Categoria Ambiente

Acquacoltura: a Taranto un passo verso la sostenibilità

acquacoltura Taranto
Nel 2021 l’United Nations environment programme (Unep) stimava  che in Europa le attività marittime come pesca e acquacoltura contribuiscono rispettivamente al 39% e al 14% dei rifiuti marini a causa dell’abbandono e/o perdita accidentale in mare di boe, reti, sacchi per mangimi, guanti e scatolame. Dati destinati ad aumentare a causa della crescente richiesta sul mercato di prodotti ittici destinati al consumo umano come pesce, mitili e crostacei in quanto importanti fonte alimentare. In particolare, in Europa i mitili costituiscono circa un terzo di tutti i prodotti provenienti da attività di acquacoltura, con una produzione che ha raggiunto le 522.400 tonnellate nel 2016, il 24,5% rispetto alla produzione mondiale (Pietrelli, 2022). Oggi, alla Stazione Zoologica Anton Dohrn (SZN) di Amendolara (CZ) della sulla costa ionica calabrese, sono stati presentati i risultati della ricerca condotta dai ricercatori della SZN in collaborazione con l'università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (UNISG) e Novamont, per verificare le potenzialità del Mater-Bi nel settore della mitilicoltura. Il progetto, realizzato nel mar Piccolo di Taranto , dove 602 ettari sono dedicati alla mitilicoltura. In questo bacino costiero si sviluppa l’intero ciclo produttivo della cozza nera di Taranto, Presidio Slow Food dal 2022. La produzione è totalmente artigianale, gestita da PMI spesso a conduzione familiare, e gli allevatori, visto il forte legame con il territorio, sono alla ricerca di strumenti innovativi a supporto dei criteri di sostenibilità. Per Francesco Marangione, mitilicoltore della Cooperativa CO.MI.OS., «L’utilizzo delle reste in Mater Bi rappresenta per noi una valida alternativa coerente anche con le nuove normative che vietano l’utilizzo di materiale plastico per l’allevamento dei mitili nel Golfo di Taranto», Alla SZN spiegano che « il progetto ha avuto come obiettivo quello di individuare nuove soluzioni per migliorare la sostenibilità del settore dell'acquacoltura, attraverso l'utilizzo di materiali biodegradabili e compostabili, in sostituzione dei classici materiali in plastica (calze in polipropilene) normalmente utilizzati e altamente inquinanti».  Ne è venuto fuori che «I mitili allevati nelle reste in Mater –Bi crescono più velocemente di quelli innestati nelle reste in polipropilene, con un vantaggio per i mitilicoltori in termini di resa economica». Lo studio ha applicato per la prima volta «L’analisi FT-IR complementarmente alla valutazione della colonizzazione batterica, per valutare cambiamenti superficiali dal punto di vista chimico delle calze in polipropilene ed in Mater-Bi». I risultati hanno mostrato che «Non sono presenti picchi aggiuntivi nello spettro delle plastiche (PP e Mater-Bi) rispetto al controllo, indicando che non è avvenuta alterazione della composizione chimica a livello superficiale nei campioni sottoposti al periodo di stabulazione. Inoltre dai test effettuati su terreni selettivi per la ricerca di microrganismi patogeni, non è stata evidenziata presenza di batteri patogeni o potenzialmente pericolosi per l’uomo». I ricercatori evidenziano che «Questi risultati ci consentono di affermare che l’impiego delle reste in Mater-Bi durante l’intero ciclo produttivo dei mitili può essere una valida alternativa all’utilizzo della plastica convenzionale, grazie alle buone prestazioni in termini biologici, meccanici e ambientali emerse durante l’esperimento». La giornata ha costituito un'importante occasione per discutere le opportunità e le sfide dell'utilizzo di materiali biodegradabili e compostabili nel settore dell'acquacoltura, e per presentare le soluzioni innovative sviluppate dalla ricerca condotta dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con l'Università di Scienze Gastronomiche e la direttrice della sede Sicilia della SZN, Teresa Romeo, ha evidenziato che «Questo progetto sperimentale, realizzato nel Golfo di Taranto come area pilota, rappresenta un modello di innovazione che vede insieme ricerca, innovazione e imprese produttrici che operano al fine di garantire un’attività sostenibile nell’ottica di un’economia circolare, e che può fungere da studio pilota per fornire anche misure di gestione a supporto del settore della mitilicoltura da poter esportare su scala nazionale». Gabriele Cena responsabile relazioni esterne e partnership dell’UNISG di Pollenzo, ha concluso: «Lo scorso dicembre presso il ministero dell’agricoltura abbiamo presentato come Ateneo insieme a diversi partner accademici e enti di ricerca il Patto con il Mare per la Terra, nato per connettere università, istituzioni, imprese, centri di ricerca per promuovere politiche di protezione dell’ecosistema marino e di conservazione della biodiversità, oltre che strategie di sviluppo sostenibile del settore e di promozione di buone pratiche. Questo progetto, sviluppato grazie al sostegno da parte di Novamont, è un primo esempio di collaborazione concreta tra enti di ricerca, istituzioni e aziende private per trovare soluzioni innovative e concrete per ridurre l’impatto sugli ecosistemi marini». L'articolo Acquacoltura: a Taranto un passo verso la sostenibilità sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Estra, oltre 40mila studenti partecipano alle Scuole viaggianti per l’educazione ambientale

scuole viaggianti estra
Oltre 830 scuole, 1.600 classi e 40mila studenti hanno aderito al progetto di educazione ambientale “Scuole viaggianti”, promosso dalla multiutility Estra, su cui si è alzato stamani il sipario con la diretta streaming EstraTalk: Le scelte sostenibili. Il progetto è dedicato agli studenti delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado di ben 5 regioni (Abruzzo, Marche, Molise, Toscana e Umbria), e si propone come un formato didattico innovativo per l’educazione alla sostenibilità. «Scuole viaggianti oggi entrato finalmente nel vivo ed i numeri delle scuole partecipanti vanno davvero ben al di là delle nostre attese, confermando una scelta che è stata innovativa nei contenuti e negli strumenti e che si è rivelata vincente – commenta Alessandro Piazzi, ad di Estra – Stiamo investendo sul futuro: a partire dall’infanzia, dai più piccoli ai più grandicelli, contribuiamo all’educazione ambientale delle nuove generazioni». A partire da esempi molto concreti: il talk odierno ad esempio ha dato l’occasione per presentare alle scuole il progetto Prato urban jungle (di cui Estra è partner), pensato per ri-naturalizzare i quartieri di Prato in modo sostenibile e socialmente inclusivo. Proprio in queste settimane, inoltre, si stanno svolgendo gli Incontri tra Viaggiatori: le classi si incontrano “digitalmente” per condividere in videochiamata il loro percorso, ma anche per raccontare il proprio territorio. Tutte queste attività sono pensate per arricchire e diversificare l’esperienza delle 833 scuole che in questa prima edizione 2022-2023 partecipano al progetto, e che si concluderà con interessanti premi. Tutte le classi che parteciperanno attivamente assisteranno ad una rassegna teatrale digitale, mentre per le quindici Scuole che avranno realizzato i diari di viaggio più originali e interessanti, in palio uno spettacolo teatrale dal vivo, il ByBike Teatro, in cui avverranno anche le cerimonie di premiazione. Infine tutte le Città Smart create dalle scuole concorreranno ad un contest che attribuirà buoni da 500 euro e che è organizzato in partenariato con Anci e con Nanabianca. L'articolo Estra, oltre 40mila studenti partecipano alle Scuole viaggianti per l’educazione ambientale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Studio di fattibilità per l’eradicazione del cinghiale e del muflone all’Isola d’Elba

eradicazione del cinghiale
E' stata pubblicata sulla piattaforma http://start.toscana.it (procedura n.004056/2023) una indagine di mercato per l’affidamento della redazione dello studio di fattibilità per l’eradicazione del cinghiale (Sus scrofa) e del muflone (Ovis aries). Si tratta di un grosso passo avanti che viene incontro alle richieste che da anni agricoltori, ambientalisti, operatori turistici e comitati fanno per salvaguardare la biodiversità e l’agricoltura dell’Isola d’Elba che hanno subito fortissimi danni a causa di questi animali introdotti negli anni ’60 e ‘7’ (cinghiale) e ’80 (muflone) a fini venatori. Il Parco Nazionale informa che «La procedura si svolgerà interamente per via telematica. Tutte le informazioni per partecipare sono contenute nel sito  http://start.toscana.it» e spiega che «Si tratta di un'indagine di mercato finalizzata all'affidamento diretto per il servizio di redazione dello studio di fattibilità dell'eradicazione di cinghiali e mufloni dall'Isola d'Elba. Le attività da svolgere sono inerenti alla redazione di una indagine di fattibilità per l’eradicazione delle due specie di ungulati selvatici, muflone e cinghiale, dal territorio dell’Isola d’Elba. L’affidatario analizza pertanto tutte le variabili, eco-etologiche, sociali, economiche, tecniche, giuridico-normative, in grado di condizionare il raggiungimento dell’obiettivo gestionale complessivo previsto. L’indagine dovrà approfondire l’uso dei diversi habitat e delle aree urbanizzate/agricole, le tecniche di prelievo, la gestione dei capi prelevati, i soggetti che partecipano alle fasi di prelievo, lo sforzo di prelievo, le tempistiche, il monitoraggio in corso d’opera e alla fine dell’azione di eradicazione; saggia il contesto sociale ed economico locale, la percezione del problema tra la popolazione; analizza il contesto normativo nazionale ed europeo che regola gli interventi di gestione delle due specie; evidenzia i processi di governance alla base della conduzione degli interventi; effettua una stima del costo totale dell’intervento di eradicazione qualora ritenuto possibile in senso tecnico, sociale e giuridico». La scadenza è il 26/03/2023 gli operatori economici interessati dovranno identificarsi sul Sistema Telematico di Acquisto accessibile all’indirizzo http://start.toscana.it ed inserire la documentazione richiesta. L'articolo Studio di fattibilità per l’eradicazione del cinghiale e del muflone all’Isola d’Elba sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le tartarughe marine italiane nidificano sempre più a nord. Ma aumentano i rischi

Le tartarughe marine italiane nidificano sempre piu a nord.
Negli ultimi anni nuove nidificazioni di tartaruga marina  Caretta Caretta sono state segnalate sempre più a nord sulle coste italiane del Tirreno e dell’Adriatico,  mostrando che questi rettili marini stanno ampliando il loro areale di nidificazione mediterraneo, molto probabilmente a causa dei cambiamenti climatici in atto. Lo studio “Environmental and pathological factors affecting the hatching success of the two northernmost loggerhead sea turtle (Caretta caretta) nests”, pubblicato recentemente su Nature da un team di ricercatori del Dipartimento di biomedicina comparata e alimentazione dell’università di Padova e dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), conferma questa ipotesi, ma avverte: « Nel contesto del cambiamento climatico, i modelli migratori, l'uso dell'habitat, il rapporto tra i sessi e lo sviluppo embrionale potrebbero essere influenzati dagli effetti dell'aumento della temperatura». ArpaVeneto ha dato il proprio contributo allo studio fornendo dati ambientali tra cui dati pluviometrici sia attuali che storici e dati granulometrici. I due nidi di tartaruga descritti nello studio (Jesolo Lido e Scano Boa), gli episodi segnalati nelle Marche (Pesaro) nel 2019, e i due in Liguria (Finale Ligure nel 2021 e Levanto nel 2022) e il confermato aumento della temperatura del mare nel bacino adriatico «Contribuiscono a rafforzare l'ipotesi dell'espansione dell'attività nidificante verso la costa settentrionale del Mediterraneo occidentale nel periodo 2010 – 2020». Quindi, i due siti veneti «Possono essere considerati i siti di nidificazione più settentrionali del Mar Mediterraneo mai monitorati e, molto probabilmente, a livello mondiale». Lo studio fa notare che Queste prime segnalazioni potrebbero potenzialmente candidare quest'area come idonea a gran parte del ciclo vitale della tartaruga comune e potrebbe rappresentare un'area minore di nidificazione delle tartarughe marine che sarebbe passata inosservata a causa della mancanza di uno specifico monitoraggio». Ma i ricercatori sottolineano che due nidi hanno mostrato un diverso successo di schiusa «Con risultati inferiori (11%) nella località più urbanizzata (Jesolo Lido) rispetto alla media (66%) rilevata nel Mediterraneo occidentale. Anche la presenza e le attività umane, come l'urbanizzazione, l'allestimento turistico della spiaggia e l'inquinamento, potrebbero aver compromesso la sopravvivenza embrionale. Inoltre, questi due episodi di nidificazione hanno aggiunto alcune preoccupazioni riguardo alle sfide nella gestione e nel monitoraggio dei nidi delle tartarughe marine in termini di interazione con le attività umane e problemi di salute». Le due aree vente monitorate sono infatti caratterizzate da intense attività umane, come il turismo, la pesca e il traffico marittimo e  «Queste minacce antropiche, oltre a quelle naturali e alle mutevoli caratteristiche ambientali della spiaggia, possono influenzare la crescita di microrganismi causando fallimenti di schiusa. Tra i microrganismi, infezione fungina del genere Fusarium è considerata una delle cause principali del declino globale delle popolazioni di tartarughe marine.  Si ritiene che la fusariosi dell'uovo di tartaruga marina (STEF) abbia profondamente compromesso il successo della cova di quella più a nord. Il cambiamento climatico e gli impatti antropogenici sono stati classificati come uno dei rischi maggiori per la salute delle tartarughe marine e potrebbero aver avuto un ruolo nello sviluppo di STEF». I ricercatori dell’università di Padova e dell’ IZSVe concludono: «L'espansione dell’areale delle tartarughe marine a nord, in aree altamente urbanizzate, con diverse attività antropiche che hanno un impatto negativo sul successo della schiusa, richiede una copertura di monitoraggio più ampia come azione prioritaria per la conservazione delle tartarughe marine. Per far fronte a questa possibile minaccia, un dialogo tra le parti interessate economiche e della conservazione dovrebbe essere incentrato su un piano di gestione che garantisca la coesistenza di attività economiche sostenibili e la conservazione delle specie in pericolo. Questi piani dovrebbero includere: 1) lo sviluppo di modelli di idoneità dei nidi, il monitoraggio in tempo reale, la protezione dei nidi e l'ispezione per far fronte agli effetti negativi delle attività antropiche; 2) strategie di gestione efficaci per il controllo delle malattie emergenti compresa la loro epidemiologia;  3) la possibile applicazione della pratica del trasferimento, anche se non è chiaro se tale approccio aumenti la contaminazione o il trasporto di agenti patogeni, quindi il rischio di infezione da FSSC e mortalità nelle uova di tartaruga marina».   L'articolo Le tartarughe marine italiane nidificano sempre più a nord. Ma aumentano i rischi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Dove e come è nato il vino

Dove e come e nato il vino
La prestigiosa rivista Science dedica la copertina allo studio “Dual domestications and origin of traits in grapevine evolution” pubblicato da un team guidato da Yang Dong dell’università di Yunnan e dal Laboratorio di genomica vegetale di Shenzhen e che ha visto la collaborazione di Gabriella De Lorenzis (Uiversità di Milano), Fabrizio Grassi (università Milano-Bicocca), Francesco Sunseri (Mediterranea di Reggio Calabria) e di Francesco Mercati  (Istituto di bioscienze e biorisorse - Cnr-Ibbr di Palermo),  che riporta i risultati della più vasta analisi genetica mai condotta sulla vite, con un dataset finale di 2.448 genomi di vitigni unici (a partire dai 3.500 sequenziati), raccolti da 23 istituzioni in 16 Paesi del mondo. dal quale emerge che «L’origine e la domesticazione della vite, da tavola e da vino, finora avvolta in un mistero di difficile decifrazione, risalgono a circa 11 mila anni fa, grazie a due differenti eventi di domesticazione separati geograficamente circa 1.000 km, avvenuti in Asia occidentale e nella regione del Caucaso meridionale», smentendo studi precedenti che indicavano un solo evento nel Caucaso l’origine del vino. Secondo i ricercatori, «I due eventi sono avvenuti contemporaneamente, circa 11 mila anni fa, quindi in concomitanza con l’avvento dell’agricoltura e 4 mila anni più tardi rispetto a quanto ritenuto in precedenza. Sebbene l'evento di domesticazione nel Caucaso meridionale sia associato alle prime vinificazioni (fonti storiografiche), l'origine del vino in Europa nasce dall’incrocio tra le viti selvatiche di questa regione e le uve domesticate del Vicino Oriente, inizialmente utilizzate solo per il consumo fresco (uva da tavola), stabilendo quattro grandi gruppi di viti coltivate in Europa lungo le rotte migratorie dell'uomo». Per arrivare a questi risultati, i ricercatori hanno sequenziato il DNA del progenitore selvatico, comparandolo con il DNA dei circa 3.000 campioni raccolti in tutto il mondo, identificando così anche «Alcuni geni, relativi a sapore, colore e consistenza dell’uva, che potrebbero aiutare i viticoltori a migliorare i loro prodotti e a rendere le varietà attuali più resistenti ai cambiamenti climatici». Infine, dicono al Cnr-Ibbr lo studio ha dimostrato che «L’aumento degli scambi commerciali ha favorito il commercio di cultivar superiori tra le regioni euroasiatiche e ciò è risultato particolarmente evidente nelle cultivars italiane che condividono tre o più parentele genetiche con altre cultivars, ponendo le basi per uno studio definitivo della grande biodiversità vitivinicola italiana con la sfida a districare la storia genealogica di molte cultivar, peraltro già ben avviata in precedenti lavori degli stessi autori italiani». L'articolo Dove e come è nato il vino sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Esa: in 4 anni persi 5,2 milioni di ettari foresta amazzonica. Una superficie grande come il Costa Rica

in 4 anni persi 52 milioni di ettari foresta amazzonica
Le foreste stoccano una grande quantità di carbonio terrestre e svolgono un ruolo importante nel compensare le emissioni antropogeniche di combustibili fossili. Dal 2015, grazie alla Copernicus Sentinel-1 mission  le foreste tropicali del mondo possono essere osservate regolarmente a un intervallo senza precedenti da 6 a 12 giorni. All’Esa spiegano che «Milioni di gigabyte di dati synthetic aperture radar (SAR)  radar ad apertura sintetica (SAR) vengono acquisiti sia di giorno che di notte, indipendentemente dalla copertura nuvolosa, foschia, fumo o aerosol, consentendo il monitoraggio della deforestazione e del degrado forestale almeno bisettimanale. Tuttavia, la sfida sta nel trovare metodi adeguati per estrarre indicatori significativi della perdita di foreste dalle grandi quantità di dati radar in arrivo, in modo tale che le anomalie nelle serie temporali possano essere rilevate regolarmente e in modo coerente nelle foreste tropicali. Questi metodi di monitoraggio delle foreste dovrebbero essere trasparenti e facilmente comprensibili per il grande pubblico, consentendo di avere fiducia nel loro utilizzo in vari settori pubblici e privati». Il progetto Sentinel-1 for Science: Amazonas presenta un approccio semplice e trasparente all'utilizzo delle immagini del radar satellitare Sentinel-1 per stimare la perdita di foreste: «Utilizza un cubo di dati spazio-temporali (noto anche come StatCubes), in cui le informazioni statistiche rilevanti per identificare la deforestazione vengono estratte in ogni punto della serie temporale radar – spiegano ancora all’ESa - Con questo approccio, il progetto dimostra l'uso dei dati di Sentinel-1 per creare un'analisi dinamica della deforestazione nel bacino amazzonico».  E’ così che il team di ricercatori del progetto è stato in grado di rilevare la perdita di foreste di oltre 5,2 milioni di ettari dal 2017 al 2021, che è all'incirca la dimensione del Costa Rica. Neha Hunka, esperta di telerilevamento di Gisat, ha sottolineato che «“Quello che stiamo vedendo dallo spazio sono oltre un milione di ettari di foreste umide tropicali che scompaiono ogni anno nel bacino amazzonico, con l'anno peggiore che è il 2021 in Brasile. D'ora in poi possiamo tenere traccia di queste perdite e riferirle in modo trasparente e coerente ogni 12 giorni». Dall'inizio del 2015 a dicembre 2021, sono stati analizzati miliardi di pixel provenienti dai satelliti Sentinel-1,  ognuno dei quali rappresenta una foresta di 20 x 20 metri, e sono stati armonizzati nell'ambito del progetto StatCubes, dando come risultato il rilevamento della perdita di foresti. La sfida più grande del progetto è stata l’enorme quantità di dati da gestire ed elaborare. Il team ci è riuscito gestendo diversi strumenti software intuitivi per accedere ai dati in modo efficiente, elaborando oltre 450 TB di dati per creare le mappe della perdita delleforeste. Anca Anghelea, open science platform engineer dell’Esa sottolinea che «Fornendo dati e codice open access  attraverso l'Open Science Data Catalogue dell'ESA e la piattaforma openEO, puntiamo a consentire ai ricercatori di tutto il mondo di collaborare e contribuire all'avanzamento delle conoscenze sul nostro foreste globali e il ciclo del carbonio. Pertanto, nell'ultima fase del progetto, un focus chiave sarà su Open Science, riproducibilità, mantenimento a lungo termine ed evoluzione dei risultati raggiunti nel progetto Sentinel-1 for Science: Amazonas», contribuendo così alla realizzazione del  Carbon Science Cluster dell'ESA . Sentinel-1 for Science Amazonas è implementato da un consorzio formato da Gisat ,  Agresta , Norges miljø- og biovitenskapelige universitet e Paikkatietokeskus/  Finnish Geospatial Research Institute e il suo team interdisciplinare combina silvicoltura, valutazioni del carbonio, analisi SAR multitemporale e fusione di dati e capacità di elaborazione di dati di grandi dimensioni. Il prossimo obiettivo del team di ricerca, lavorando insieme al  team dell'ESA Climate Change Initiative,  è ottenere una stima della perdita di carbonio derivante dai cambiamenti della copertura del suolo. L'articolo Esa: in 4 anni persi 5,2 milioni di ettari foresta amazzonica. Una superficie grande come il Costa Rica sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Plastic smog: negli oceani del mondo ci sono più di 170 trilioni di pezzi di plastica galleggianti (VIDEO)

Plastic smog 1
Lo studio “A growing plastic smog, now estimated to be over 170 trillion plastic particles afloat in the world’s oceans. Urgent solutions required”, pubblicato su PLOS ONE da un team internazionale di ricercatori guidato dal  5 Gyres Institute, rivela che «Ci sono più di 170 trilioni di particelle di plastica, del peso di circa 2 milioni di tonnellate, che galleggiano negli oceani del mondo» e, valutando i trend della plastica negli oceani dal 1979 al 2019, gli autori dello studio hanno osservato «Un rapido aumento dell'inquinamento marino da plastica» e chiedono «Urgentemente misure politiche incentrate sulla riduzione e il riutilizzo delle fonti piuttosto che sul riciclaggio e la pulizia». Uno degli autori dello studio, Edward Carpenter dell’Estuary & Ocean Science Center della San Francisco State University, ha ricordato che «Sappiamo che l'oceano è un ecosistema vitale e abbiamo soluzioni per prevenire l'inquinamento da plastica. Ma l'inquinamento da plastica continua a crescere e ha un effetto tossico sulla vita marina. Ci deve essere una legislazione per limitare la produzione e la vendita di plastica monouso o la vita marina sarà ulteriormente degradata. Gli esseri umani hanno bisogno di oceani sani per un pianeta vivibile». Il 5 Gyres Institute ha pubblicato la prima stima globale dell'inquinamento marino da plastica nel 2014, stabilendo che allora nell'oceano erano presenti più di 5 trilioni di particelle di plastica, ora l’Istituto  sottolinea che «Comprendere la presenza e i trend della plastica nell'ambiente è fondamentale per valutare i rischi attuali e potenziali futuri per gli esseri umani e gli ecosistemi». Gli autori dello studio hanno utilizzato dati pubblicati in precedenza e nuovi (11.777 campioni) sulla plastica oceanica galleggiante per creare una serie temporale globale che stima i conteggi medi e la massa di microplastiche nello strato superficiale dell'oceano. Lo studio fornisce anche una panoramica storica delle misure politiche internazionali per ridurre l'inquinamento da plastica e ne valuta l'efficacia. I ricercatori evidenziano che «Dal 2005 in poi, c'è un rapido aumento della massa e dell'abbondanza di plastica negli oceani, che può riflettere aumenti esponenziali della produzione di plastica, frammentazione dell'inquinamento da plastica esistente o cambiamenti nella produzione e gestione dei rifiuti terrestri» e avvertono che «Senza un'azione immediata, si prevede che il tasso della plastica che entra negli ambienti acquatici aumenterà di circa 2,6 volte dal 2016 al 2040. Questa accelerazione dell'inquinamento marino da plastica richiede un urgente intervento politico internazionale alla fonte della produzione di plastica e della fabbricazione dei prodotti, prima che vengano generati rifiuti, al fine di ridurre al minimo i danni ecologici, sociali ed economici». Il principale autore dello studio, il co-fondatore del  5 Gyres Institute Marcus Eriksen,  sottolinea che «L'aumento esponenziale delle microplastiche negli oceani del mondo è un duro avvertimento che dobbiamo agire ora su scala globale, smettere di concentrarci sulla pulizia e il riciclaggio e inaugurare un'era di corporate responsibility per l'intera vita delle cose che producono le imprese. Se continuiamo a produrre plastica al ritmo attuale, ripulire è inutile e abbiamo sentito parlare di riciclaggio per troppo tempo mentre l'industria della plastica rifiuta contemporaneamente qualsiasi impegno ad acquistare materiale riciclato o progettare per la riciclabilità. E’ ora di affrontare il problema della plastica alla fonte». Sarah Martik, vicedirettrice del Center for Coalfield Justice - Southwestern Pennsylvania, fa notare che «Ogni particella di plastica che troviamo nell'oceano è indissolubilmente legata a comunità come la mia attraverso il fracking che ha prodotto le materie prime e l'inquinamento del suolo, dell'acqua e dell'aria che accompagnano tale estrazione. L'inquinamento derivante dalle fasi di estrazione e produzione del ciclo di vita della plastica è spesso invisibile, ma gli impatti sulla salute umana e l'inquinamento a valle non lo sono. Affrontare l'intero ciclo di vita è l'unico modo per proteggere non solo i nostri oceani, ma anche le nostre comunità». Dopo che nel 2022 gli Stati membri dell’Onu hanno adottato una risoluzione per porre fine all'inquinamento da plastica e con il recente Trattato per la protezione dell’Oceano, siamo a un punto di svolta, ma il   5 Gyres Institute. Ricorda che «Le attuali politiche internazionali sulla plastica sono frammentate, mancano di specificità e non includono obiettivi misurabili. La creazione di accordi internazionali vincolanti e applicabili incentrati sulla riduzione della fonte è la migliore soluzione a lungo termine. Poiché i negoziati sui trattati sono in corso, è fondamentale stabilire un trattato globale legalmente vincolante che affronti l'intero ciclo di vita della plastica, dall'estrazione e produzione fino alla sua fine vita». Un co-autore dello studio, Scott Coffin, del California State Water Resources Control Board, è convinto che «Il crescente accumulo di particelle di plastica nei nostri ambienti e nei nostri corpi alla fine porterà all'incapacità del pianeta di sostenere la vita così come la conosciamo. Ora è il momento per i governi di tutto il mondo di unirsi nei loro sforzi per ridurre la produzione di plastica e impedire ulteriormente la sua fuga nell'ambiente». La tanzaniana Ana Rocha, direttrice esecutiva di Nipe Fagio, aggiunge che «Storicamente, le popolazioni vulnerabili hanno costantemente svolto un ruolo importante nella gestione dei rifiuti di plastica, nonostante fossero trascurate nei sistemi di gestione dei rifiuti e fossero significativamente colpite dalla produzione di plastica. Nel caso della Tanzania, le aziende con entrate superiori al PIL del Paese producono plastica che noi non abbiamo la capacità di gestire, né dovrebbe essere nostra responsabilità farlo , e la inviano ai nostri mercati. Questi prodotti non rendono i beni disponibili alle persone a meno che non possano permetterseli, quindi affrontiamo la contraddizione delle persone che bevono acqua non trattata mentre il loro ambiente e i corsi d'acqua sono pieni di bottiglie di plastica. Il Trattato globale sulla plastica è l'occasione altrimenti mancante per progettare uno strumento legalmente vincolante che affronti l'intero ciclo di vita della plastica e promuova la giustizia ambientale. Le comunità vulnerabili, soprattutto nel Sud del mondo, non devono continuare a favorire il profitto di aziende e Paesi, soprattutto nel Nord del mondo. La nostra dignità deve essere rispettata e valorizzata». Per la texana Yvette Arellano, fondatrice e direttrice di Fenceline Watch, «“La stessa industria che svolge un ruolo nella plastica svolge un ruolo nella crisi climatica. Il tempo è vitale; disastri climatici estremi colpiscono la nostra area con crescente frequenza e il pericolo di esplosioni ed emissioni da disastri chimici da impianti petroliferi, del gas e petrolchimici si moltiplica: le emissioni tossiche dalla produzione di plastica causano danni riproduttivi, di sviluppo e altri danni mutageni e multigenerazionali nelle nostre comunità». Un’altra autrice dello studio, Lisa Erdle, direttrice ricerca e innovazione del 5 Gyres Institute, ha commentato: «Sappiamo che le microplastiche sono ovunque e, per quanto riguarda le soluzioni, stanno andando a monte, trovando modi per limitare le emissioni vicine alla fonte. Ma quello che abbiamo imparato negli ultimi 15 anni è che la plastica può causare danni dall'estrazione di combustibili fossili allo smaltimento dei prodotti a fine vita. Quindi, nello sviluppo di soluzioni, deve essere preso in considerazione l'intero ciclo di vita della plastica». Patricia Villarrubia Gomez,  dello Stockholm Resilience Centre dell’università di Stoccolma, conclude: «La presenza di materie plastiche, in tutte le dimensioni, forme e forme, sta aumentando in modo incontrollabile ovunque. È imperativo pensare alla plastica come a un malvagio problema sociale e ambientale. E’ un materiale che crea danni durante tutto il suo ciclo di vita, dalla trivellazione di combustibili fossili alla diffusione di microplastiche nei corsi d'acqua, nel suolo e nell'atmosfera. Per affrontare efficacemente l'inquinamento da plastica, dobbiamo affrontarlo in modo sistemico». L'articolo Plastic smog: negli oceani del mondo ci sono più di 170 trilioni di pezzi di plastica galleggianti (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria. Respinta la richiesta del repubblicano Matt Gaetz

Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria
La Camera dei rappresentanti statunitense ha bocciato un disegno di legge presentato dal repubblicano Matt Gaetz che chiedeva di ritirare tutte le truppe americane dalla Siria, optando per continuare un intervento militare  che dura da anni contro il governo di Damasco, che ha sempre respinto la presenza armata Usa sul suo territorio come illegale. Una spedizione che si è progressivamente trasformata da coalizione anti siriana-russa in anti Stato Islamico/Daesh (ISIS) con l’alleanza con le milizie kurde che poi non sono però state difese quando la Turchia ha invaso vaste aree dell Siria settentrionale sotto controllo kurdo. Anche se 56 democratici si sono uniti a 47 repubblicani per sostenere il disegno di legge di Gaetz ufficialmente sostenuto dal partito Repubblicano, la risoluzione sui poteri di guerra in Siria e è stata bocciata da un altro fronte bipartisan ed è finita con 321 no e soli 103 sì. Il disegno di legge presentato da Gaetz a gennaio avrebbe ordinato al presidente Joe Biden di ritirare entro 6 mesi i 900 soldati statunitensi ancora ufficialmente schierati in Siria, sostenendo che il Congresso non ha mai autorizzato qell’azione militare. Gaetz non ha preso bene il risultato del voto e ha criticato sia i repubblicani che i democratici  e ha dipinto un quadro della sir tuazione siriano con argomentazioni  per le quali – e per molto meno . in Italia si potrebbe essere tacciati di propaganda comunista, ma Gaetz è un iperconservatore anticomunista della Florida. Nel suo intervento al Congresso, il parlamengtare repubblicano haz ricordato che «Gran parte della discussione odierna ruota intorno al fatto che il ritiro dalla Siria possa o meno innescare un nuovo califfato dell'ISIS. Abbiamo sottolineato più e più volte i rapporti dell'Inspector General che affermano che ciò è improbabile, ma non sono del tutto sicuro che avere truppe in Siria scoraggi l'ISIS più di quanto non sia in realtà uno strumento di reclutamento per l'ISIS. Inoltre, il presidente Trump ha affermato che se la Russia volesse uccidere l'ISIS, dovremmo permetterglielo, e penso che ci sia saggezza in questo. Sia Assad che la Turchia sono oggi in posizioni più forti per esercitare una pressione sull'ISIS, e forse se non ci fossero date armi alle persone che sparano ad Assad, Assad avrebbe tutti gli incentivi per essere in grado di coinvolgere l'ISIS in modo da garantire che non torni». Insomma, Gaetz Propone di fatto un tacito accordo tra regime siriano, Russia e Turchia per far fuori quel che resta dello Stato Islamico Daesh, liberando gli Usa da questa incombenza.  Ma non basta, il deputato del GOP ha girato il coltello nella piaga delle disavventure diplomatiche e militari statunitensi in Medio Oriente: «Dobbiamo anche riconoscere che la Siria e l'Iraq sono i due Paesi del pianeta Terra in cui abbiamo fatto di più per finanziare l'ISIS. Diamo armi a questi cosiddetti ribelli moderati, che in realtà pensavo fosse un ossimoro, e si scopre che non sono così moderati. A volte i ribelli che finanziamo per andare a combattere Assad si rivoltano e alzano la bandiera dell'ISIS. E quindi è abbastanza sciocco dire che dobbiamo ritirarci per fermare l'ISIS quando è la nostra stessa presenza in Siria in alcuni casi che è stata il miglior regalo per l'ISIS. Ci sono gruppi come Al-Nusra e entità associate che sono come i nostri fans quando sono in Siria, e poi attraversano il confine con l'Iraq e diventano jihadisti a tutti gli effetti che si presentano come una cosiddetta minaccia per la patria. Ci sono 1.500 gruppi diversi in Siria. Quindi l'amico di oggi è l'ISIS di domani. Non c'è una vera definizione chiara di cosa significhi la "sconfitta duratura dell'ISIS". Ad esempio, dobbiamo tenere 900 americani in Siria fino a quando batterà il cuore dell'ultima persona che nutre simpatia per l'ISIS? Sicuramente spero di no. Significherebbe che dovremmo essere lì per sempre». Poi, un po’ semplificando alla maniera di Trump, Gaetz ha fatto un quadro della situazione attuale: «Israele ha stretto un accordo con la Russia per essere protetto. I kurdi hanno fatto pace con Assad per essere protetti. Quello che vediamo in questo pantano è che in realtà in Siria non c'è un ruolo per gli Stati Uniti d'America. Non siamo una potenza mediorientale. Abbiamo cercato più e più volte di costruire una democrazia con la sabbia, il sangue e le milizie arabe, e più e più volte il lavoro che svolgiamo non riduce il caos. Spesso provoca il caos, lo stesso caos che successivamente porta al terrorismo. I miei colleghi, i componenti del mio staff che hanno prestato servizio in Siria, i miei elettori mi dicono che spesso questi raid anti-ISIS sono solo raid di teppisti locali e spacciatori di droga che hanno qualche cugino che è nell'ISIS, e non è giusto mettere a rischio gli americani. Spesso i nostri americani sorvegliano quei giacimenti petroliferi, dove gli iraniani inviano droni kamikaze. E sono scioccato dal fatto che non abbiamo avuto un'escalation di incidenti o anche più vittime tra i nostri militari statunitensi. E quindi se questo è tutto un grande esame di saggio della Georgetown School of Foreign Service sulla grande competizione per il potere in Siria, andate a dirlo ai genitori degli americani che stanotte devono dormire in Siria, che devono proteggere i giacimenti petroliferi con i droni iraniani in arrivo su di loro, che tutto questo è necessario  per preservare l'equilibrio del potere. Questo non è vero. I kurdi hanno l'opportunità di spianare la strada. Pavimentiamogliela». Il riferimento al furto di petrolio fa riecheggiare nell’aula del Congeresso Usa addirittura l’accusa di banditismo fatta Il 18 gennaio, durante una conferenza stampa, dal portavoce del ministero degli esteri di Pechino Wang Wenbin: «Siamo colpiti dalla sfacciataggine e dall'enormità del saccheggio della Siria da parte degli Stati Uniti... Tale banditismo sta aggravando la crisi energetica e il disastro umanitario in Siria». Poi, citando le statistiche del governo siriano di Bashir al-Assad, ha sottolineato che «Nella prima metà del 2022, oltre l'80% della produzione giornaliera di petrolio della Siria è stata contrabbandata fuori dal Paese dalle truppe di occupazione statunitensi. Sia che gli Stati Uniti diano o tolgano, fanno precipitare altri paesi nel tumulto e nel disastro, e gli Stati Uniti possono raccogliere i frutti della loro egemonia e di altri loro interessi. Questo è il risultato del cosiddetto “ordine basato sulle regole” degli Stati Uniti. Il diritto alla vita del popolo siriano viene spietatamente calpestato dagli Stati Uniti. Con poco petrolio e cibo a disposizione, il popolo siriano sta lottando ancora più duramente per superare il rigido inverno. Gli Stati Uniti devono rispondere del furto di petrolio». Va anche detto che i cinesi non si sono mostrati così attenti e scandalizzati quando il petrolio siriano se lo fregavano i turchi in combutta con lo Stato Islamico/Daesh. Il problema per Goetz è che  nel 2019 era stato proprio il suo idolo Donald Trump ad annunciat re che alcuni soldati statunitensi sarebbero rimasti in Siria «Per il petrolio» e per salvaguardare le risorse energetiche. Nel 2020 alcuni rapporti  hanno rivelato che l'amministrazione Trump aveva approvato un accordo tra una società energetica statunitense e le autorità kurde che controllano la Siria nord-orientale per «Sviluppare ed esportare il greggio della regione», un contratto immediatamente condannato come illegale da Damasco. Tuttavia, mentre quell’accordo è stato annullato dopo l'insediamento del presidente Joe Biden, le autorità siriane hanno continuato ad accusare Washington di saccheggio delle sue risorse sotto il controllo dei soldati statunitensi. La consonanza con quanto detto da Goetz con le accuse di cinesi e siriani al tempo di Trump avrebbe portato ad accusare di tradimento della patria un qualsiasi attivista pacifista che avesse denunciato le stesse cose. Ma Goetz si è subito fatto perdonare dai repubblicani  con il cavallo di battaglia trumpiano che piace  (piaceva?) tanto anche alla destra italiana: i migranti-terroristi.  «E se siamo così preoccupati per le minacce alla patria, che ne dite di concentrarci sul nostro vero punto di vulnerabilità, che non è l'emergere di qualche califfato, è il fatto che i terroristi attraversano il nostro confine meridionale su base giornaliera, settimanale, base mensile. Sembriamo molto meno preoccupati di questo, e innegabilmente dovremmo esserlo». Il non certo accomodante j’accuse di Goetz si è concluso con un appello a repubblicani e democratici  a «Sostenere questa risoluzione per riaffermare il potere del Congresso di parlare su queste questioni di guerra e pace. Così spesso, veniamo in aula e discutiamo di frivolezze. Questa è una delle cose più importanti di cui possiamo parlare: come usiamo la credibilità dei nostri camerati americani, come spendiamo il tesoro dell'America, come versiamo il sangue dei nostri più coraggiosi patrioti. Abbiamo macchiato i deserti del Medio Oriente con abbastanza sangue americano. È tempo di riportare a casa i membri che sono al nostro servizio». Ma la proposta, che varcava un po’ troppi non detto e linee rosse invisibili, è stata bocciata sia dai “moderati” repubblicani che da quelli democratici. L'articolo Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria. Respinta la richiesta del repubblicano Matt Gaetz sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Gli ambientalisti siciliani: l’osservatorio astronomico sulla Mufara, nelle Madonie, è irrealizzabile

osservatorio astronomico sulla Mufara
Di fronte a notizie stampa che definiscono «Parziali e fuorvianti»,  Cai, GRE, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Rangers e Wwf, che il 23 aprile 2022 organizzarono nel Parco Regionale delle Madonie una manifestazione per la tutela della Mufara, ribadiscono che «Il progetto dell’osservatorio astronomico sulla Mufara è irrealizzabile per violazioni di vincoli di legge inderogabil»i. Le associazioni ambientaliste spiegano che «Il progetto proposto si estenderebbe su una superficie di 800 metri quadri, di cui 360 per un piazzale, con 3.540 metri cubi di volume edilizio e un’altezza di oltre 13 metri fuori terra, con annessa una pista carrozzabile per l’accesso alla sommità della Mufara. Tutto questo non solo in piena zona A di tutela integrale del Parco delle Madonie, ma addirittura in area boscata e nelle fasce di tutela esterna a inedificabilità assoluta come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale che con la sentenza n. 135 del 26 aprile 2022 ha dichiarato illegittime le norme regionali con cui si volevano cancellare i vincoli di tutela sulle aree boscate». E gli ambientalisti sottolineano che «Tutto questo non viene raccontato così come non si dice che a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale 135/2022, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, con provvedimento prot. 0015350 del 9 agosto 2022 (reso noto a ottobre del 2022) ha rilasciato, correttamente e inevitabilmente, parere negativo sulla realizzabilità dell’opera nel sito prescelto sulla Mufara. Tra l’altro l’opera sul piano giuridico è tutt’altro che strategica tanto che il progetto è stato presentato non secondo le procedure delle opere pubbliche dichiarate di interesse nazionale, ma allo Sportello Unico Attività Produttive dei comuni delle Madonie, gestito da un’altra società privata la Sosvima, come un qualunque piccolo esercizio commerciale». Il comunicato congiunto delle associazioni smentisce anche che l’Ente Parco abbia autorizzato l’opera: «Ha solo rilasciato un parere preliminare per gli aspetti connessi alla valutazione di incidenza, mentre non ha rilasciato il nulla osta definitivo alla realizzazione dell’opera, preliminare al permesso di costruire di competenza esclusiva del Comune di Petralia Sottana. E non comprendiamo come il nulla osta e il permesso di costruire possano essere rilasciati ai sensi delle norme vigenti in un’area dichiarata a inedificabilità assoluta per legge e sentenza della Corte Costituzionale». Però Cai, GRE, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Rangers e Wwf fanno notare che «E’ singolare poi che l’Ente Parco non abbia ritenuto di dovere controdedurre alle osservazioni di merito presentate dalle Associazioni ambientaliste nel giugno 2022, adducendo interpretazioni procedurali». La nota ambientalista evidenzia che «Tanto è irrealizzabile il progetto di cui si discute, che per cercare di aggirare i vincoli di legge gravanti sulla sommità della Mufara, invece di cercare soluzioni alternative sul piano progettuale, nella recente legge regionale di stabilità n. 2 del 22 febbraio 2023 è stato inserito l’articolo 38, inattuabile e non pertinente, perché fa riferimento a deroghe allo statuto del parco, che riguarda l’organizzazione degli uffici, gli organi e relative attribuzioni, e non la disciplina ambientale, ed è comunque in violazione della giurisprudenza costituzionale. Disconoscendo incredibilmente un’altra sentenza della Corte Costituzionale, la n. 172 del 5 giugno 2018, che ha dichiarato incostituzionale il tentativo proprio per la Sicilia di derogare con legge regionale ai vincoli e di fatto sottrarre dalla tutela paesaggistica le opere dichiarate di interesse pubblico dalla Giunta Regionale. Con questo modo di procedere si alimenta solo il contenzioso e non la ricerca di soluzioni alternative e ragionevoli». Le Associazioni Ambientaliste concludono ribadendo di «Non essere contrarie alla previsione di un osservatorio astronomico sulle Madonie né tanto meno alle attività di ricerca scientifica, ma vanno rispettate le leggi di tutela ambientale e paesaggistica e la Mufara va preservata da simili opere (strade, piazzali, volumi edilizi) che la distruggerebbero irrimediabilmente. Non ci sono alternative: o si cambia sito rispetto alla Mufara ubicando l’osservatorio in aree non vincolate a inedificabilità assoluta e lontano dai boschi o il progetto deve essere totalmente rivisto, eliminando dalla sommità della Mufara volumi edilizi e opere che nulla hanno a che vedere con la struttura del telescopio e salvaguardando l’integrità delle aree boscate». L'articolo Gli ambientalisti siciliani: l’osservatorio astronomico sulla Mufara, nelle Madonie, è irrealizzabile sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Rivolta in Georgia per la legge “russa” contro gli agenti stranieri. La presidente si schiera con i manifestanti

Rivolta in Georgia
Il Khalkhis Dzala (Potere popolare), un movimento populista/sovranista fondato nell’agosto 2022 da 3 deputati e al quale hanno poi aderito altri 6 parlamentari dell’ala destra del partito di governo "Sogno georgiano - Georgia democratica", Il 29 dicembre 2022 ha presentato un disegno di legge che prevede la creazione di un registro per gli «agenti di influenza straniera» e che , «sarà introdotta la definizione di agente di influenza straniera» e «sarà assicurato il coinvolgimento diretto dello Stato in una serie di processi che prevedono il privilegio di persone fisiche o giuridiche con finanziamenti esteri». Il 14 febbraio, il Khalkhis Dzala, i cui voti sono ormai necessari per la sopravvivenza del governo del premier  liberal-conservatore Irakli Garibashvili, ha ottenuto da Sogno georgiano l’avvio della discussione di un disegno di legge sulle attività delle organizzazioni finanziate dall'estero che è stato subito chiamato “la legge russa” perché, come quella fatta approvare da Vladimir Putin qualche anno fa metterebbe le organizzazioni della società civile e ambientaliste in una posizione di vulnerabilità. Però, di fronte alle proteste montanti, la maggioranza di governo ha presentato  due versioni del disegno di legge sugli agenti stranieri: una "georgiana" e una "americana". La versione "georgiana" prevede che alle organizzazioni senza scopo di lucro e ai media venga affibbiato lo status di agente di influenza straniera se più del 20% delle loro entrate proveengono dall'estero e che queste organizzazioni devono sottoporsi alla registrazione obbligatoria e, se si rifiutano di farlo, saranno multate. Inoltre, il ministero della giustizia avrà il diritto di avviare un'indagine contro di loro. La presentazione della versione “americana” suona come una beffa verso i molti oppositori che sventolano la bandiera statunitense come simbolo di libertà e anti-russo: infatti è la traduzione letterale in georgiano del Foreign Agents Registration Act (FARA) Usa approvato nel 1938 in funzione anticomunista e poi anti-nazista e che stabilisce la condizione di agente straniero non solo per i media e le organizzazioni non governative , ma anche per altre persone fisiche e giuridiche  e che prevede che le le violazioni (ritardo o rifiuto della registrazione) sono soggette a sanzioni non solo amministrative, ma anche penali, con pene detentive fino a 5 anni. Insomma, la destra georgiana ha più o meno detto: se non volete la versione  "georgiana" che dite che è come la legge russa