Categoria Ambiente

Approvati Piano operativo e piano strutturale di Firenze. La Giunta: «Svolta urbana»

Piano operativo e piano strutturale Firenze
Il Consiglio Comunale di Firenze ha approvato il piano operativo e il piano strutturale 2023 presentati dall’assessora all’Urbanistica Cecilia Del Re e che, secondo la maggioranza (le opposizioni hanno votato contro) «Delinea la ‘Svolta urbana: zero alberghi, lotta alla rendita e servizi a 15 minuti a piedi, per una Firenze giusta e prossima attraverso innovazione pubblica e privata». Il sindaco Dario Nardella ha detto: «Ringrazio il consiglio comunale per l’adozione del Piano operativo, primo atto che ci porterà nei prossimi mesi a portare nello stesso consiglio la definitiva approvazione. Ringrazio altresì l’assessore Del Re e tutta la giunta nonché gli uffici tecnici per il lavoro che ha portato a questo risultato. Il Piano operativo rientra tra i principali atti amministrativi che danno forma all’azione di governo dell’ente permettendoci così di offrire ai cittadini e alle istituzioni pubbliche e private un quadro di regole certe e di lungo periodo. In questo modo possiamo proseguire la grande azione di rigenerazione urbana e di sviluppo urbano della città nel segno della sostenibilità e dell’attenzione al mondo del lavoro, ai più fragili, alle imprese virtuose e agli investimenti che fanno crescere la comunità». Per la Del Re  quello approvato è «Un piano innovativo che segna una svolta e si pone in discontinuità con i precedenti piani urbanistici, e non poteva che essere così in quanto si tratta del primo piano post pandemia. Le riflessioni che abbiamo fatto insieme al Consiglio comunale, ai quartieri, alla città tutta, in questo drammatico momento che abbiamo vissuto si ritrovano nel piano operativo con delle scelte in controtendenza. No alla turistificazione della città grazie alla scelta più coraggiosa che facciamo, cioè il blocco verso il turistico ricettivo: siamo la prima città in tutta Italia a farlo, e in questo modo cerchiamo anche di attrarre altri investimenti in città, incentivando un mix di funzioni per il recupero di grandi contenitori. E poi sì alla città pubblica: dobbiamo mettere fine alla stagione della dismissione degli immobili che precedenti amministrazioni hanno attuato anche per necessità di bilancio. Oggi, grazie alle risorse europee, e anche grazie a un cambiamento rispetto agli oneri di urbanizzazione e monetizzazione inserito in questo piano operativo dove, in tema di housing sociale, abbiamo modificato una norma di 18 anni fa che non era poi mai stata toccata, aprendo all'acquisto di nuovi immobili per dare risposte soprattutto sul tema della casa e sul tema degli alloggi per studenti, altra grande emergenza a cui dobbiamo far fronte ovviamente insieme agli altri enti competenti, ovvero Regione Toscana, Azienda regionale per il diritto allo studio e Università di Firenze. Il pubblico deve fare il pubblico e quindi verso questi obiettivi devono essere indirizzate le nostre energie per costruire una città sempre più prossima a misura di cittadino. E ciò anche con il tema della mappatura dei rioni e quindi dei servizi a 15 minuti, che entra sempre in una logica di città post pandemia dentro i nuovi strumenti urbanistici così come entra per la prima volta la mappatura delle isole di calore: i cambiamenti climatici stanno e devono stare al centro della pianificazione urbanistica con scelte anche coraggiose come quella sul fotovoltaico che abbiamo compiuto anche discostandosi dal parere della Soprintendenza e con temi delicati ma centrali per una città inclusiva, quali quelli dell'urbanistica di genere per una città progettata secondo i bisogni di tutte e tutti. Infine il tema dell'accessibilità, con l'accordo di ricerca  e le linee generali del Dida che entrano dentro al piano operativo e portano a un nuovo metodo dell'Amministrazione per lavorare su questo fronte». Ampio lo spazio dedicato ai temi ambientali, della mitigazione climatica e della transizione energetica possibile e giusta con l’avvio del primo Piano del verde e degli spazi pubblici aperti della Città di Firenze (coordinato a Ps e Poc); l’aumento degli spazi di verde pubblico su scale diverse: oltre al nuovo Parco Florentia e all’ex Camping Michelangelo, 33 nuove schede di verde pubblico, insieme a nuovi orti urbani, pocket garden e verde di quartiere; l’incentivo alla depavimentazione, alla copertura arborea dei parcheggi (un posto auto ogni 50 mq anziché ogni 25 mq) e alle aree di sosta naturalistiche; valorizzazione delle greenways cittadine; tutela della biodiversità e del mondo animale, a partire dal sostegno all’apicoltura (piante nettarifere, etc), alla tutela di rondini e rondoni, e a nuove aree cani. Viene inoltre pianificato un Ecocentro per quartiere, parte del piano di raccolta dei rifiuti ‘Firenze città circolare’, oltre all’attivazione del nuovo impianto per smaltimento Raee (rifiuti elettronici ed elettrici) a San Donnino. Si favorisce poi il ricorso alle energie rinnovabili grazie all’installazione di impianti fotovoltaici e pannelli solari (requisito fondamentale per la costituzione di comunità energetiche), con la variante urbanistica di prossima approvazione. In tema di mobilità sostenibile, dolce e intermodale per Firenze e per la Grande Firenze, il piano inserisce le nuove linee tramviarie, i parcheggi scambiatori (preferibilmente sotterranei) e i parcheggi diffusi in centro storico e nei Quartieri, ma anche Scudo verde, Bicipolitana, zone 30, bike boxes e spazi per ricovero mezzi di mobilità sostenibile, pedibus, mobilità elettrica e micrologistica, Smart City Control Room e infine un Piano strutturale unico (il prossimo) per la Grande Firenze. Secondo  l’Ordine degli ingegneri di Firenze, «L’adozione del nuovo Piano operativo comunale è apprezzabile, perché bisogna costruire la Firenze del futuro. Ciò che ci preme sottolineare oggi è la necessità di norme che consentano di lavorare sugli edifici esistenti per metterli in sicurezza e l’importanza di meno limiti agli impianti fotovoltaici». Ma Giancarlo Fianchisti e Stefano Corsi, rispettivamente presidente e coordinatore della Commissione ambiente ed energia dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze, fanno notare che «Il vincolo paesaggistico riguarda due terzi del territorio comunale, anche zone periferiche. E' necessario un quadro meno limitante o la maggior parte della città rimarrà sguarnita di impianti fotovoltaici. Per questo sarebbe auspicabile che fosse il Comune, tramite approfondimenti, a definire e comunicare condizioni differenziate per le zone che sono sottoposte al vincolo. Non dovrebbe essere il privato cittadino a studiare soluzioni compatibili con il paesaggio. Il rischio è di incaricare costosi studi senza avere certezza di realizzazioni. Riteniamo sia importante un tavolo con la Soprintendenza per comprendere i reali bisogni di tutela, che andrebbero coniugati con regole chiare, ma allo stesso tempo non uguali in tutte le aree a vincolo paesaggistico. Il dibattito del fotovoltaico, riteniamo, non può riguardare solo l'area di Castello ma deve essere esteso a tutto il territorio». Fianchisti e Corsi concludono: «Nelle aree a vincolo paesaggistico non cambia praticamente niente con la variante del regolamento urbanistico. Il cittadino dovrebbe sapere con più facilità se ha la possibilità di fare questo investimento energetico, che dovrebbe essere incentivato. Il vincolo del cromatismo (che prevede l'uso di pannelli rossi invece che blu), aumenta la spesa e riduce l'efficienza del pannello. Mentre l'integrazione strutturale costringe al rifacimento della copertura, con problemi non solo economici, ma anche tecnici e amministrativi, risultando un intervento sproporzionato rispetto al beneficio che si può ottenere, sia per il privato che nella tutela del paesaggio». L'articolo Approvati Piano operativo e piano strutturale di Firenze. La Giunta: «Svolta urbana» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Auto, il freno alla transizione ecologica peggiora la posizione del comparto nazionale

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La scelta del Governo italiano di opporsi alle decisioni della Commissione Ue di rafforzare e accelerare la transizione ecologica anche nel settore dell’automotive con l’obbligo di zero emissioni per le nuove auto immesse sul mercato Ue dal 2035 (approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio scorso, e bloccato in Consiglio Ue proprio dall’Italia in questi giorni), appare retrograda e pericolosa per il sistema Italia. Basta infatti rileggere le affermazioni a giustificazione di tali posizioni dell’Italia di “voler  condividere la transizione ecologica”, ma parallelamente di voler lanciare “un segnale d’allarme, una sveglia” a tutta l’Europa rispetto a quella che viene vista come una fuga in avanti verso una visione giudicata “ideologica, messianica, escatologica”, che “appartiene al passato”. Oltre al fatto di negare l’urgenza della decarbonizzazione in atto, non possono essere condivisibili i rischi paventati di una  “sostenibilità del nostro sistema sociale, che è conseguenza della sostenibilità del nostro sistema produttivo” e questo per una serie di motivi. Infatti è evidente quanto negative potranno essere le ricadute di tale presa di posizione sul sistema industriale italiano riguardante una rivoluzione unanimemente riconosciuta da tutto il settore auto: entro il 2030 i veicoli elettrificati arriveranno a rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% negli Stati Uniti; entro il 2026 il costo totale delle auto elettriche uguaglierà quello dei veicoli a combustione interna. L’industria mondiale dell’auto ha decisamente imboccato la strada della transizione con tempi addirittura inferiore a quelli previsti dall’Ue, un eventuale rallentamento della nostra industria avrebbe solo lo scopo di marginarla ulteriormente e di aprire la strada a competitor extraeuropei (Usa, Cina). Gli asset industriali in gioco sono invece in continua evoluzione tecnologica e potrebbero proiettare il nostro sistema produttivo all’avanguardia sui nuovi modelli di mobilità e sulla nuova componentistica (batterie, sensori, elettronica, motori elettrici), sempre salvaguardando il possibile sviluppo dei biocarburanti sostenibili unica soluzione oggi per i trasporti che non possono essere elettrificati (e per altre soluzioni vitali per il sistema energetico e produttivo, come la cogenerazione). Inoltre la sostenibilità del sistema sociale non può avere un impatto negativo se implica la necessità di dare particolare sostegno al ruolo della formazione re-skill e up-skill  delle imprese italiane senza guardare la passato. È una occasione troppo importante per il posizionamento dei futuri ambiti di specializzazione e del sistema occupazionale con investimenti che devono essere legati alle tecnologie di filiera innovativa. L’impatto economico e sociale della rivoluzione in corso nel settore auto rappresenta una grande occasione, a patto sia accettata convintamente e governata in una ottica di strategia industriale, perché solo attraverso il ricompattamento del sistema produttivo del settore, oggi frammentato, e l’adozione di adeguate misure di sostegno al processo di innovazione tecnologica, l’Italia può riconquistare una leadership che oggi ha totalmente perso. Sondaggi e indagini mostrano chiaramente come chi sia passato a un’auto elettrica ben difficilmente pensa di tornare indietro in virtù delle prestazioni e del confort superiori rispetto alle auto tradizionali. Man mano che l’evoluzione delle batterie renderà l’autonomia confrontabile (parliamo di qualche anno) sarà la domanda a fare questa scelta a prescindere dagli obiettivi comunitari. di Livio de Santoli, presidente del Coordinamento Free L'articolo Auto, il freno alla transizione ecologica peggiora la posizione del comparto nazionale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema per sanare l’ingiustizia sociale e climatica

Una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema
Il “Climate Inequality Report 2023” pubblicato recentemente da Lucas Chancel e Philipp Bothe del World Inequality Lab dell’Ecole d’économie de Paris e Università della California Berkley  e da Tancrède Voituriez del CIRAD, evidenzia che «La crisi climatica ha iniziato a sconvolgere le società umane colpendo gravemente le fondamenta stesse del sostentamento umano e dell'organizzazione sociale. Gli impatti climatici non sono equamente distribuiti in tutto il mondo: in media, i Paesi a basso e medio reddito subiscono impatti maggiori rispetto alle loro controparti più ricche. Allo stesso tempo, la crisi climatica è segnata anche da significative disuguaglianze all'interno dei Paesi. Recenti ricerche rivelano un'alta concentrazione di emissioni globali di gas serra tra una frazione relativamente piccola della popolazione, che vive nei Paesi emergenti e ricchi. Inoltre, la vulnerabilità a numerosi impatti climatici è fortemente legata al reddito e alla ricchezza, non solo tra Paesi ma anche al loro interno». A un mese e mezzo dall’uscita di quel rapporto, in un forum su Le Monde, un centinaio di eurodeputati, economisti (compreso Joseph Stiglitz), ONG e uomini di affari chiedono all'Ocse e all'Onu di promuovere l’istituzione di una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema. L’eurodeputata socialista Aurore Lalucq, spiega: «Siamo più di 120 eurodeputati, economisti fiscali, milionari, ONG... e chiediamo una tassazione equa degli ultra-ricchi. Impossibile? Ce lo avevano detto anche per la tassazione delle multinazionali!» Parlando dewgli enormi guadagni fatti dai super-ricchi con lsa crisi Covid-19 e con la crisi energetica e alimantare della guerra in Ucraina, la Lalucq ha evidenziato che «Siamo in un classico caso di "mutualizzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti". Ricordatevi che la Commissione Europea è favorevole a questa tassa e anche il Regno Unito, noto per il suo comunismo, l'ha introdotta. Questa tassa sul sovraprofitti, non è di destra o di sinistra, è sostenuta dalla Commissione Europea... lei stessa il frutto di un compromesso sinistra-destra. Non attuarla è irragionevole» Gabriel Zucman, un economista francese che è attualmente professore associato di politiche pubbliche ed economia alla Goldman School of Public Policy dell’università della California Berkeley, sottolinea: «Immaginatevi che ci sia una politica governativa che salvaguarda la tua ricchezza se sei ricco, nel caso in cui accadano cose brutte (ad esempio, il tuo banchiere si rivela essere un truffatore) Possiamo discutere i meriti di questa politica, ma almeno lì dovrebbe esserci una "tassa" basata sulla ricchezza, giusto?» Il Forum ricorda che «Mentre dal 2020 l'1% più ricco si è impossessato di quasi i due terzi della ricchezza prodotta, la povertà estrema è aumentata e i salari di quasi due miliardi di persone non riescono ancora a tenere il passo con l'inflazione. Concretamente, perché i numeri parlano più delle parole, nel 2018 Elon Musk, allora secondo uomo più ricco del mondo, non ha pagato un centesimo di tasse federali. Jeff Bezos non ha pagato le tasse nemmeno nel 2007 o nel 2011. In Francia,  Paese noto per il suo alto livello di tassazione, le 370 famiglie più ricche sono in realtà tassate solo dal 2% al 3% circa». Come ci siamo arrivati a questa situazione nella quale – come ind segna l’Italia - i ricchissimi che non pagano tasse si lamentano per l’alta tassazione che in realtà è sulle spalle di altri? «Semplicemente perché i più ricchi possono utilizzare elaborati accordi fiscali per ridurre la loro aliquota fiscale al minimo indispensabile – rispondono eurodeputati ed esperti -  cosa che le famiglie comuni non possono fare, ma anche perché i Paesi hanno gradualmente abbandonato la tassazione sulla ricchezza e sul capitale. Una situazione che ricorda quella che prevale tra multinazionali e Piccole e medie imprese».  Le Monde fa notare che «In media, l'aliquota fiscale per le PMI in Europa supera il 20%, quando, ade esempio, ristagna intorno al 9% per le multinazionali digitali». Di fronte a questa ingiustizia ea questa violazione dell'uguaglianza, è stato redatto un accordo globale sulla tassazione minima delle multinazionali sotto l'egida dell'OCSE. Sarà efficace su scala europea grazie a una direttiva adottata definitivamente alla fine del 2022. L’idea è quella di un'imposta dell'1,5% su patrimoni di almeno 50 milioni di euro, ma l livello esatto «Dovrebbe essere deciso collettivamente e democraticamente». I partecipanti al Forum concludono: «Quel che siamo riusciti a ottenere per le multinazionali, ora dobbiamo farlo per i più ricchi. La nostra proposta è semplice: introdurre un'imposta progressiva sulla ricchezza degli ultra-ricchi su scala internazionale per ridurre le disuguaglianze e contribuire a finanziare gli investimenti necessari per la transizione ecologica e sociale» L'articolo Una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema per sanare l’ingiustizia sociale e climatica sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il Comune di Livorno dice addio alla rete dei Rifiuti zero

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A pochi giorni dall’arrivo in città dei vertici Zero waste, Livorno ha scelto di abbandonare la rete dei Comuni Rifiuti zero cui aveva aderito alcuni anni fa. La decisione è stata annunciata ieri da Giunta comunale e sindaco, dichiarando che la scelta «non è assolutamente collegata alle sorti dell’inceneritore, per il quale confermiamo il percorso di superamento e il patto sottoscritto nel 2019 con allegato documento da noi redatto che indicava le condizioni necessarie e imprescindibili da realizzare per arrivare allo spegnimento, condizioni che stiamo lavorando per attuare». La scelta viene invece rivendicata a valle delle «recenti prese di posizione degli esponenti di vertice di Rifiuti zero, il presidente Ercolini in primis. Nelle ultime settimane, infatti, Rifiuti zero ha tentato in ogni modo di mettere in contrapposizione i diritti dei lavoratori con la tutela dell'ambiente, attaccando in maniera del tutto strumentale le politiche assuntive di Aamps e di Retiambiente, che rispondono pienamente agli indirizzi politici di questa amministrazione. Noi invece rivendichiamo con orgoglio il percorso avviato per la stabilizzazione e l'internalizzazione di oltre 200 lavoratori». In realtà, nell’ottica Rifiuti zero i due temi sono collegati: perché internalizzare “nuovi” lavoratori, si chiedono i comitati, aggravando i costi di una municipalizzata che già oggi faticherebbe a chiudere i bilanci a causa dei costi legati alla gestione del termovalorizzatore cittadino? Una lettura paradossale del contesto, che rinuncia in un sol colpo a tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile: ambientale, perché l’impianto in questione è l’unico attivo in tutto l’Ato costa (discariche escluse) dove conferire i rifiuti non riciclabili; economica, in quanto è uno dei pochi asset di Aamps in grado di creare valore; sociale, perché l’internalizzazione porta qualità dal punto di vista occupazionale e mano d’opera necessaria a igiene urbana e raccolta differenziata. «In questi anni – rivendicano dal Comune di Livorno – abbiamo consolidato il sistema porta a porta, abbiamo aperto il Centro del riuso, avviato la diffusione del compostaggio domestico, introdotto la tariffazione puntuale, e abbiamo individuato la strategia per superare l'impianto di incenerimento, attraverso un piano industriale innovativo e circolare che poggia anche su un finanziamento Pnrr di più di 10 milioni. Su questo fronte siamo confortati anche dalla recente illustrazione del piano regionale sui rifiuti fatta dall’assessora Monni e dagli uffici regionali ad Anci Toscana. In quel piano, tra le altre cose l’inceneritore del Picchianti è definito impianto in fase di chiusura». Un destino che pare segnato, anche se con tempistiche al momento ignote. Nell’ambito del Piano regionale, in fase di definizione ormai dal 2018, Monni si è detta disponibile a valutarle con l’Amministrazione comunale; resta in ipotesi la dismissione a fine anno, ma il problema è proprio quello delle alternative impiantistiche. I 10 mln di euro del Pnrr sono destinati a realizzare un digestore anaerobico, utilissimo per valorizzare i rifiuti organici (come Forsu e fanghi) ma che non può gestire i rifiuti secchi non riciclabili conferiti oggi al termovalorizzatore. Per questa frazione, nell’Ato costa è in ipotesi la realizzazione a Peccioli di un ossicombustore – un impianto da 90 mln di euro per gestire fino a 179mila t/a –, che si auspica pronto nel 2026 ma di cui ad ora non sono noti i dettagli progettuali. Nel frattempo sono accantonate sia l’alternativa della piattaforma bio-energetica, sia l’ipotesi di realizzare un impianto di riciclo chimico all’interno della raffineria Eni di Stagno; una tecnologia, quella del riciclo chimico, alternativa alla termovalorizzazione e dai più elevati profili di sostenibilità – al progetto in essere a Roma sono stati destinati fondi Ue per 194 mln di euro –, ma nonostante questo avversata pretestuosamente dai Rifiuti zero ovunque siano state avanzate proposte progettuali in Toscana (in primis Empoli, ma anche Rosignano e Pontedera). «Siamo stati alleati di Rifiuti zero su molte battaglie ambientali, che noi continueremo con entusiasmo e convinzione – concludono dal Comune di Livorno – In Italia nessuna delle grandi città, salvo Parma e Napoli (entrambe dotate di un termovalorizzatore ciascuna, ndr), fanno parte di Zero waste e a noi faceva particolarmente piacere essere nella rete virtuosa di chi ha dettato da molti anni una linea convincente sull’ambiente e sulla gestione dei rifiuti. Non è possibile però continuare a condividere un percorso con chi oltre a promuovere linea di pensiero ambientalmente virtuosa intende dettare scelte politiche, amministrative e tecniche che con responsabilità e buon senso altri sono chiamati a prendere». L'articolo Il Comune di Livorno dice addio alla rete dei Rifiuti zero sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il 61% dei suoli dell’Unione europea è in uno stato malsano

suoli dellUnione europea
Le principali caratteristiche del nuovo  soil health dashboard  sono un dataset sul suolo armonizzato a livello di Unione europea e una nuova metodologia, Si tratta di  un nuovo strumento dell' EU Soil Observatory (EUSO) sviluppato e gestito dal Joint Research Centre (JRC) che supporta l'imminente proposta della Commissione europea per una legge sulla salute del suolo e gli indicatori proposti dalla Soil Mission del programma di ricerca e innovazione dell'Ue Horizon Europe. Al JRC spiegano che «Questa proposta fa parte della strategia dell'Ue per il suolo per il 2030. Il suo scopo è quello di specificare le condizioni per un suolo sano, determinare le opzioni per il monitoraggio del suolo e stabilire regole favorevoli all'utilizzo e al ripristino sostenibili del suolo». Per la prima volta è così possibile visualizzare lo stato di salute del suolo in tutta l'Ue e il risultato è abbastanza scioccante: uno sbalorditivo 61% dei suoli dell'Ue si trova in uno stato malsano e al JRC avvertono che « Questa cifra è una sottostima dell'effettiva portata del degrado del suolo, data la riconosciuta mancanza di dati su molti altri problemi di degrado del suolo, come la contaminazione del suolo». Il valore attuale è in linea con la valutazione principale effettuata per l'istituzione di una Soil Mission, secondo la quale «Il 60-70% dei suoli d'Europa era in uno stato malsano. I tipi più diffusi di degrado del suolo sembrano essere la perdita di carbonio organico del suolo (48%), la perdita di biodiversità del suolo (37,5%) e l'erosione del suolo da parte dell'acqua (32%)». Inoltre, il  soil health dashboard  mostra che la maggior parte dei suoli malsani è soggetta a più di un tipo di degrado del suolo. Il dashboard EUSO sulla salute del suolo si basa su una serie di 15 indicatori dei processi di degrado del suolo che coprono:  erosione del suolo, inquinamento del suolo, nutrienti, perdita di carbonio organico del suolo, perdita di biodiversità del suolo, compattazione del suolo, salinizzazione del suolo, perdita di suoli organici e impermeabilizzazione del suolo. Ma il team EUSO presso il JRC fa notare che «In pratica, tuttavia, gli indicatori coprono solo un sottoinsieme dei processi di degrado che interessano i suoli. Speriamo che il dashboard metta in luce le attuali lacune nei dati sul suolo, al fine di guidare una migliore condivisione dei dati e una ricerca mirata». Una novità del dashboard EUSO e l’utilizzo dell’approccio della convergenza delle prove, che combina spazialmente i dataset per evidenziare l'intensità e la posizione dei processi di degrado del suolo. «La mappa che ne è risultata – dicono al JRC - mostra, per la prima volta, dove convergono le prove scientifiche per indicare le aree che potrebbero essere interessate dal degrado del suolo. In altre parole, fornisce un'indicazione di dove possono trovarsi suoli malsani nell'Ue. Questo  è stato reso possibile utilizzando dataset armonizzati a livello Ue, la maggior parte dei quali sono stati sviluppati dal JRC e provenienti dall'ESDAC, l’European Soil Data Centre da lungo tempo operativo, ma anche dall'European Environment Agency e da altre istituzioni. Con il  tempo, altri dati verranno aggiunti da fonti diverse». Un'altra novità è la fissazione di valori soglia per determinare quando i suoli possono essere considerati sani o insalubri. Al JRC spiegano ancora che «Sulla base di una combinazione di stime scientifiche e limiti critici stabiliti, sono state fissate soglie per ogni processo di degrado del suolo. Rappresentano una stima del punto oltre il quale la maggior parte dei suoli può ragionevolmente essere considerata vulnerabile a un determinato processo. Data l'ampia gamma di tipi di suolo, alcune di queste soglie a livello Ue possono comportare grandi incertezze. In futuro, l'accuratezza della mappa del dashboard EUSO verrà migliorata applicando soglie basate a livello locale o offrendo agli utenti la possibilità di creare mappe basate sulle soglie che ritengono più appropriate. Il dashboard EUSO sulla salute del suolo presenta anche l'area di sovrapposizione osservata tra le coppie dei 15 processi di degrado del suolo, evidenziando le associazioni tipiche. Infine, statistiche e mappe vengono presentate per ciascun indicatore attraverso un display interattivo in cui gli utenti possono selezionare il degrado del suolo e la scala a cui sono interessati». La serie di indicatori, insieme alle soglie che determinano lo stato di salute del suolo, si evolverà in base all'attuazione della prossima legislazione dell'Ue sulla salute del suolo, agli sviluppi scientifici (ad esempio i progetti Soil Mission di Horizon Europe) e al miglioramento dei flussi di dati provenienti dai Paesi Ue. Ulteriori elementi saranno sviluppati per riflettere l'attuazione di strategie politiche e normative specifiche, ad esempio la strategia per il suolo, il piano d'azione per l'inquinamento zero, la strategia per la biodiversità, la strategia farm to forke gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. L'articolo Il 61% dei suoli dell’Unione europea è in uno stato malsano sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Post terremoto in Siria e Turchia, Unhcr: livelli di privazione e disperazione mai visti

Terremoto Siria Turchia
Il terremoto che ha devastato il sud della Turchia e il nord della Siria è già scomparso dai telegiornali, ma nei due Paesi, il terremoto ha causato la morte di 54.000 persone e provocato distruzioni enormi in un’area abitata da oltre 23 milioni di persone, molte delle quali, durante 12 anni di guerra civile/internazionale, erano già state costrette a fuggire, sia all’interno della Siria sia oltre confine entrando in Turchia come rifugiati. Sono gli stessi che cercano di attraversare l’Egeo e lo Ionio in tempesta e che vanno a schiantarsi e a morire in spiagge come quella di Cutro. A cercare di riportare il dramma turco-siriano sotto i riflettori dell’attenzione mediatica ci ha provato l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati, Filippo Grandi, che ha appena concluso una visita di 5 giorni nelle aree devastate dal terremoto, incontrando sopravvissuti, persone che hanno subito danni e operatori umanitari impegnati sul campo per garantire sostegno immediato alla popolazione colpita. Grandi ha commentato: «Il livello di distruzione e devastazione è scioccante e, in molte aree, lo scenario è apocalittico. A causa di quest’evento tragico e terribile, milioni di persone hanno subito perdite, ferite e traumi, e molte altre sono state costrette a fuggire». Il capo dell’UNHCR ha sottolineato che «Le esigenze rilevate sul campo in entrambi i Paesi sono di elevata criticità ed è pertanto necessario assicurare maggiori risorse alle attività di risposta. Pur essendo di fondamentale importanza concepire e supportare misure a più lungo termine, è necessario garantire sempre più  aiuti umanitari e risorse utili ad avviare una prima fase di ripresa, affinché le persone possano iniziare a ricostruire la propria vita e a sostentarsi. In Turchia, l’Alto Commissario ha incontrato famiglie turche e siriane che hanno perduto tutto a causa del terremoto e che, ora, insieme ad altre migliaia di persone, sono accolte in un campo di alloggi container. In Siria, Grandi ha incontrato famiglie accolte all’interno di alloggi collettivi e che erano già state costrette a fuggire in più occasioni, prima dal conflitto che ha dilaniato il Paese e ora a causa del terremoto. L’UNHCR sottolinea che «La tragica condizione di queste persone chiarisce le enormi difficoltà causate da dodici anni di conflitto ai danni del popolo siriano e le distruzioni arrecate alle infrastrutture del Paese, quali servizi essenziali come l’approvvigionamento idrico e l’erogazione di corrente elettrica. Oltre il 90 per cento delle persone in Siria oggi vive al di sotto della soglia di povertà». Grandi aggiunge: «Torno in Siria regolarmente da quasi 20 anni e, ovunque io sia stato, non ho mai assistito prima d’ora a questi livelli di privazione e disperazione. È inconcepibile che così tante persone siano state lasciate con così poco per così tanto tempo. E’ necessario assicurare loro tutto il sostegno a cui hanno diritto. Per noi, oggi, costituisce un imperativo umanitario intensificare le attività di assistenza e avviare la prima fase di ripresa in tutto il Paese. E’ di fondamentale importanza arrivare a tutti coloro che necessitano assistenza, ovunque si trovino». L’Onu ha chiesto 1 miliardo di dollari per finanziare le attività di risposta umanitaria agli effetti del terremoto in Turchia e quasi 400 milioni di dollari per la Siria. Nell’ambito dei piani di risposta, la parte dell’UNHCR è pari a 201 milioni. L’appello dell’Onu è attualmente finanziato solamente al 12% per la Turchia e al 59% per la Siria. Passata l’emozione, spentisi i riflettori delle televisioni, ci stiamo scordando di milioni di persone che rischiano di andare a ingrossare le folle dei profughi che cerrcano s di scappare in Europa o quelle di chi, di fronte alla disperazione, va a rimpinguare le fila delle milizie jihadiste. Intanto, la Commissione internazionale indipendente d'inchiesta dell’Onu sulla Siria ha denunciato la lentezza degli aiuti umanitari dopo il terremoto e ha chiesto l'apertura di un'inchiesta. Secondo i tre inquirenti Onu, «La risposta ai recenti massicci terremoti è stata caratterizzata da ulteriori fallimenti che hanno ostacolato la consegna di aiuti urgenti e salvavita alla Siria nordoccidentale. Questi fallimenti hanno coinvolto il governo e le altre parti in conflitto, così come la comunità internazionale e le Nazioni Unite». La Commissione rimprovera ai vari attori di «Non essere riusciti a garantire un cessate il fuoco che avrebbe facilitato l'erogazione degli aiuti durante la prima settimana successiva al disastro. I siriani si sono sentiti abbandonati e trascurati da coloro che avrebbero dovuto proteggerli, nei loro momenti più disperati». Il presidente della Commissione, Paulo Pinheiro, ha ricordato che «Molte voci si sono giustamente alzate per chiedere che si svolga un'indagine e che i responsabili siano ritenuti responsabili. I siriani hanno ora bisogno di un cessate il fuoco completo e pienamente rispettato, in modo che i civili, inclusi gli operatori umanitari, siano al sicuro», Intere comunità sono state distrutte e l’Onu stima che nella parte siriana dell'area colpita dal terremoto «Circa 5 milioni di persone abbiano bisogno di un riparo di base e di assistenza non alimentare. Anche prima dei terremoti del 6 febbraio, più di 15 milioni di siriani - più che mai dall'inizio del conflitto - avevano bisogno di aiuti umanitari». Pinheiro denuncia che «Incomprensibilmente, a causa della crudeltà e del cinismo delle parti in conflitto, stiamo ora indagando su nuovi attacchi, anche in aree devastate dai terremoti. Questi includono l'attacco israeliano segnalato la scorsa settimana all'aeroporto internazionale di Aleppo, un punto di passaggio per gli aiuti umanitari». Inoltre, gli investigatori Onu hanno denunciato che «Subito dopo il terremoto, il governo siriano ha impiegato un'intera settimana per consentire l'accesso transfrontaliero di aiuti vitali. Sia il governo che la Syrian National Army (SNA, milizie antigiovernative jihadiste filoturche, ndr) hanno bloccato gli aiuti transfrontalieri alle comunità colpite, mentre Hayat Tahrir al Sham (HTS - al-Qaeda in Siria, ndr) nella Siria nordoccidentale ha rifiutato gli aiuti transfrontalieri provenientida Damasco». Una dei commissari, Hanny Megally, ha detto che «Attualmente stiamo indagando su diverse accuse secondo cui le parti in conflitto avrebbero deliberatamente ostacolato l'assistenza umanitaria alle comunità colpite». Il rapporto della Commissione, preparato prima dei devastanti terremoti, fornisce una sintesi delle violazioni e degli abusi commessi contro i civili in Siria e sottolinea che «In generale, le parti in conflitto in Siria hanno commesso diffuse violazioni e abusi dei diritti umani nei mesi che hanno preceduto i terremoti più devastanti della regione in più di un secolo, continuando un modello decennale di fallimenti nella protezione dei civili siriani». Nelle aree controllate dal governo sirialo, la Commissione ha riscontrato «Una crescente insicurezza a Dara'a, Suwayda' e Hama, oltre a continui arresti arbitrari, torture, maltrattamenti e sparizioni forzate.  Nel nord-ovest del Paese, i civili che vivono nelle zone colpite dal terremoto sono stati particolarmente esposti ad attacchi mortali nei mesi scorsi. A novembre, in un unico attacco indiscriminato, le forze governative hanno usato munizioni a grappolo per colpire campi di sfollati densamente popolati nel governatorato di Idlib, uccidendo 7 civili e ferendone almeno altri 60.  Ad agosto, un altro attacco indiscriminato ha ucciso 16 civili e ne ha feriti 29 all'interno e nei dintorni di un affollato mercato di Al-Bab, a nord-est di Aleppo. Queste atrocità fanno parte di un modello consolidato di attacchi indiscriminati, che possono costituire crimini di Guerra». Per I 3 commissari, nel nord-est della Siria, le Sirian Democratic Forces (SDF) a guida curda «Continuano a detenere illegalmente 56.000 persone, per lo più donne e bambini, sospettate di avere legami familiari con i combattenti di Daesh (Stato Islamico, ndr), nei campi di Al-Hawl e Roj, dove le condizioni continuano a peggiorare. La Commissione ha ragionevoli motivi per ritenere che le sofferenze inflitte a queste persone possano essere assimilate al crimine di guerra di lesione della dignità della persona, e chiede che vengano accelerati i rimpatri». La Commissione presenterà la sua relazione al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite il 21 marzo a Ginevra. L'articolo Post terremoto in Siria e Turchia, Unhcr: livelli di privazione e disperazione mai visti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Riforma del Codice degli appalti, così non va. Le proposte di modifica al decreto legislativo del governo

Riforma del Codice degli appalti
«Legalità, trasparenza, concorrenza, tutela effettiva della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori, obbligatorietà delle clausole sociali, partecipazione dei cittadini attraverso un vero dibattito pubblico»: Sono le richieste rivolte al Parlamento e al governo da un ampio fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative perché «Il decreto legislativo di riforma del Codice degli appalti diventi, in un quadro di semplificazione delle norme e delle procedure, un vero argine ai rischi di infiltrazione mafiosa e di diffusione di fenomeni corruttivi». All’appello lanciato da Libera, Cgil, Avviso pubblico e Legambiente hanno aderito il Forum Disuguaglianze Diversità, Tempi Moderni, Spazio Solidale, Centro Studi ed Iniziative Culturali Pio La Torre, della Pro Civitate Christiana, Libera informazione, Link Coordinamento Universitario, Associazione di Quartiere Collina della Pace, Cooperare con Libera Terra, SNOP - Società Nazionale Operatori della Prevenzione ETS, ACSI - Associazione di Cultura Sport e Tempo Libero, Lega anti vivisezione LAV, Altro Modo Flegreo-Laboratorio di Cittadinanza attiva Pozzuoli(NA), Fondazione Openpolis, Federazione Nazionale Pro Natura APS, Coop. Generazioni Future, Scuola Capitale sociale, Unione degli Universitari. Nella nota congiunta inviata a Parlamento e governo si legge: «A seguito dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri della proposta di nuovo Codice degli appalti e dell’esame del testo in Parlamento, le seguenti associazioni e organizzazioni sindacali – si legge nella nota - hanno avviato un confronto interno volto ad analizzare nel merito le proposte di modifica rispetto alla legislazione vigente. L’origine di questa lettura sistemica da parte di realtà che sono ciascuna portatrice di valori, contenuti e sensibilità proprie in materia di prevenzione e contrasto a mafie e corruzione, tutela dei diritti dei lavoratori, ambiente e sviluppo sostenibile, si fonda sull’esperienza maturata durante il Covid, denominata “Giusta Italia. In quei mesi terribili per il nostro Paese è nato un patto per far uscire l’Italia dalla cultura dell’emergenza, fondato sull’etica della responsabilità e finalizzato a far ripartire il Paese nella legalità, mettendo al centro valori come la partecipazione dei cittadini, la trasparenza della pubblica amministrazione, la tutela dei diritti sociali e ambientali. Un patto per andare oltre gli errori del passato e che guarda con preoccupazione a come mafie, corruzione, criminalità economica e ambientale sappiano sfruttare l’allentarsi delle regole, conquistando consenso sociale e riciclando capitali accumulati illegalmente, a detrimento dell'economia legale, di un lavoro sicuro e giustamente retribuito, della qualità dell’ambiente in cui viviamo. Sono preoccupazioni a cui è fondamentale rispondere anche grazie ai  principi che ispirano quello che diventerà il nuovo Codice degli appalti, ovvero la massima tempestività e il miglior rapporto tra qualità e prezzo; l'importanza di garantire legalità, trasparenza, concorrenza e tutela effettiva, non subordinata ai costi, della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori; la necessità di costruire fiducia nella pubblica amministrazione e negli operatori economici per gestire in maniera efficace le risorse pubbliche disponibili, a partire da quelle previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in un quadro generale di semplificazione delle norme e delle procedure». Per  il fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative, «Ogni sforzo deve essere compiuto per migliorare il sistema nel suo complesso. Perciò è necessario garantire le condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori, in particolare dei sub appalti, quelli più "deboli " degli appalti di servizi e le imprese più strutturate che più hanno investito in questi anni in professionalità, mezzi, innovazione e che rischiano ora di subire concorrenze sleali o dinamiche poco "trasparenti". Per queste ragioni è fondamentale inserire nei bandi di gara l'obbligatorietà delle clausole sociali per garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l'applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore». La modernizzazione del sistema dei contratti pubblici è «Un obiettivo da raggiungere attraverso un importante investimento su piattaforme, procedure e strumenti che migliorino la trasparenza, facilitino l’accesso civico e rendano più facile per stazioni appaltanti e imprese i processi di gestione». I promotori e i firmatari dell’appello spiegano che «A partire da queste considerazioni e dalla disponibilità dichiarata dal Governo di utilizzare questa fase di ascolto e confronto per migliorare il testo del decreto legislativo nel rispetto dei principi sopra indicati, abbiamo raccolto alcune criticità puntuali nel testo attualmente all’esame delle commissioni parlamentari competenti in materia, perché possano esprimere il loro parere. Abbiamo ritenuto opportuno evidenziarle, indicando anche ipotesi di emendamento in modo da accompagnare alla critica anche le proposte che, sulla base della nostra esperienza assolutamente trasversale, possono migliorare il nuovo Codice e renderlo maggiormente rispondente agli obiettivi per cui è stato redatto». In linea generale le questioni maggiormente rilevanti individuate sono: 1) Conflitto di interessi. Questa modifica rischia, con l’inversione dell’onere della prova, di considerare i conflitti di interesse come un fatto che riguarda i privati e non l’interesse generale. Bisogna intervenire in una logica di semplificazione, rispettosa della vigente normativa europea e che tuteli le stazioni appaltanti nell'individuare i reali contraenti ed eventuali rapporti con soggetti terzi. 2) Dibattito pubblico. L’attuale versione dell’art. 40 del Codice degli appalti di fatto finisce per azzerare l’effettiva utilità del dibattito pubblico, regolato finora dal Dpcm 76/2018, con la cancellazione della Commissione nazionale, il cui lavoro stava già producendo risultati postivi, il dimezzamento dei tempi previsti, l’esclusione di momenti di confronto con la cittadinanza interessata dalla realizzazione delle opere previste. Uno strumento concepito per sottoporre a un esame partecipato le ragioni e le caratteristiche dei cantieri da avviare, riducendo i contenziosi che spesso li accompagnano, viene svuotato di senso e ridotto a una mera elencazione di eventuali osservazioni e pareri.  3) Necessità di intervento sulle stazioni appaltanti in termini di qualificazioni e soglie. Una delle questioni irrisolte nel nostro Paese da decenni è la moltiplicazione di stazioni appaltanti poco qualificate e non in grado di comprare sul mercato a condizioni vantaggiose per la pubblica amministrazione. Questo è un elemento di debolezza che si paga in termini di velocità delle procedure ed efficienza nella spesa del denaro pubblico. Inoltre, stazioni appaltanti poco qualificate e numerose sono meno controllabili, più fragili e potenzialmente più a rischio di fenomeni corruttivi e di infiltrazione mafiosa. La proposta non agisce in questa direzione e di fatto legittima il modello esistente, favorendo per altro una maggiore possibilità di affidare nuovi contratti pubblici.  4) Riduzione degli ambiti di affidamento diretto. Questa previsione, derivante dalla normativa emergenziale legata al Covid, rischia di porre in capo a dirigenti e responsabili delle stazioni appaltanti la scelta di come verificare la congruità sul mercato, favorendo peraltro relazioni con mondi criminali, mafiosi e con contesti e operatori locali in un’Italia degli 8 mila comuni di cui la maggior parte sotto i 5 mila abitanti. Occorre intervenire per favorire comparazione e ricerche di mercato, rotazioni e strumenti che evitino di ridurre imparzialità e trasparenza nella gestione di risorse pubbliche.  5) Delimitazione dell’appalto integrato a contratti con importo e complessità rilevanti. Non è coerente con i principi del codice il ricorso a uno strumento che di fatto rischia, senza alcuna delimitazione, di consegnare la progettazione e realizzazione di opere a imprese, riducendo il ruolo della stazione appaltante a ente pagatore, con rischi di incremento di costi e possibili infiltrazioni mafiose. 6) Eliminazione subappalto a cascata. La riduzione dei documenti di gara e la semplificazione dell’istruttoria, assolutamente condivisibile, non può generare una condizione tale per cui si perde di fatto il controllo delle attività in subappalto, con riflessi pericolosi per quanto attiene potenziali infiltrazioni mafiose.  7) Reintroduzione del registro in-house. Il registro delle in-house è strumento a tutela degli enti che decidono di sottrarre al mercato l’affidamento di opere, servizi e forniture, evitando possibili contenziosi successivi e potenziali inefficienze. La semplificazione del registro è un obiettivo da raggiungere, salvaguardando il valore di un'attività preventiva e di controllo di adeguatezza ed economicità del soggetto in house a cui si intende procedere con l’affidamento di un contratto pubblico. 8) Programmazione di infrastrutture prioritarie. La semplificazione del procedimento di un numero definito di opere di interesse nazionale, previsto dall’art. 39 dello schema di decreto legislativo è condivisibile a due condizioni:  il ripristino e la rapida attuazione di quanto previsto con il Codice degli appalti del 2016, che aveva definito agli artt. 200-203, una nuova disciplina per la programmazione e il finanziamento delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, basata sull’adozione di due strumenti di pianificazione e programmazione rappresentati dal Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL) e dal Documento Pluriennale di Pianificazione (DPP), entrambi mai adottati ed approvati;  la garanzia di adeguate condizioni di trasparenza e tutela da infiltrazioni mafiose e criminali. Il Per  il fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative conclude: «Per tutte queste opere è fondamentale prevedere, come già accennato, l’effettivo svolgimento di procedure di dibattito pubblico con enti e istituzioni interessate e rappresentanze di associazioni e cittadini, quale strumento di concertazione e velocizzazione del procedimento». L'articolo Riforma del Codice degli appalti, così non va. Le proposte di modifica al decreto legislativo del governo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli

Caccia Ue
Con una lettera congiunta inviata al commissario europeo all’ambiente Virginijus Sinkevičius e alla Direzione generale ambiente della Commissione europea, Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia e Wwf Italia hanno trasmesso una denuncia “orizzontale” per «Violazione, da parte dell’Italia, della direttiva Uccelli in materia di caccia e, inoltre, del Regolamento 2021/57 della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide». Le associazioni evidenziano che «Nonostante i numerosi contenziosi comunitari in materia venatoria che hanno condotto a procedure di infrazione, condanne della Corte di Giustizia, adeguamenti normativi, nuove procedure e indagini Pilot, l’Italia continua a violare, di diritto e di fatto, la direttiva Uccelli specialmente negli ambiti per i quali ha ricevuto dei chiari alert da parte delle istituzioni europee». Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf  ricordano il caso della caccia all’avifauna in periodo di migrazione prenuziale: «Una fase biologica di estrema importanza per la conservazione di specie e popolazioni, nella quale, non a caso, l’attività venatoria è rigorosamente vietata. Ciononostante, da anni i calendari venatori continuano a consentire la caccia agli uccelli in questi periodi, disattendendo le norme, i pareri dell’Ispra e le prescrizioni europee». Altro caso sottolineato è quello della «Caccia esercitata su specie in stato di conservazione sfavorevole in assenza di adeguati piani di gestione o in presenza di piani di gestione inefficacemente applicati, come nel caso dell’allodola, della tortora selvatica e della coturnice, i cui piani sono del tutto inattuati se non nelle parti che consentono il prelievo delle specie». Inoltre, per ambientalisti e animalisti è da drammatica la situazione del bracconaggio, «Con il fallimento pressoché totale del Piano nazionale per fermare i criminali, la cui approvazione aveva portato ad archiviare l’inchiesta aperta dalla Commissione europea, e il susseguirsi di gravi atti di bracconaggio dei quali abbiamo dato notizia alle autorità europee». Le associazioni sottolineano anche «La violazione del nuovo Regolamento (2021/57) della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide, indispensabile per arginare la mortalità degli uccelli selvatici per saturnismo e dunque problemi molto seri a specie ad alta valenza conservazionistica. Evidenti, in tal senso, sono le violazioni commesse dalla circolare “interpretativa e attuativa” del Regolamento europeo emanata dai ministri dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e dell’Agricoltura Lollobrigida, che ha fortemente ridotto la portata del divieto attraverso una definizione limitata ed errata delle zone umide». La lettere di Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wff conclude: «La mole e la qualità delle infrazioni commesse dall’Italia al diritto europeo sono tali da rendere inevitabile l’apertura di una nuova procedura di infrazione complessiva contro un regime di caccia, quale quello italiano, macroscopicamente e strutturalmente illegale e, purtroppo, favorito dall’accondiscendenza di molte amministrazioni, nazionali e regionali. A ciò deve aggiungersi il fatto, più importante di tutti, del danno grave e continuativo che tutto questo comporta per la fauna selvatica e per il patrimonio di biodiversità, un vero e proprio disastro ambientale. Questione ancor più grave se vista alla luce dell’altissima tutela costituzionale degli animali selvatici e degli impegni assunti dalle autorità comunitarie e nazionali in tema di strategia europea per la biodiversità, che obbliga tutti a garantire il miglioramento dello stato di salute degli uccelli in difficoltà e comunque di non deteriorarlo ulteriormente. Impegni che vanno attuati dalle istituzioni, a partire dal ministero dell’Ambiente, mettendo fine a una stagione di incuria, distrazioni, mancate tutele e vere e proprie autorizzazioni alla distruzione della natura».   L'articolo Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo

Orso MJ5 1
Dopo le dichiarazioni del presidente della Provincia autonoma di Trento (PAT), il leghista Maurizio Fugatti, che vuole catturare e abbattere l’orso MJ5 che il 5 marzo ha aggredito un escursionista,  Wwf e Lipu hanno inviato una diffida alla PAT e sottolineano che «Le informazioni attualmente in possesso delle autorità sono oggettivamente scarne, lacunose e prive di fondamentali dettagli necessari a chiarire la dinamica dell’incidente e non possono quindi ritenersi in alcun modo sufficienti a motivare l’intenzione di abbattere l’animale così come espressa dalla PAT. E’ infatti essenziale verificare in via prioritaria, se il comportamento del soggetto sia stato conforme alle norme di prudenza alle quali deve attenersi chiunque si trovi in aree naturali, ancor di più quando si ha la consapevolezza di trovarsi in zone notoriamente frequentate da grandi carnivori. Ciò diventa ancor più necessario se si considera che l’orso bruno, normalmente, teme l’uomo e se ne mantiene a distanza, cercando di evitare incontri più o meno ravvicinati. Gli episodi di attacco all’uomo sono difatti molto rari e nella quasi totalità dei casi sono determinati da una percezione di minaccia determinata da atteggiamenti scorretti assunti dall’uomo e dall’assenza di vie di fuga». Per le due associazioni protezionistiche, «Questi elementi assumono un valore ancor più rilevante se si considera che l’orso in questione, MJ5, figlio di Maya e Joze (due degli esemplari introdotti dalla Slovenia all’inizio del progetto Life Hursus) è un maschio adulto di 18 anni che in passato non si era mai reso protagonista di altri episodi simili, né aveva manifestato comportamenti a rischio. Nonostante tali evidenti carenze istruttorie e senza tenere in debita considerazione elementi potenzialmente decisivi come il fatto che l’escursionista era accompagnato da un cane, la PAT è frettolosamente giunta alla solita semplicistica conclusione, l’abbattimento dell’orso, contrastante con principi di proporzionalità e ragionevolezza e motivata da ragioni esclusivamente politiche che nulla hanno a che fare con la tutela della pubblica incolumità». Per queste ragioni le Wwf e Lipu «Sono pronte ad agire in tutte le sedi, anche giudiziarie per tutelare il fondamentale principio di tutela dell’ambiente e della biodiversità sancito dall’art. 9 della Costituzione». L'articolo Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le foreste zombie del riscaldamento globale (VIDEO)

foreste zombie
Lo studio “Low-elevation conifers in California’s Sierra Nevada are out of equilibrium with climate”, pubblicato recentemente su Pnas Nexus da un team di ricercatori della Stanford Unversity. rivela che «Un quinto delle foreste di conifere della Sierra Nevada della California è “arenato” in habitat che per loro sono diventati troppo caldi» I ricercatori della Stanford hanno creato mappe che mostrano dove il clima più caldo ha portato gli alberi a sopravvivere in condizioni non adatte, rendendoli più inclini a essere sostituiti da altre specie.  Gli scienziati statunitensi dicono che «I risultati potrebbero aiutare a informare gli incendi a lungo termine e la gestione dell'ecosistema in queste "foreste di zombi"». Come spiega efficacemente Rob Jordan dello Stanford Woods institute for the environment, «Come un vecchio improvvisamente consapevole che il mondo è andato avanti senza di lui, la conifera originaria delle quote più basse della catena montuosa della Sierra Nevada in California si trova in un clima irriconoscibile». Lo studio  evidenzia che «Circa un quinto di tutte le foreste di conifere della Sierra Nevada - emblema della natura selvaggia del West - sono in “mancata corrispondenza" con il clima caldo delle loro regioni» e  fa notare come «Queste  "foreste di zombi" stiano temporaneamente ingannando la morte, probabilmente per essere sostituite con specie di alberi meglio adattate al clima dopo uno dei sempre più frequenti incendi catastrofici della California». Il principale autore dello studio, il biologo Avery Hill  dela School of humanities & sciences di Stanford, sottolinea che «I gestori delle foreste e degli incendi devono sapere dove le loro risorse limitate possono avere il maggiore impatto. Questo studio fornisce una solida base per capire dove è probabile che si verifichino le transizioni forestali e come questo influenzerà i futuri processi ecosistemici come i regimi degli incendi». Nel novembre 2021, Hill e Christopher Field hanno pubblicato su Naturommunications lo studio “Forest fires and climate-induced tree range shifts in the western US” che dimostra come gli incendi abbiano accelerato lo spostamento degli areali degli alberi negli Usa occidentali. Le conifere della Sierra Nevada, come il pino ponderosa, il sugar pine e l'abete Douglas, sono tra gli esseri viventi più alti e massicci della Terra e mentre dagli anni ’30 le temperature nel loro areale si erano riscaldate in media di poco più di 1 grado Celsius, gli ultimi anni hanno visto un'ondata gigantesca di nuovi residenti umani attratti verso le quote più basse della Sierra Nevada da paesaggi spettacolari, stili di vita rilassati e relativa convenienza. Gli scienziati dicono che «La combinazione di clima più caldo, più costruzioni e una storia di soppressione degli incendi hanno alimentato incendi sempre più distruttivi, rendendo i nomi di comunità come Paradise e Caldor sinonimo della furia di Madre Natura». Hill e i suoi coautori hanno iniziato analizzando i dati sulla vegetazione risalenti a 90 anni fa, quando la stragrande maggioranza del riscaldamento causato dall'uomo doveva ancora verificarsi. Basandosi su queste informazioni,  hanno realizzato un modello computerizzato che ha dimostrato che «Dagli anni ’30, l'elevazione media delle conifere si è spostata di 34 metri verso l'alto, mentre le temperature più adatte per le conifere hanno superato gli alberi, spostandosi mediamente di 182 metri in salita. In altre parole, la velocità del cambiamento climatico ha superato la capacità di molte conifere di adattarsi o spostare il proprio areale, rendendole altamente vulnerabili alla sostituzione, soprattutto dopo gli incendi boschivi». Lo studio stima che «Circa il 20% di tutte le conifere della Sierra Nevada non corrisponda al clima che le circonda. La maggior parte di quegli alberi non corrispondenti si trova al di sotto di un'altitudine di 2.356 metri. La prognosi: anche se l'inquinamento globale che intrappola il calore arrivasse al limite inferiore delle proiezioni scientifiche, il numero di conifere della Sierra Nevada non più adatte al clima raddoppierà entro i prossimi 77 anni». Field, direttore dello Stanford Woods Institute for the Environment della Stanford Doerr School of Sustainability, aggiunge: «Dato il gran numero di persone che vivono in questi ecosistemi e l'ampia gamma di servizi ecosistemici che conferiscono, dovremmo considerare seriamente le opzioni per proteggere e migliorare le caratteristiche che sono più importanti». Le prime mape rwalizxzate dallo studio – uniche nel loro genere - dipingono un quadro  «Territori in rapida evoluzione che richiederanno una gestione più adattativa degli incendi boschivi che eviti la soppressione e la resistenza al cambiamento per l'opportunità di dirigere le transizioni forestali a beneficio degli ecosistemi e delle comunità vicine. Allo stesso modo, gli sforzi di conservazione e di rimboschimento post-incendio dovranno prendere in considerazione come garantire che le foreste siano in equilibrio con le condizioni future. Una foresta bruciata dovrebbe essere ripiantata con specie nuove nella zona? Gli habitat che si prevede andranno fuori equilibrio con il clima di un'area dovrebbero essere bruciati in modo proattivo per ridurre il rischio di incendi catastrofici e la corrispondente conversione della vegetazione?» Hill conclude: «Le nostre mappe impongono alcune discussioni essenziali e difficili su come gestire le imminenti transizioni ecologiche. Queste conversazioni possono portare a risultati migliori per gli ecosistemi e le persone». L'articolo Le foreste zombie del riscaldamento globale (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.