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Guido Reni, pennello “divino”, in mostra a Francoforte

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Mentre il Museo del Prado si accinge ad accogliere il 2023 con la grande mostra Guido Reni e la Spagna del Secolo d’Oro, Francoforte si prepara a celebrare il maestro con uno degli appuntamenti più attesi dell’inverno dell’arte. Dal 23 novembre al 5 marzo il “divino” Guido Reni varcherà i cancelli dello Städel Museum con oltre 130 lavori, tra dipinti, stampe, disegni. Per quale motivo, nonostante la fama che garantì all'artista l'appellativo di “divino”, il pennello di Reni fu a lungo avvolto dall’oblio, passando in secondo piano rispetto ai contemporanei come Caravaggio e Ludovico Carracci? La retrospettiva a cura di Bastian Eclercy, organizzata in collaborazione con il Museo Nacional del Prado di Madrid, cercherà di far luce su questo mistero offrendo una nuova prospettiva sul pittore religioso e superstizioso al tempo stesso, irrimediabilmente dipendente dal gioco d'azzardo. Guido Reni, Assunzione della Vergine,  1598-99 circa, Olio su rame, 44.4 x 58 cm, Städel Museum, Francoforte | Foto: © Städel MuseumL'artista che predilesse la rappresentazione di teste di Cristo e Maria, con i loro volti all'insù e lo sguardo al cielo, sarà in mostra con importanti capolavori della collezione del Museo Städel, come la tavola di rame Assunzione della Vergine, ai quali si affiancheranno opere in arrivo da oltre 60 istituzioni, tra musei internazionali e collezioni private, dal Museo Nacional del Prado di Madrid alla Galleria degli Uffizi di Firenze, dal Metropolitan Museum of Art di New York al Louvre. Accanto a questi lavori il percorso espositivo porrà una serie di opere dell’artista mai esposte prima. In questa ricognizione dell'arte di Guido si alternano immagini tratte dai modelli che hanno influenzato la sua pratica, come Raffaello, Parmigianino, e Annibale Carracci, e rari documenti storici, come il libro dei conti del pittore per gli anni 1609–1612 in arrivo dalla Morgan Library & Museum di New York. Guido Reni, Giuseppe e la moglie di Putifarre,1630 circa, Olio su tela, 169.5 x 126.4 cm, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum | Foto: © The J. Paul Getty Museum, Los Angeles“La mostra del Museo Städel, intitolata Guido Reni. Il Divino rappresenta la prima opportunità in più di 30 anni per far riscoprire al pubblico l'ex protagonista della pittura barocca italiana - spiega Philipp Demandt, direttore del museo tedesco -. Grazie ai nostri generosi finanziatori e sponsor siamo stati in grado di raccogliere il più grande insieme di opere mai riunite in un unico luogo. Guido Reni dominava la pittura barocca in Europa, ma la sua arte è stata ingiustamente trascurata. Proprio questi aspetti guidano la mostra dimostrando perché invece Reni rappresenti uno dei pittori più celebri nell'Italia del XVII secolo”. Tra i masterpieces del percorso spiccano anche l'Assunzione della Vergine e Cristo alla colonna fresco di restauro. Il racconto espositivo intorno al visionario Reni si snoda in dieci capitoli cronologici, ciascuno dedicato a un tema, senza trascurare gli episodi cruciali della sua carriera rivelati nella biografia dello studioso bolognese Carlo Cesare Malvasia, pubblicata nel 1678. Se il primo capitolo accoglie le due versioni dell'Assunzione e Incoronazione della Vergine del Museo del Prado e della National Gallery di Londra, la complessa personalità del pittore emerge nella sezione di apertura sotto forma di ritratti. Le prime pale d'altare e i quadri devozionali, oltre a virtuosi disegni a gesso realizzati durante la frequentazione dell'Accademia dei Carracci, mostrano come Reni abbia forgiato un vocabolario visivo personalissimo unendo il tardo manierismo del fiammingo Calvaert, la pittura innovativa di Carracci e lo studio di artisti dell'Alto Rinascimento come Raffaello e Parmigianino.Guido Reni, Atalanta e Ippomene,1615-18 circa, Olio su tela, 297 x 206 cm, Madrid, Museo Nacional del Prado | Foto: © Museo Nacional del Prado, Madrid Il capolavoro di Reni Cristo alla Colonna dimostra l'influenza formativa di Caravaggio, maestro che il pittore incontrò a Roma dopo il suo trasferimento nel 1601. Si aggiungono al percorso la grande pala d'altare con il Martirio di Santa Caterina e David con la testa di Golia dove è forte l’influsso della scultura antica. Il ritorno a Bologna, nel 1614, dopo tredici anni di assenza, coincide con dipinti a mezza figura come Lot e le sue figlie in arrivo a Francoforte dalla National Gallery di Londra e la Conversione di Saulo. A svelare la “seconda maniera” di Reni, coincidente con la fine degli anni '20 del Seicento, quando la tavolozza del pittore diventa sempre più rarefatta, a conferire ai dipinti successivi uno splendore porcellanato fino ad allora sconosciuto, sono opere come la Visione di sant'Andrea Corsini dagli Uffizi e il Cristo sulla croce dalla Galleria Estense di Modena. Guido Reni, Maddalena Penitente, 1635 circa, Olio su tela, 74.3 x 90 cm, Baltimora, The Walters Art Museum | Foto: © The Walters Art Museum, BaltimoraGli ultimissimi anni della vita di Guido Reni forniscono uno spaccato affascinante del metodo di lavoro del pittore. Alcuni passaggi di queste opere, come Salomè con la testa di Giovanni Battista dal The Art Institute of Chicago rimangono simili a schizzi, dipinti deliberatamente eseguiti in modo superficiale dove il colore risulta semplicemente steso. Si tratta di lavori affascinanti che sanciscono un finale pittorico furioso nell’ultima fase artistica del divino Reni.

Il 26 novembre torna Studio in Triennale

NEWSLETTER Sit20224

Il tema di quest’anno si ricollega al titolo del numero 52, Ripensare tutto, in cui abbiamo cercato di raccontare come in questo momento storico ci sia bisogno di esplorare nuove idee. Dal 2012 Studio in Triennale è l’appuntamento dal vivo con i nostri di lettori per incontrarci, parlare, ascoltare, discutere. Il tema di quest’anno si … Continued

L’alfabeto Roth secondo Blake Bailey

lamento di portnoy

La biografia del grande scrittore americano è piena di storie e aneddoti, dalla a alla z.A come Aneddoti e Apparato Cominciamo da qui. Il mastodontico e travagliato tomo di Blake Bailey (Philip Roth. La biografia, Einaudi, traduzione di Norman Gobetti, pp. 1045, € 26) è inutile, cioè no, è pieno di cose interessanti, curiose, buffe. … Continued

La ritualità antica si riscrive a San Casciano dei Bagni. Bronzi straordinari riemergono dal fango

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Sono emersi dall’acqua calda della sorgente termo-minerale del Bagno Grande a San Casciano (Siena) dopo 2300 anni, restituendo i volti delle divinità venerate nel luogo sacro, assieme alle rappresentazioni degli organi e delle parti anatomiche, dalle mani ai polmoni, per i quali i devoti richiedevano l’intervento curativo della divinità attraverso l'acqua sacra.Il fango caldo ha protetto e restituito le effigi rassicuranti di Igea, dea della salute, e di Apollo, protettore delle arti mediche, e ancora insoliti ritratti accompagnati da iscrizioni che svelano talvolta nomi di inedite divinità oltre al motivo per il quale si chiedeva la grazia concedendo il bronzo in offerta.Una delle statue in bronzo rinvenute a San Casciano dei Bagni | Courtesy Ministero della CulturaÈ il sorprendente bilancio della straordinaria scoperta che ha visto riemergere dalle falde dei secoli 24 statue di bronzo in perfetto stato di conservazione, accanto a ex voto, oggetti della ritualità quotidiana e a cinquemila monete in oro, bronzo, argento. La maggior parte di questi capolavori dell’antichità si colloca tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C, un periodo storico di importanti trasformazioni nella Toscana antica che assiste alla fine della tradizione etrusca e al passaggio dal mondo etrusco a quello romano. A conferma di questo momento di transizione vissuto da una società ancora bilingue, in procinto di aprirsi verso un Mediterraneo che stava diventando progressivamente romano, sono le iscrizioni (ancora ben visibili) in etrusco e contemporaneamente in latino con i nomi di potenti famiglie del territorio dell’Etruria interna, dai Velimna di Perugia ai Marcni noti nell’agro senese. In quest’epoca di accesi contrasti tra Roma e le città etrusche, guerre sociali e lotte all’interno del tessuto sociale dell’Urbe, il santuario del Bagno Grande rappresentava un’oasi di pace, caratterizzato da un contesto multiculturale e plurilinguistico unico. Qui le nobili famiglie etrusche scelsero di dedicare le statue all’acqua sacra. Ecco perché la scoperta dei bronzi a San Casciano dei Bagni diventa un’occasione unica per riscrivere la dialettica tra etruschi e romani. Una delle 24 statue in bronzo rinvenute nel corso dello scavo a San Casciano dei Bagni | Courtesy Ministero della CulturaEd eccoli i bronzi arrivare fino a noi, rinvenuti nel corso della campagna di scavo al santuario etrusco-romano connesso all’antica vasca sacra della sorgente termo-minerale. Iniziato nel 2019, lo scavo, promosso dal ministero della Cultura e dal comune toscano con il coordinamento del professore Jacopo Tabolli dell’Università per Stranieri di Siena, ha condotto a questi nuovi straordinari ritrovamenti nelle prime settimane di ottobre. Una scoperta straordinaria che, come ha spiegato Tabolli, “riscriverà la storia e sulla quale sono già al lavoro oltre 60 esperti di tutto il mondo". Così, 50 anni dopo la scoperta dei Bronzi Riace, avvenuta nel 1972, la storia dell’antica statuaria in bronzo, questa volta di età etrusca e romana, torna a scriversi nel piccolo centro toscano che accoglie adesso il più grande deposito di statue in bronzo di età etrusca e romana mai scoperto nell’Italia antica e uno dei più significativi di tutto il Mediterraneo. E la scoperta risulta ancora più straordinaria se si considera che finora, di questa epoca, si conoscevano prevalentemente statue in terracotta. Alcuni dei bronzi rinvenuti nel corso dello scavo a San Casciano dei Bagni | Courtesy Ministero della Cultura“È la scoperta più importante dai Bronzi di Riace e certamente uno dei ritrovamenti di bronzi più significativi mai avvenuti nella storia del Mediterraneo antico”, commenta il direttore generale Musei, Massimo Osanna, che ha appena approvato l'acquisto del palazzo cinquecentesco che accoglierà, nel borgo di San Casciano, le meraviglie restituite dal Bagno Grande, un nuovo museo al quale andrà in futuro ad aggiungersi un vero e proprio parco archeologico. Infatti, come ha dichiarato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, “Lo studio e la valorizzazione di questo tesoro sarà un’ulteriore occasione per la crescita spirituale della nostra cultura e per il rilancio di territori meno noti al turismo internazionale, ma anche come volano per l’industria culturale della Nazione”. Due teste in bronzo rinvenute nel corso dello scavo a San Casciano dei Bagni | Courtesy Ministero della CulturaIl metodo usato in questo scavo è il frutto della collaborazione tra specialisti di diverse discipline, dagli architetti ai geologi, dagli archeobotanici agli esperti di epigrafia e numismatica. “La campagna di scavo che ho avuto l’onore e il piacere di dirigere sul campo per 14 settimane tra giugno e ottobre - commenta il direttore di scavo, Emanuele Mariotti - ha ottenuto risultati stupefacenti e in parte inaspettati. Bisogna notare come l’eccezionalità del contesto non derivi solo dalle stratigrafie fangose ma intatte all’interno della vasca, così ricche di tesori d’arte e numismatici, ma anche dall’architettura con cui fu concepito, in epoca primo-imperiale, il cuore del santuario, destinato a raccogliere le potenti acque calde della sorgente, oggi del Bagno Grande”. La scoperta è frutto di un lavoro di sinergia tra istituzioni che ha visto al centro la Soprintendenza per le povince di Siena e Grosseto, l’Università di Siena, e il Comune di San Casciano dei Bagni.Una delle statue in bronzo rinvenute nel corso dello scavo a San Casciano dei Bagni | Courtesy Ministero della Cultura

Mezze maniche infuocate

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Menù, il gusto della pace. In occasione del Natale l’azienda di Medolla presenta una serie di proposte culinarie ispirate allo street artist Banksy

Il Rinascimento di Bosch incanta Milano

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Onirico, visionario, immaginifico, Jheronimus Bosch è conosciuto in ogni angolo del globo e la sua fama travalica ampiamente i confini del mondo dell’arte. Eppure le opere che gli sono unanimemente attribuite sono molto poche, e riunirle in un unico luogo è stata finora un’impresa pressoché impossibile. Ci sono riusciti gli organizzatori della grande mostra presentata oggi a Palazzo Reale, a cura di Bernard Aikema, già professore di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Verona, Fernando Checa Cremades, docente di Storia dell’Arte all’Università Complutense di Madrid ed ex direttore del Museo del Prado, e Claudio Salsi, direttore Castello Sforzesco, Musei Archeologici e Musei Storici, nonché docente di storia dell’incisione presso l’Università Cattolica di Milano. Per trasformare il progetto in realtà sono stati necessari cinque anni e un imponente lavoro di ricerca e cooperazione culturale internazionale, frutto degli sforzi congiunti di Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Castello Sforzesco con 24 Ore Cultura. Il risultato è “una mostra unica per la potenza del racconto di un’intera epoca artistica e per l’importanza e la varietà dei confronti” presentati, spiegano gli organizzatori. Jheronimus Bosch, Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, 1500 circa. Olio su tavola. Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga © DGPC/Luísa OliveiraDal 9 novembre al 12 marzo 2023, circa 100 opere tracceranno il ritratto di un artista singolare e misterioso, sul quale gli esperti non hanno mai smesso di dibattere, e delle passioni che è riuscito ad accendere dal Cinquecento ad oggi, influenzando grandi maestri, attraendo prestigiosi collezionisti e dando vita a un gusto diffuso che autorizza a parlare di un vero e proprio “fenomeno Bosch”. L’affascinante tesi dei curatori è che il pittore fiammingo, così diverso dagli altri grandi artisti dell’Europa del suo tempo, sia l’emblema di un Rinascimento “alternativo”, lontano anni luce dagli ideali umanisti e classicisti del XV secolo, e dunque la prova dell’esistenza di una pluralità di Rinascimenti, ciascuno con proprie caratteristiche e un proprio centro di gravità. Altra ipotesi fondante è l’idea che il “fenomeno Bosch” non nasca nelle Fiandre, patria dell’artista, ma nel mondo mediterraneo, e precisamente tra la Spagna e l’Italia del Cinquecento. Bottega di Jheronimus Bosch, La visione di Tundalo, 1490-1525 circa. Olio su tavola. Madrid, Museo Lázaro Galdiano © Museo Lázaro Galdiano, MadridProprio per questo la mostra milanese non è una tradizionale monografica, bensì un dialogo fluido tra  le opere di Bosch e quelle di maestri fiamminghi, italiani e spagnoli, che evidenziano come “l’altro Rinascimento” abbia in seguito influenzato artisti di estrazioni diverse, da Tiziano a Raffaello, da Gerolamo Savoldo a El Greco. Lungo il percorso troviamo dipinti, sculture e incisioni, ma anche arazzi, volumi antichi e oggetti rari provenienti dalle wunderkammer di facoltosi collezionisti. Tra i capolavori di Bosch spicca il monumentale Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio del Museu Nacional d’Arte Antiga di Lisbona, mai stato esposto in Italia,che nel corso del Novecento ha lasciato il Portogallo soltanto due volte, mentre proviene dal Groeningenmuseum di Bruges il Trittico del Giudizio Finale, anticamente nelle collezioni del cardinale veneziano Marino Grimani. Altri prestiti straordinari sono arrivati dal Museo del Prado, dal e dal Museo Làzaro Galdiano di Madrid e dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Jheronimus Bosch, Le Tentazioni di Sant’Antonio, 1500 circa. Olio su tavola. Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga © DGPC/Luísa OliveiraSenza precedenti è l’esposizione dell’intero ciclo degli arazzi tratti dalle opere di Bosch, che accosta per la prima volta i quattro pezzi del Monastero dell’Escorial e il cartone del quinto arazzo andato perduto, conservato nelle collezioni delle Gallerie degli Uffizi: oggetti d’arte preziosissimi, autentici status symbol nell’Europa cinquecentesca, che oggi testimoniano la fortuna dell’artista fiamminghi presso i vertici dell’aristocrazia dell’epoca. Copia da Jheronimus Bosch, Scena con elefante, XVI secolo. Olio su tela. Firenze, Gallerie degli Uffizi © Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli UffiziLe incisioni, a partire da quelle di Pieter Bruegel il Vecchio, furono invece il medium principale grazie al quale l’immaginario fantastico e notturno di Bosch viaggiò lungo tutto il continente, e perfino oltre l’Atlantico. Nelle corti del XVI e XVII secolo, infine, il gusto bizzarro dell’artista fiammingo si accordò perfettamente con lo spirito delle wunderkammer: lo scopriremo nell’ultima sala di Bosch e un altro Rinascimento, allestita proprio come una camera delle meraviglie, dove oggetti rari e preziosi evocano le atmosfere del più celebre capolavoro di Bosch, il Trittico del Giardino delle Delizie. Manifattura di Bruxelles, Il giardino delle delizie, 1550-1570 circa. Arazzo. Madrid, Patrimonio Nacional, Palacio Real © Patrimonio Nacional, Madrid