’obiettivo di 1.5° C è ancora raggiungibile. Non vi sono ostacoli tecnologici o finanziari. E’ solo una questione di volontà politica. Serve subito mettere in campo politiche climatiche ambiziose in grado di ridurre le emissioni climalteranti globali del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Un contributo importante può e deve venire dal phasing-out dei sussidi alle fonti fossili entro il 2030 che può consentire una riduzione del 10% delle emissioni globali. Nello stesso tempo va attuata la decarbonizzazione del settore elettrico con il phasing out del carbone, entro il 2030 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale, e del gas fossile entro il 2035 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale. Altrimenti non sarà possibile mantenere vivo l’obiettivo di 1.5° C. L’Europa, con il pieno apporto e sostegno dell’Italia, deve fare da apripista tra i Paesi OCSE. E accelerare la giusta transizione verso un futuro libero dalle fossili e 100% rinnovabile. Solo così sarà possibile ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, andando oltre il 57% annunciato alla COP27, in coerenza con l’obiettivo di 1.5° C».
Il Cigno Verde sottolinea che «Per centrare l'obiettivo del 65% serve un ulteriore passo in avanti e raggiungere almeno il 50% di rinnovabili ed il 20% di efficienza energetica entro il 2030. Obiettivi questi che combinati con il phasing-out del carbone entro il 2030 e del gas fossile entro il 2035, insieme al phasing-out della vendita di veicoli con motori a combustione interna entro il 2035, possono consentire all’Europa di raggiungere la neutralità climatica ben prima del 2050. Anche l’Italia deve fare la sua parte con la revisione, prevista entro il prossimo giugno, del suo Piano Integrato Clima ed Energia (PNIEC) andando ben oltre l’inadeguato obiettivo climatico nazionale del 51% proposto nel PNRR per il 2030».
Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, spiega che «L’Italia  può centrare l’obiettivo climatico del 65% grazie soprattutto al contributo delle rinnovabili. Secondo Climate Analytics, nel nostro Paese è possibile raggiungere almeno il 60% nel mix energetico e fino al 90% nel mix elettrico entro il 2030. E arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico già nel 2035, creando così le condizioni per arrivare alla neutralità climatica ben prima del 2050. Una scelta già fatta dalla Germania, che si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 con il 100% di produzione elettrica rinnovabile entro il 2035.  Solo così sarà possibile vincere la sfida della duplice crisi, energetica e climatica, che rischia di mettere in ginocchio l’Europa e l’Italia. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere grazie anche al sostegno di una larga maggioranza degli italiani. Come evidenzia il Climate Survey della Banca Europea degli Investimenti (BEI), ben il 77% degli italiani ritiene che l’invasione russa dell’Ucraina e le sue conseguenze debbano accelerare la transizione energetica del nostro Paese. Altrimenti, se non riduciamo drasticamente i nostri consumi energetici nei prossimi anni, per l’89% degli italiani rischiamo la catastrofe climatica».
Secondo Jeni Miller, direttrice esecutiva della Global Climate and Health Alliance. «Presi insieme, i Sixth Assessment Reports dell'IPCC dipingono un quadro chiaro dell'urgenza e della serietà con cui ogni governo deve perseguire tutti e tre i pilastri dell'azione per il clima: rispondere alle perdite e ai danni alla salute delle persone e delle loro case, all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, alle cliniche e agli ospedali e ad altri elementi essenziali per la salute, dagli impatti climatici che stiamo vedendo e che continueremo a vedere; la necessità fondamentale di preparare le comunità di tutto il mondo con misure di adattamento per gestire meglio i prossimi impatti climatici; e prima di tutto, l'urgente necessità di mitigare il cambiamento climatico assumendo forti impegni quest'anno per una rapida ed equa eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. Poiché i governi hanno ritardato l'azione per il clima per così tanto tempo, le politiche attualmente in atto indicano che ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento di 2,7° C, ben al di sopra dell'obiettivo di 1,5° C dell'accordo di Parigi. Se non controllato, sarà impossibile adattarsi rapidamente o in modo sufficientemente esteso da superare i punti di non ritorno climatici e gli impatti previsti per un tale riscaldamento incontrollato. L'IPCC chiarisce che i governi devono assumere impegni più forti quest'anno per accelerare la mitigazione. I combustibili fossili devono sparire. Inoltre, poiché i governi non sono riusciti a prevenire i danni alla salute e al benessere umano che si stanno già verificando, è necessario aumentare il livello di assistenza e preparazione, con investimenti significativi nell'adattamento, nella resilienza, nella perdita e nei danni. La continua incapacità di mitigare i cambiamenti climatici ci sta rapidamente portando verso un pianeta che potrebbe diventare inabitabile. Ma un'azione coraggiosa da parte dei governi quest'anno può ancora evitare cambiamenti climatici catastrofici, prevenire sofferenze umane indicibili e offrire un futuro più sano ed equo».
Il Wwf fa notare che «Il Sixth Assessment Synthesis Report (AR6) dell'IPCC mette in luce le rapide riduzioni delle emissioni necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici intermedi: ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 per raggiungere lo zero netto entro la metà del secolo ed evitare che le temperature globali superino il punto di non ritorno pericoloso di 1,5° C. Riconosce tuttavia che le attuali politiche sono fuori strada per raggiungere questi obiettivi, nonostante la gamma di soluzioni economicamente vantaggiose disponibili. I paesi dovrebbero valutare i loro progressi verso il raggiungimento di questi obiettivi nel bilancio globale al vertice delle Nazioni Unite sul clima COP28 entro la fine dell'anno».
Per questo, il Wwf esorta l'Unione europea e gli altri governi a «Prestare attenzione agli avvertimenti del rapporto e ad agire rapidamente per attuare le sue raccomandazioni per limitare gli impatti della crisi climatica. Invita i leader a ridurre rapidamente le emissioni in tutti i settori, aumentare gli sforzi per costruire la resilienza agli eventi meteorologici estremi e proteggere e ripristinare la natura. Un'eliminazione graduale accelerata dei combustibili fossili è il modo migliore per evitare che il pianeta superi gli 1,5 °C e rischi una catastrofe climatica totale».
Shirley Matheson, global NDC enhancement coordinator del Wwf Europe, ricorda che «L'Unione Europea, come alcuni altri paesi, sta già ottenendo la riduzione delle emissioni in alcuni settori, ma l'azione non è ancora della portata o della velocità di cui abbiamo bisogno. Questo rapporto mostra ancora una volta che la finestra di opportunità per limitare il riscaldamento a 1,5° C si sta rapidamente chiudendo. L'UeE ha molti strumenti e politiche sul tavolo ed è in grado di affrontare questa sfida, ma spesso manca la volontà politica di ascoltare la scienza e prendere le decisioni giuste. Prima e con maggiore decisione l'Ue agisce, prima le persone e la natura possono raccogliere i benefici di un futuro più pulito, più sicuro e più stabile».
Il Wwf fa notare che il nuovo Synthesis Report IPCC evidenzia che esistono già molte soluzioni a basso costo per la necessaria trasformazione economica [C.3]; il costo delle energie rinnovabili come l'eolico e il solare è diminuito fino all'85% nell'ultimo decennio [A.4.2]; l' importanza della natura e della conservazione,  compresa la necessità di conservare dal 30% al 50% della terraferma, delle acque dolci e degli oceani della Terra per mantenere la resilienza della biodiversità e dei servizi ecosistemici su scala globale [C.3.6]; l’urgenza dell'azione in questo decennio, così come entro il 2035 - la data che si collega alla prossima tornata di contributi determinati a livello nazionale ai sensi dell'Accordo di Parigi [B.6.1].
Stephen Cornelius, global deputy lead climate and energy del Wwf concòude: «Le prove sono cristalline, la scienza è inequivocabile: è solo la mancanza di volontà politica che ci trattiene dall'azione coraggiosa necessaria per evitare una catastrofe climatica. I leader che ignorano la scienza del cambiamento climatico stanno deludendo la loro gente. Una rapida eliminazione dei combustibili fossili è essenziale, così come la protezione e il ripristino degli ecosistemi naturali. La natura è il nostro alleato segreto nella lotta al cambiamento climatico. I sistemi naturali hanno assorbito il 54% delle emissioni di anidride carbonica legate all'uomo negli ultimi dieci anni e hanno rallentato il riscaldamento globale e contribuito a proteggere l'umanità da rischi di cambiamento climatico molto più gravi. Non possiamo sperare di limitare il riscaldamento a 1,5° C, adattarci ai cambiamenti climatici e salvare vite e mezzi di sussistenza, a meno che non agiamo anche con urgenza per salvaguardare e ripristinare la natura. La natura è una parte non negoziabile della soluzione alla crisi climatica».
 
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Nuovo Synthesis Report IPCC: «Un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti»

Synthesis Report IPCC

Secondo gli scienziati che hanno redatto l’ultimo Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)presentato oggi, «Esistono opzioni multiple, fattibili ed efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall'uomo, e sono ora disponibili».
Il presidente dell'IPCC, Hoesung Lee, ha detto che «L'integrazione di un'azione climatica efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche benefici più ampi. Questo Synthesis Report sottolinea l'urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti».
Nel 2018, l'IPCC aveva evidenziato la portata senza precedenti della sfida per mantenere il riscaldamento climatico entro gli 1,5° C e ors dice che «5 anni dopo, questa sfida è diventata ancora più grande a causa del continuo aumento delle emissioni di gas serra. Il ritmo e la portata di ciò che è stato fatto finora e i piani attuali non sono sufficienti per affrontare il cambiamento climatico».
Dal Synthesis Report arriva la conferma che «Più di un secolo di combustione di combustibili fossili, nonché di uso ineguale e insostenibile di energia e suolo, ha portato a un riscaldamento globale di 1,1° C rispetto ai livelli preindustriali. Questo ha portato a eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi che hanno causato impatti sempre più pericolosi sulla natura e sulle persone in ogni regione del mondo. Ogni incremento del riscaldamento si traduce in un rapido aumento dei pericoli. Ondate di caldo più intense, precipitazioni più intense e altri eventi meteorologici estremi aumentano ulteriormente i rischi per la salute umana e gli ecosistemi. In ogni regione, le persone muoiono a causa del caldo estremo. Si prevede che l'insicurezza alimentare e idrica dovuta al clima aumenterà con l'aumento del riscaldamento. Quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o conflitti, diventano ancora più difficili da gestire».
Il rapporto IPCC, approvato dopo una intensa sessione di studio e confronto durata una settimana a Interlaken, in Svizzera, mette a fuoco «Le perdite e i danni che stiamo già subendo e che continueranno in futuro, colpendo in modo particolarmente duro le persone e gli ecosistemi più vulnerabili. Intraprendere l'azione giusta ora potrebbe comportare il cambiamento trasformativo essenziale per un mondo sostenibile ed equo».
Aditi Mukherji, uno dei 93 autori di questo Synthesis Report, sottolinea che «La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico sono stati colpiti in modo sproporzionato. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nell'ultimo decennio, le morti per inondazioni, siccità e tempeste sono state 15 volte superiori nelle regioni altamente vulnerabili».
Il report IPCC avverte che «In questo decennio, un'azione accelerata per l'adattamento ai cambiamenti climatici è essenziale per colmare il gap tra l'adattamento esistente e ciò che è necessario. Nel frattempo, mantenere il riscaldamento a 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali richiede riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra in tutti i settori. Se si vuole limitare il riscaldamento a 1,5° C, le emissioni dovrebbero ormai diminuire e dovranno essere ridotte di quasi la metà entro il 2030. La soluzione sta nello sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici. Questo comporta l'integrazione di misure per l'adattamento ai cambiamenti climatici con azioni per ridurre o evitare le emissioni di gas serra in modi che forniscano benefici più ampi».
L’IPCCC fa alcuni esempi: «L'accesso all'energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto per donne e bambini; l'elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi, in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell'aria, migliorano la salute, le opportunità di lavoro e forniscono equità. I benefici economici per la salute delle persone derivanti dai soli miglioramenti della qualità dell'aria sarebbero più o meno gli stessi, o forse anche maggiori dei costi per ridurre o evitare le emissioni».
Ma occorre far presto perché «Lo sviluppo resiliente al clima diventa progressivamente più impegnativo con ogni incremento del riscaldamento. Per questo le scelte compiute nei prossimi anni svolgeranno un ruolo fondamentale nel decidere il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno. Per essere efficaci, queste scelte devono essere radicate nei nostri diversi valori, visioni del mondo e conoscenze, comprese le conoscenze scientifiche, le conoscenze indigene e le conoscenze locali. Questo approccio faciliterà lo sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici e consentirà soluzioni localmente appropriate e socialmente accettabili».
Uno degli autori del rapporto, Christopher Trisos, direttore del Climate Risk Lab all’University of Cape Town’s African Climate and Development Initiative, spiega che «I maggiori guadagni in termini di benessere potrebbero derivare dal dare priorità alla riduzione del rischio climatico per le comunità a basso reddito ed emarginate, comprese le persone che vivono in insediamenti informali. Un'azione accelerata per il clima avverrà solo se ci sarà un aumento di molte volte dei finanziamenti. Finanziamenti insufficienti e disallineati stanno frenando il progresso».
Ma se le barriere esistenti verranno ridotte, c’è capitale globale sufficiente per ridurre rapidamente le emissioni di gas serra: « Aumentare i finanziamenti per gli investimenti climatici è importante per raggiungere gli obiettivi climatici globali – dice l’IPCC - I governi, attraverso finanziamenti pubblici e segnali chiari agli investitori, sono fondamentali per ridurre queste barriere. Anche gli investitori, le banche centrali e le autorità di regolamentazione finanziaria possono fare la loro parte. Esistono misure politiche collaudate che, se vengono ampliate e applicate in modo più ampio possono funzionare per ottenere profonde riduzioni delle emissioni e resilienza climatica. L'impegno politico, le politiche coordinate, la cooperazione internazionale, la gestione dell'ecosistema e la governance inclusiva sono tutti elementi importanti per un'azione per il clima efficace ed equa. Se la tecnologia, il know-how e le misure politiche adeguate vengono condivise e vengono messi a disposizione fin d'ora finanziamenti adeguati, ogni comunità può ridurre o evitare i consumi ad alta intensità di carbonio. Allo stesso tempo, con investimenti significativi nell'adattamento, possiamo evitare l'aumento dei rischi, in particolare per i gruppi e le regioni vulnerabili».
E il Synthesis Report ribadisce che «Il clima, gli ecosistemi e la società sono interconnessi. Una conservazione efficace ed equa di circa il 30-50% della terra, dell'acqua dolce e degli oceani della Terra contribuirà a garantire un pianeta sano».  Ma anche le aree urbane offrono un'opportunità su scala globale per un'azione climatica ambiziosa che contribuisca allo sviluppo sostenibile: «I cambiamenti nel settore alimentare, dell'elettricità, dei trasporti, dell'industria, degli edifici e dell'uso del suolo possono ridurre le emissioni di gas serra. Allo stesso tempo, possono rendere più facile per le persone condurre stili di vita a low carbon, il che migliorerà anche la salute e il benessere. Una migliore comprensione delle conseguenze del consumo eccessivo può aiutare le persone a fare scelte più informate».
Lee ha concluso: «E’ più probabile che i cambiamenti trasformativi abbiano successo dove c'è fiducia, dove tutti lavorano insieme per dare priorità alla riduzione del rischio e dove i benefici e gli oneri sono condivisi equamente. Viviamo in un mondo eterogeneo in cui ognuno ha responsabilità diverse e diverse opportunità per realizzare il cambiamento. Alcuni possono fare molto mentre altri avranno bisogno di supporto per aiutarli a gestire il cambiamento».
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Agrolab Ambiente, Fossi, Furfaro e Scotto (Pd): «Il governo convochi un tavolo per affrontare la crisi»

Agrolab Ambiente

In una interrogazione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, i deputati del Pd Emiliano Fossi, Marco Furfaro e Arturo Scotto, evidenziano che «Alla Agrolab Ambiente di Carrara ci sono 34 lavoratori che rischiano il posto. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy convochi subito un tavolo con enti locali, sindacati e azienda per affrontare la crisi».
I tre deputati spiegano che «Agrolab Group, holding tedesca, ha acquisito nel marzo del 2020 l’asset della società che si occupava delle analisi ambientali. Con le sue sedi di Carrara (Toscana), Pisticci (Basilicata), Priolo e Gela (Sicilia), completa la presenza di Agrolab nel territorio nazionale. I laboratori di Agrolab Ambiente gestiscono l’intero processo analitico, dal campionamento alle analisi, al reporting, con un rapido flusso delle informazioni. Le attrezzature e gli strumenti dei laboratori sono all’avanguardia. Nello specifico le analisi che vengono effettuate nel sito produttivo di Carrara sono analisi ambientali, delle acque, servizi di consulenza, classificazione, campionamento e monitoraggio. I maggiori clienti che si rivolgono ad Agrolab ambiente sono: Eni, Eni Power, Enel spa, Sogin, Solvay Rosignano e Massa, Solvay Solution Livorno, Italferr Gruppo ferrovie dello stato, Scapigliato srl, Belvedere spa, Ecofor. Società di primo piano».
Fossi, Furfaro e Scotto ricordano che «A settembre 2022 l’azienda, incontrando i sindacati, ha presentato il quadro di un'azienda sana, ben radicata sul territorio in termini di progettualità futura e ben lontana quindi da ipotesi di dismissioni della produzione. Ma lo scorso gennaio l’azienda ha comunicato ai lavoratori e alle lavoratrici del laboratorio di Carrara che nel corso dell’anno ci sarà una ristrutturazione sulla base del business plan relativo al 2022 e che i reparti di laboratorio, in cui sono occupati 40 addetti, saranno chiusi con il conseguente trasferimento dei lavoratori. Durante un incontro dello scorso febbraio, alla presenza dell’assessore regionale Nardini e della sindaca di Carrara Arrighi, si è parlato per la prima volta di licenziamenti. Il 10 marzo l’azienda ha attivato la procedura di licenziamento collettivo per 34 lavoratori su 63. Secondo i sindacati, l’azienda sta smobilitando il lavoro al laboratorio di Carrara dirottando i campioni alla sede di Vicenza».
I deputati PD concludono: «Il Ministero deve occuparsene: è chiamato ad affrontare velocemente questa crisi aziendale difendendo i livelli occupazionali».
 
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Comunità Energetiche Rinnovabili In Toscana, patto Regione, Confcooperative e Bcc per la transizione sostenibile

Comunita Energetiche Rinnovabili In Toscana

Al convegno “Comunità Energetiche Rinnovabili . Il modello di Confcooperative e Federazione Toscana BCC”, che si è tenuto oggi a Firenze, è stato presentato un protocollo per «Promuovere la diffusione dei principi della transizione ecologica in Toscana e cogliere la sfida del cambiamento climatico» con il quale Regione, Confcooperative e Banche di Credito Cooperativo (BCC) si impegano a «Sviluppare azioni comuni per diffondere gli obiettivi e i temi connessi alla transizione ecologica, anche promuovendo campagne di sensibilizzazione e comunicazione capaci di incoraggiare i cittadini toscani a produrre e utilizzare energia pulita, ad adottare una cultura dell’efficientamento energetico e a ridurre l’uso di materie prime non rinnovabili e gli sprechi».
Nell’intesa, che ha una durata di due anni, si prevede anche la possibilità di una comune partecipazione a progetti europei sui temi della transizione ecologica e della sostenibilità. Un'attenzione particolare è rivolta alla «Diffusione e alla realizzazione di comunità energetiche con “vocazione sociale”, ossia dove siano particolarmente sentiti i temi legati alla solidarietà ed al contrasto alla povertà energetica» e il convegno è stata l’occasione per presentare il modello di Comunità Energetiche Rinnovabili di Confcooperative e Federazione Toscana BCC.
La presidente di Confcooperative Toscana, Claudia Fiaschi, ha sottolineato che «La cooperazione sulle comunità energetiche è un valore aggiunto sia dal punto di vista economico che sociale. Infatti, cosa più della cooperazione fa comunità? Il futuro dei nostri territori e delle nostre comunità passa dal presente che deve essere necessariamente sostenibile».
Il presidente di Federazione Toscana Banche di Credito Cooperativo, Matteo Spanò ha evidenziato che «L’impegno delle Bcc è da sempre al servizio dei territori, che oggi ci chiedono di essere aiutati a tornare protagonisti del proprio futuro, riappropriandosi delle scelte su temi centrali quali l’energia e il welfare. Come avvenuto da oltre 100 anni, le BCC continueranno anche in questa occasione a lavorare per accrescere il benessere delle nostre comunità locali».
L'assessora regionale all’Ambiente Monia Monni ha ricordato che «Riusciremo ad attuare una reale transizione ecologica solo con la partecipazione attiva di tutti: istituzioni, cittadini, società organizzata  La sottoscrizione di questo protocollo con Confcooperative e Bcc è un passo essenziale, considerato l’importante mondo economico che essi rappresentano. Insieme ci impegniamo a diffondere la cultura e le tematiche relative alla transizione ecologica, mettendo in campo tutti gli strumenti che sono ritenuti utili  a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini verso nuove abitudini e comportamenti che permettano efficientamento e risparmio energetico. Voglio ringraziare Confcooperative e le Bcc per la sensibilità dimostrata verso le tematiche ambientali, che sono fondamentali alla lotta ai cambiamenti climatici».
L’assessore all’Ambiente del Comune di Firenze Andrea Giorgio ha concluso: «Il protocollo che nasce oggi è una bella notizia perché va nell’ottica che tutti auspichiamo: che le CER nel processo di transizione ecologica siano insieme Utili per l’ambiente e giuste per le persone e le comunità locali. L’impegno del mondo cooperativo in questo è una garanzia, e il modello che sta nascendo è di grande interesse per il territorio: vogliamo stare in questa alleanza per il cambiamento».
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Legambiente Carrara: «Materiali estratti dalle cave: chi ha paura della trasparenza?»

Materiali estratti dalle cave

Legambiente Carrara denuncia che «E’ da oltre 15 anni che le amministrazioni comunali succedutesi respingono la nostra richiesta di trasparenza e rilasciano i dati dei quantitativi di materiali estratti cava per cava rendendole anonime, in modo da impedirne l’identificazione. Questa opacità ostacola i cittadini sia nell’individuazione delle cave che violano le norme (perché producono quantità spropositate di detriti o abbandonano al monte le terre, ecc.) sia nell’avanzare proposte di pianificazione e regolamentazione basate sulla concreta conoscenza dei dati».
Per questo, Legambiente ha presentato un ricorso al Responsabile comunale per la trasparenza e la Prevenzione della corruzione, nonché al Difensore civico regionale, che ripercorre puntigliosamente tutte le richieste avanzate e l’iter burocratico e amministrativo e le leggi che tutelano il diritto di associazioni e cittadini a ottenere le informazioni richieste.
Legambiente Carrara conclude chiedendo all’RPCT del Comune di Carrara e al Difensore Civico della Regione Toscana, di: «1. accertare la sussistenza dei motivi di esclusione “relativi” all’accesso civico generalizzato. 2. verificare che nella valutazione delle opposizioni formulate dai controinteressati l’Amministrazione abbia esercitato le prerogative assegnatele dalle norme relative alla concreta valutazione della sussistenza di concreti e non generici interessi privati meritevoli di tutela. 3. se in tale attività l’Amministrazione abbia tenuto in considerazione le disposizioni dell’art. 40 e degli ivi richiamati precedenti D.Lgs. E pertanto, accolti i rilievi sopra formulati, 4,voglia disporre con provvedimento motivato in merito alla presente richiesta di riesame. 5. voglia valutare infine se le informazioni richieste rientrino nelle fattispecie di cui all’art. 40 del D.Lgs. 33/2013 (“Informazioni Ambientali”) e pertanto debbano essere oggetto di tempestiva pubblicazione – anche in assenza di istanze d’accesso – nella relativa sezione di “Amministrazione Trasparente”».
Sul fronte estrattivo apuano interviene anche  il Gruppo di Intervento Giuridico (CrIG)  ricordando che «I fossi di cava sono i fondamentali impluvi naturali che consentono il deflusso delle acque nelle zone estrattive del marmo sulle Alpi Apuane. Pur essendo intuitiva la loro importanza per la difesa del suolo e il regime idrogeologico, nel corso del tempo spesso sono stati oggetto di scarichi illeciti di detriti da estrazione e lavorazione del marmo trasformandosi in ravaneti e scoli dell’inquinante marmettola. La marmettola, poi, va a inquinare sorgenti, falde e torrenti. Un vero e proprio disastro ambientale strisciante che l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha denunciato in tutte le sedi». I GrIG fa notare che la stessa Arpat nello studio  "Progetto Cave: qualità ecologica nel triennio 2017-2019”, pubblicato nel febbraio 2021, evidenzia che questo produce «Pesanti ripercussioni sull’ambiente fluviale”, degradando drasticamente la qualità ecologica» dei corsi d’acqua delle Apuane.
Il GrIG accusa le amministrazioni pubbliche competenti di adoperarsi per sdemanializzare i corsi d’acqua ridotti a ravaneti marmettolizzati e, così, premiare gli inquinatori, invece di sanzionali e chiedere loro il ripristino ambientale L’associazione denuncia che «Da tempo, infatti, su richiesta delle amministrazioni comunali interessate, in particolare a Carrara, si ipotizza l’avvio di una procedura di sdemanializzazione dei fossi di cava nelle aree interessate da estrazioni minerarie, così, in pratica, da farli rientrare in qualche modo nella normale attività estrattiva».
Per questo, oggi il GrIG ha inviato una specifica istanza di accesso civico per chiedere «Iinformazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti finalizzata a scongiurare l’ipotesi nefasta della sdemanializzazione dei fossi di cava, con la richiesta di adozione dei necessari provvedimenti di ripristino ambientale e idrogeologico. Coinvolti i Ministeri dell’Ambiente e della Cultura, la Regione Toscana, il Comune di Carrara, i Carabinieri Forestale, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Lucca, informata per opportuna valutazione degli aspetti di competenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa».
Il GrIG auspica che «Questo gravissimo fenomeno di illegalità ambientale sia finalmente eliminato, per il risanamento ambientale e idrogeologico, nonchè la difesa da nuove alluvioni, vere e proprie calamità innaturali».
 
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World Water Day, Legambiente: «Accelerare il cambiamento: la sfida dell’acqua passa dalle città»

World Water Day Legambiente

Lo slogan del World Water Day, la Giornata mondiale dell’acqua 2023, è “Accelerare il cambiamento per risolvere la crisi idrica e sanitaria” er per Legambiente si tratta di «Un cambiamento nel modo di gestire questa preziosa risorsa mai stato più urgente, per fronteggiare i cambiamenti climatici e l’emergenza siccità, che dalla scorsa estate non ha smesso di mettere in ginocchio l’Italia». Infatti, la Società Meteorologica Italiana  ha dichiarato il 2022 anno «Tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni», con un saldo negativo pluviometrico complessivo del 30%. Secondo i dati dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, idanni dovuti alla siccità, passati dai 6 del 2021 ai 28 del 2022, sono aumentati del 367%.
A due giorni dal World Water Day, il Cigno Verde presenta il dossier  “Accelerare il cambiamento: la sfida dell’acqua passa dalle città” nel quale  fotografa il potenziale che avrebbero insieme la raccolta delle acque meteoriche in ambiente urbano e il riutilizzo di quelle reflue per l’agricoltura: «22 miliardi di m3 di acqua all’anno, corrispondenti a circa 3 volte la capacità contenuta nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a circa 6,9 miliardi di m3».  Cifre importanti che spingono Legambiente a chiedere al Governo Meloni «Una strategia idrica nazionale in modo da avviare una nuova governance dell’acqua, che abbia come obiettivo non solo l’accumulo per affrontare i periodi di carenza, ma soprattutto la riduzione della domanda d’acqua e quindi dei prelievi e degli usi in tutti i suoi settori. A partire da una roadmap per riqualificare e riprogettare gli spazi aperti e gli edifici delle nostre città che punti almeno al recupero del 20% delle acque meteoriche entro il 2025, del 35% entro il 2027 e del 50% entro il 2030; e dalla necessità che, il recepimento del regolamento UE 741/2020 per il riutilizzo delle acque reflue - in fase di osservazione presso il MASE - sia fatto in modo rigoroso, tenendo conto dell’analisi di rischio come previsto a livello europeo». 
Quello che chiede l’associazione ambientalista è «Un cambio d’approccio che metta al centro l’ambiente urbano come “laboratorio” in cui migliorare concretamente la gestione idrica nel nostro Paese e fronteggiare l’allarme siccità attraverso il "decalogo urbano”: una serie di azioni e strumenti utili ed efficaci da poter replicare in ogni città, e che potrebbero essere realizzati velocemente e con costi, in alcuni casi, del tutto sostenibili». 
Ecco le 10 azioni che secondo Legambiente sono necessarie per migliorare la gestione della risorsa idrica in città. 1) approvare in tutti i Comuni Regolamenti edilizi con obblighi di recupero, riutilizzo e risparmio dell’acqua. 2) Criteri Ambientali Minimi per migliorare la gestione idrica attraverso gli appalti pubblici. 3) Infrastrutture e tetti verdi, vantaggiosi per la cattura e il trattamento dell’acqua piovana, l’ombreggiamento, la mitigazione dell’effetto isola di calore. 4) Riuso, recupero e riciclo per riutilizzare e usare le diverse fonti d’acqua con un trattamento che corrisponda all’uso, garantendo una qualità adatta allo scopo di utilizzo e la gestione integrata delle risorse idriche. 5) Ammodernamento della rete idrica per evitare le perdite di rete e gli sprechi. 6) Efficientare la depurazione delle acque reflue urbane, per il loro completo riutilizzo in settori strategici, come l’agricoltura, sia sostenendo gli ambiziosi obiettivi previsti dalla revisione della Direttiva sul trattamento delle acque di scarico urbane che superando gli ostacoli normativi nazionali (DM 185/2003) rispetto al riutilizzo delle acque reflue così come previsto dal regolamento UE 741/2020. 7) Innovazione tecnologica da utilizzare per numerosi scopi, dal monitoraggio delle risorse al tracciamento delle perdite di rete. 8) Rifornire i corpi idrici e i loro ecosistemi, scaricando solo quello che può essere assorbito dall’ambiente naturale, riducendo gli apporti idrici e garantendone la qualità. 9) Modularità dei sistemi, garantendo opzioni multiple di risorse, trattamento, stoccaggio, convogliamento, migliorando i livelli di servizio e la resilienza dei sistemi idrici urbani. 10) Essere preparati agli eventi estremi, coinvolgendo i cittadini nella gestione sostenibile delle risorse idriche urbane e nella sensibilizzazione alla comprensione dei rischi e opportunità. 
Il dossier presenta best practices nazionali e internazionali che vanno dal trattenere l’acqua piovana in eccesso all’incrementare la permeabilità del tessuto urbano, dall'applicare norme edilizie per risparmiare e recuperare l’acqua all’utilizzare l’innovazione tecnologica per intervenire sulla mitigazione e sull’adattamento.  In Italia, un buon esempio nel trattenere l’acqua in eccesso in ambito urbano viene da Trento che, nell’ambito degli interventi del progetto Santa Chiara Open Lab con l'Urban Wetland, ha ideato un parco progettato per il trattamento e riuso delle acque di pioggia, per l’irrigazione delle aree verdi del parco e per aumentare la biodiversità in ambiente urbano. O dall’esperienza di Forlì nell’incrementare la permeabilità del tessuto urbano realizzando il Giardino dei Musei: un nuovo grande spazio verde per riqualificare e valorizzare l’area, disigillandola e ripristinando il piano di campagna degli immobili storici, rievocando i perduti orti. Non solo, Legambiente ricorda anche le esperienze positive nel riutilizzo della acqua reflue in agricoltura, come il depuratore di Fregene (RM) o di Fasano-Forcatella (BR) che prevedono il riutilizzo delle acque reflue per l’irrigazione dei campi agricoli. Senza dimenticare il caso notevole degli impianti di depurazione dell’area milanese.  «Esperienze e soluzioni innovative – sottolinea Legambiente - molte basate sulla natura (Nature Based Solutions) che, se replicate, darebbero benefici enormi in termini gestione ottimale della risorsa idrica e di significativa riduzione dei prelievi».  
In ambito urbano, Legambiente evidenzia il potenziale di recupero delle acque meteoriche: «Nel 2020 i dati pluviometrici relativi a 109 città capoluogo di provincia ammontano a circa 13 miliardi di metri cubi (elaborazione di Legambiente su dati Istat) di acqua piovana caduta sui tetti, sull’asfalto e sul cemento e convogliata nelle fognature o nei corsi d’acqua. Uno spreco enorme se pensiamo che corrispondono al 40% dei prelievi medi annui di acqua in Italia (circa 33 miliardi di m3)». 
Passando dalle città ai campi, il Cigno Verde ricorda il potenziale del riutilizzo delle acque reflue in agricoltura: «Infatti, ottimizzare il ciclo idrico in città permetterebbe anche di aumentare le risorse disponibili per l’agricoltura, uno dei settori che maggiormente risente della crisi idrica. Se opportunamente trattata, dai depuratori esce un potenziale di 9 miliardi di m³ all'anno di acqua ricca di nutrienti, che in Italia viene sfruttato solo per il 5%, secondo i dati di Utilitalia». 
Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. conclude: «Da anni parliamo della necessità di una riforma della gestione della risorsa idrica nel nostro Paese ma oggi più che mai è urgente, visto che, quella che chiamiamo emergenza siccità, è una condizione ormai ordinaria a cui è necessario adattarsi. Il Governo Meloni passi dalle parole ai fatti, con una strategia idrica nazionale che preveda interventi di breve, medio e lungo periodo. Oltre alle proposte dedicate all’ambiente urbano che lanciamo oggi, è fondamentale non dimenticare tutte le altre azioni necessarie per tutelare e preservare i corpi idrici: definire un piano di razionamento dell’acqua per agricoltura, usi civili e industriale per una tempestiva riduzione dei prelievi, diffondere e praticare in agricoltura il riutilizzo delle acque reflue depurate – cogliendo al meglio l’occasione del recepimento del regolamento europeo -  e ridurre i consumi scegliendo attività agricole meno idroesigenti e rivedendo i sistemi di irrigazione». 
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Giani accoglie il rigassificatore a Piombino

Giani accoglie il rigassificatore a Piombino

Ieri notte il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani (PD), era l’unica “autorità” presente al Porto di Piombino ad accogliere il rigassificatore Golar Tundra. Intestandosi così. da Commissario straordinario, il “merito” politico di una scelta fortemente voluta dal governo Draghi (con dentro PD, M5S, renziani, centristi, Lega e Forza Italia) e ancora di più dal governo Meloni a guida Fratelli d’Italia, il Partito del Sindaco di Piombino Ferrari che continua a opporsi al rigassificatore, così come fanno in Regione Lega e Forza Italia che lo hanno fortemente voluto quando c’era Draghi e ora che c’è  la Meloni.
A Giani, criticato per questo da sinistra e all’interno del suo stesso partito, va riconosciuta coerenza nel suo granitico sì al rigassificatore, nonostante sia stato utilizzato come specchietto per le allodole dalla destra per far scordare le politiche energetiche pro-gas a livello europeo e nazionale. Una coerenza che ora Giani rivendica accollandosi quelli che per qualcuno sono meriti e che a Piombino e dintorni sono soprattutto colpe. E lo fa  ribadendo la necessità che, «In parallelo all'insediamento della nave, vada avanti spedito l'iter delle compensazioni».
Per Giani, «L'arrivo della Golar Tundra rappresenta, simbolicamente, un traguardo della Toscana del fare. Una Toscana che vuole essere guida e punto di riferimento sia sul piano energetico che su quello ambientale e che si mette a disposizione per consentire al Paese di affrontare i riflessi della crisi legata alla guerra in Ucraina. Per le compensazioni  essenziali per lo sviluppo di Piombino, penso che prevarrà lo spirito di squadra. E la prima prova sarà l'emendamento presentato da alcuni esponenti Pd, in linea con la strategia della Regione, al decreto legge ora in parlamento sul Piano di ripresa e resilienza, che prevede 40 milioni in più in aggiunta ai 40 milioni già previsti dall'accordo di programma. Il ministro Fitto, con cui ho avuto un colloquio preventivo, si è detto d'accordo. Se il parlamento approverà l'emendamento, ci saranno 80 milioni disponibili, che Invitalia potrà utilizzare per le bonifiche, che sono il primo passo per le compensazioni».
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Ponte sullo stretto: tutti i no di Italia Nostra

Ponte sullo Stretto 1

La «grande opera delle opere italiane» – il ponte sullo Stretto di Messina – torna ancora una volta alla ribalta nazionale. Si tratta di uno dei progetti mai realizzati dalla storia più lunga, addirittura secolare, periodicamente richiamato come priorità dai governi delle più disparate coloriture politiche. Ma cosa intendiamo per “ponte sullo Stretto di Messina”? La speciale infrastruttura comprende una serie di progetti di ingegneria civile per la realizzazione di un ponte sospeso tra la Sicilia e la Calabria, con sede stradale e ferroviaria, a campata unica. Il progetto complessivo prevede: 3.300 metri lunghezza della campata centrale; 3.666 metri lunghezza complessiva con campate laterali; 60,4 metri larghezza dell’impalcato; 399 metri altezza delle torri; 2 coppie di cavi per il sistema di sospensione; 5.320 metri lunghezza complessiva dei cavi; 1,26 metri diametro dei cavi di sospensione; 44.323 fili d’acciaio per ogni cavo di sospensione; 70/65 metri di altezza di canale navigabile centrale per il transito di grandi navi; 533.000 metri cubi di volume dei blocchi d’ancoraggio. Questo quantomeno è ciò che ci risulta, ovvero quanto previsto dalla concessionaria Stretto di Messina S.p.A. per la realizzazione del ponte.
Di certo non esiste al mondo un ponte di tali dimensioni, per di più da collocare in un luogo di straordinaria bellezza e ricchezza naturalistica e paesaggistica, ma con notevolissime e ben note criticità ambientali e sismiche (il terremoto del 1908 rase al suolo Messina e Reggio Calabria). Il ponte più lungo al mondo, con analoghe caratteristiche strutturali e funzionali, è il ponte di Akashi Kaikyō in Giappone, in esercizio dal 5 aprile 1998, con 1.991 metri di campata centrale. Dunque, non ci vuole molto a comprendere che passare da 1.991 metri a 3.300 metri appare utopistico. È importante altresì evidenziare che il progetto iniziale del ponte di Akashi Kaikyō prevedeva anche il traffico ferroviario che, in una fase successiva, fu soppresso per criticità strutturali non risolte.
Italia, marzo 2023. L’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti esulta per l’approvazione «salvo intese», del Consiglio dei ministri, al decreto sul mitico ponte che collegherebbe Sicilia e Calabria. Il decreto è denominato “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente”. Da quanto emerso al tavolo di lavoro entro la fine di marzo 2023 sarà presentato un apposito decreto ad hoc per il Ponte sullo Stretto che disciplinerà il riavvio delle procedure di progettazione e di realizzazione dell’opera. In seguito, entro fine aprile verrà nominato il Consiglio di amministrazione della nuova società Stretto di Messina. Nel 2024 la posa della prima pietra.
Per noi di Italia Nostra si tratta di un’opera assolutamente velleitaria e dannosa che è già costata un miliardo di euro, tra studi, consulenze, ecc. Questo, quando invece sarebbe necessario e urgente ammodernare le scadenti infrastrutture di Sicilia e Calabria e mettere in sicurezza territori straordinariamente fragili dal punto di vista geologico e ad altissimo rischio sismico. Uno sperpero di danaro pubblico che ora rischia di essere ulteriormente incrementato. Di certo le risorse spese, sprecate si sarebbero potute investire a favore delle linee ferroviarie e per il potenziamento delle infrastrutture per la mobilità sostenibile e del trasporto via nave. Se oggi si prende il treno da Trapani a Ragusa o a Siracusa, si impiegano nove ore. Un viaggio avvilente determinato da frequenti interruzioni causate da frane e smottamenti, ma soprattutto da linee ferroviarie assolutamente inadeguate, quasi tutte a binario unico e molte tratte prive di elettrificazione. Per non parlare dell’autostrada Siracusa-Gela, iniziata oltre sessanta anni fa e la cui realizzazione è ancora ferma nei pressi di Modica, o dell'interruzione della dorsale ferroviaria Catania-Gela che, a causa del crollo del ponte ferroviario Vituso-Carbone nel 2011, alle porte di Caltagirone è ancora oggi da ripristinare.
Insomma, il Meridione non ha bisogno di ulteriori, illusori miti. Ha bisogno di più treni, elettrificazione e collegamenti più veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola. E magari, ha bisogno che vengano attivate le Frecce nei collegamenti tra Palermo, Catania e Roma e potenziato il trasporto via nave nello Stretto e rafforzati i collegamenti in treno da Reggio Calabria a Taranto e Bari. Ha bisogno di programmazione e pianificazione. Ha bisogno di buona politica, di sana gestione dei territori e di cura.
Ma, al di là degli annunci, al di là della propaganda politica di questi giorni, è utile fare un passo indietro. «In ordine al tema dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, per dar seguito all’impegno del Governo, si dovrebbe procedere con la redazione di un progetto di fattibilità tecnica ed economica per le due opzioni evidenziate». Queste le parole, lo scorso 4 agosto 2021, dell’allora Ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini, in audizione presso le Commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera. Insomma: il Governo Monti sembrava deciso a procedere verso un “progetto di fattibilità” del ponte. «E’ utile sviluppare la prima fase del progetto di fattibilità limitando il confronto ai due sistemi di attraversamento con ponte a campata unica e con ponte a più campate, ma la valutazione dell’utilità andrà però definita al termine di un processo decisionale che prevede inizialmente la redazione di un progetto di fattibilità tecnico-economica al fine di confrontare diverse soluzione alternative», affermava Giovannini.
Dunque, secondo le previsioni del ministro Giovannini, la prima fase avrebbe dovuto concludersi entro la primavera del 2022, quindi avviare un dibattito pubblico, pervenire a una scelta condivisa ed evidenziare nella legge di bilancio 2023 le risorse. Il ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili segnalava, infine, la disponibilità di un finanziamento di 50 milioni di euro, individuato con la legge di bilancio 2021. Da queste considerazioni emerge il fatto che, malgrado la pervasiva retorica sul “ponte”, malgrado le notevolissime risorse economico-finanziarie sprecate nel corso degli anni, non esiste un progetto esecutivo credibile e affidabile del ponte sullo Stretto. Noi lo abbiamo sempre saputo.
Italia Nostra ha contrastato e continuerà a contrastare l’idea del “ponte”, augurandosi comunque che da parte dell’attuale Governo ci sia una disponibilità al dialogo, a un ascolto autentico delle auspicabili, sostenibili alternative.
Antonella Caroli
Presidente nazionale Italia Nostra
 Leandro Janni
Presidente Italia Nostra Sicilia
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