‘Cartabianca’ al Cremlino
Vuoi per noia, vuoi per abitudine, vuoi per un retaggio culturale di un certo tipo (sono cresciuto nell’epoca d’oro delle bagarre televisive a tinte politiche: quando Luttazzi realizzava quella intervista a Marco Travaglio, ero un orribile bambino giustizialista di 9 anni cresciuto a pane, Di Pietro e scorie di Tangentopoli; quando Berlusconi, d’emblée, sosteneva a Porta a Porta che l’allora Vicepresidente della Camera Rosy Bindi fosse «più bella che intelligente», ne avevo 17; quando il Cavaliere realizzava il suo colpo da maestro imperituro, pulendo la sedia occupata pochi secondi prima dall’attuale direttore del Fatto Quotidiano davanti agli occhi di un Santoro visibilmente indispettito, ero un 21enne confuso che frequentava l’università senza sapere bene cosa aspettarsi dal futuro), guardo moltissimi talk show.
Beninteso: non li guardo quasi mai per intero, ma la tentazione di accarezzare quell’atmosfera, di scoprire se Cacciari andrà in studio da Formigli per cantarne quattro alla sinistra italiana e alla sua ipocrisia o se Floris riuscirà, finalmente, a perdere il suo aplomb da anchorman inglese idealizzato, alla fine, ha sempre la meglio.
Allo stesso modo, quando mi sintonizzo sul talk
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