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Siccità, Anbi: l’Italia non ha più grandi fiumi

anbi osservatorio risorse idriche siccita

È lapidario l’ultimo aggiornamento settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche: l’Italia non ha più grandi fiumi, assottigliati al nord a causa della siccità.
Come spiegano dall’Associazione che riunisce i consorzi di bonifica a livello nazionale, pur di fronte ad un contesto leggermente migliorato, resta largamente insufficiente la portata del Po, che permane abbondantemente sotto il minimo storico mensile nel tratto lombardo-emiliano toccando, nel rilevamento finale a Pontelagoscuro, la portata di 604,23 mc/s (inferiore di ben il 14% rispetto ai valori minimi del periodo). In Veneto, l'Adige scende al di sotto dei -4 metri sullo zero idrometrico – mai successo dal 2015 – mentre è inarrestabile in Lombardia il tracollo dell'Adda, le cui portate rimangono addirittura inferiori a quelle dell'anno scorso; sono in calo anche gli altri fiumi della regione, dove le riserve idriche erano inferiori sia alla media storica (-61%) che al siccitoso 2022 (-11%).
Nonostante i deflussi ridotti al minimo, anche il lago di Garda (riempimento: 37,9%) resta in grave crisi: da settimane staziona vicino al minimo storico.
In Toscana diminuiscono le portate dei fiumi Serchio, Arno, Sieve ed Ombrone; nelle Marche, quelle di Esino, Sentino e Potenza mentre, grazie allo scioglimento delle nevi, aumentano i volumi d'acqua trattenuti dalle dighe: oggi sono superiori di oltre 4 milioni di metri cubi a quanti ve ne fossero l'anno scorso.
Tende infine a migliorare la condizione idrica in Calabria, dove il mese di marzo si sta mostrando particolarmente umido nella provincia di Reggio Calabria dove, da inizio mese, i giorni piovosi sono stati una decina, arrivando a registrare cumulate fino a 140 millimetri.
«È pensabile risolvere il problema dissalando l'acqua del mare? Se parliamo di isole sì, sostituendo le obsolete e costosissime "bettoline" del mare – spiega Massimo Gargano, dg di Anbi – Molti dubbi, invece, se farlo nel resto del Paese, soprattutto avendo come riferimento nazioni prettamente desertiche, dove l'economia del petrolio finanzia abbondantemente tale pratica. I costi metterebbero fuori mercato il made in Italy agroalimentare, aumentando i costi dei prodotti sullo scaffale. Insieme all'efficientamento della rete idraulica ed all'ottimizzazione dell'utilizzo irriguo, non è più logico creare le condizioni per  trattenere e trasferire le acque di pioggia, migliorando al contempo l'ambiente attraverso una rete di laghetti multifunzionali ad iniziare dal riutilizzo delle migliaia di cave abbandonate?».
Senza dimenticare le soluzioni basate sulla natura percorribili, come ad esempio le “città spugna” o le Aree forestali d’infiltrazione per ricaricare le falde, e l’indispensabile necessità di contrastare la crisi climatica in corso – alla base della siccità che ha investito l’Italia – riducendo in modo rapido e deciso le emissioni di gas serra.
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Noleggio di attrezzature ecologiche: promuovere la sostenibilità sul cantiere

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Quello della sostenibilità ambientale è uno dei temi maggiormente discussi in questi mesi, e verosimilmente dei prossimi anni.
In tutto il mondo si vagliano possibilità di vivere e lavorare quanto più in sintonia con l’ambiente, ed anche il comparto delle costruzioni è interessato all’interno del dibattito.
Sono molte le tecnologie ed i materiali sostenibili che sono già presenti sul mercato e c'è una crescente sensibilità sul tema anche da parte degli organismi governativi.
Il ruolo delle singole aziende è fondamentale, in particolare in contesti produttivi e in edilizia in cui vengono emesse tonnellate di CO2.
Proprio questi settori sono chiamati a ridurre sensibilmente le emissioni, anche se questo può rappresentare un costo non indifferente.
Una delle pratiche che può contribuire ad una reale diminuzione delle emissioni, che già molte aziende edili hanno adottato, è ricorrere al noleggio dei macchinari e delle attrezzature da lavoro.
Il noleggio rientra infatti tra i concetti della sharing economy ed è quindi sostenibile per definizione. Già molte aziende che operano in settori diversi tra loro ne hanno compreso i vantaggi e hanno iniziato a noleggiare macchinari piuttosto che acquistarli.
Macchine movimento terra green e piattaforme aeree ecologiche sono rapidamente entrate a far parte di molti parchi noleggio, ricevendo un positivo riscontro da parte della clientela.
Le aziende di noleggio italiane, inseriscono continuamente macchinari e attrezzature nuove all’interno delle proprie flotte, dismettendo al contempo i modelli più obsoleti ed impattanti.
Le macchine che entrano nei parchi noleggio sono prodotte con le più moderne tecnologie, che le rendono più performanti e sostenibili.
Noleggiare questo tipo di attrezzature significa avere un impatto ambientale nettamente inferiore, dato che sul mercato si sono affermati motori termici Stage V e trazioni elettriche, mentre vi sono già i primi esperimenti con alimentazioni alternative.
Su queste macchine il centro noleggio effettua tutte le operazioni di manutenzione descritte dal manuale d’uso e manutenzione, al fine di preservarle nelle migliori condizioni di efficienza e sicurezza. A queste operazioni si aggiungono ispezioni accurate ogni volta che la macchina esce o rientra da un noleggio.
In questo modo si riduce sensibilmente il rischio di guasti o malfunzionamenti, che porterebbero la macchina a lavorare in modo inusuale o addirittura richiederebbero l’intervento dell’assistenza tecnica, che genera a sua volta emissioni.
La pratica di noleggio è inoltre sostenibile perché i macchinari noleggiati vengono usati mediamente di più rispetto a quelli di proprietà. Un maggior utilizzo consente alla macchina stessa di lavorare a pieno regime, oltre a fornire dati per un monitoraggio continuo delle sue corrette funzionalità.
Non solo i macchinari sono sostenibili, ma anche le procedure di noleggio. In un settore estremamente dinamico come quello del noleggio sono molte le aziende che hanno digitalizzato i propri processi fino ad arrivare a procedure di noleggio a carta zero.
È infatti possibile scegliere e prenotare il macchinario da noleggiare direttamente online, velocizzando l’intero procedimento, e alcuni noleggiatori hanno anche la possibilità di firmare digitalmente i contratti.
Noleggiare macchine e attrezzature ecologiche, oltre a perseguire fini di sostenibilità ambientale, consente anche di eseguire determinate lavorazioni in qualunque situazione.
Non è raro dover effettuare lavori di edilizia all’interno o in cantieri posti nelle gallerie dove c’è poca areazione. Capita di dover svolgere lavori con piattaforme aeree nei centri città o in orari notturni, con le amministrazioni comunali che sempre più spesso richiedono l’utilizzo di macchine green.
In questi casi noleggiare macchinari ecologici, magari elettrici, consente all’azienda di poter lavorare in qualsiasi ambiente e in qualsiasi orario senza generare emissioni di CO2 e minimizzando l’impatto del rumore.
Un trend che si fa sempre più consistente è quello che vede anche i clienti finali sempre più sensibili verso la tematica della sostenibilità.
Avere il maggior numero di cantieri sostenibili è una grande prerogativa per affrontare questa sfida, ed il contributo di aziende, noleggiatori e utilizzatori finali è fondamentale.
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Progetto Swam Akkar: un’iniziativa sostenibile per contrastare il problema dei rifiuti in Libano

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La maggior parte dei Comuni libanesi non è in grado di gestire i rifiuti solidi urbani in modo efficace a causa della mancanza di risorse finanziarie, tecniche e umane.
Il Governo e gli attori coinvolti nella gestione dei rifiuti non sono ancora riusciti a organizzare un sistema integrato per rispondere al problema della spazzatura in Libano. La pratica più comune nel Paese rimane dunque quella di scaricare i rifiuti in discariche informali a cielo aperto, presenti in tutto il territorio.
L’attuale sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani in Libano consiste in programmi non organizzati e costi di raccolta elevati, con una bassa percentuale di recupero dei rifiuti, e presenta dunque molti svantaggi. Campagne di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza e programmi di rafforzamento delle capacità e delle risorse per le amministrazioni comunali, che tengano in conto della crescita demografica dovuta alla crisi dei rifugiati siriani, potrebbero rappresentare una soluzione per migliorare la gestione dei rifiuti.
La maggior parte delle discariche informali a cielo aperto in Libano si trova nel nord del paese, nel dipartimento di Akkar, area fortemente caratterizzata da un ricorso allo sversamento dei rifiuti in natura, sia da parte della popolazione che delle Municipalità stesse.
Inoltre, Akkar ospita 300.000 degli oltre 1 milione di rifugiati siriani presenti in Libano, considerati tra i più poveri profughi nel Paese.
In questo contesto, il progetto Swam, finanziato da Aics e di cui Cospe è partner, si propone di contribuire allo sviluppo territoriale delle Municipalità in Akkar ed in particolare dell’Unione delle Municipalità di Jurd el Kaytee, nella quale vivono oltre 100.000 persone.
L’iniziativa vuole ridurre l’impatto ambientale causato dalla produzione e gestione dei rifiuti solidi urbani, aumentando l’efficienza dei servizi di raccolta, la differenziazione e lo smaltimento.
Tale obiettivo verrà ottenuto anche attraverso attività di sensibilizzazione e campagne informative rivolte a tutta la popolazione (libanese e rifugiata), sui temi della riduzione dei rifiuti e del loro impatto ambientale, della raccolta differenziata, della preservazione dell’ambiente e sulla presa di responsabilità da parte dei singoli cittadini.
Due azioni pilota di raccolta differenziata prenderanno il via nelle due Municipalità di Fneidek e Mish Mish, dove verranno rinforzate strutture già esistenti. Le due Municipalità in questione, infatti, già effettuano forme di differenziazione di materiali, tra cui plastica, carta e cartone, grazie a progetti finanziati in passato.
Il servizio verrà migliorato attraverso una razionalizzazione e sistematizzazione della raccolta, tramite l’istallazione su strada di isole ecologiche, con bidoni facilmente identificabili per famiglie e commercianti. Una maggiore sostenibilità del sistema verrà inoltre assicurata facilitando un recupero dei costi attraverso la rivendita dei materiali riciclabili, in un’ottica di economia circolare.
Questa iniziativa si affianca al progetto finanziato dall’Unione europea in corso nella località di Srar, per la creazione di una discarica regionale in Akkar, in cui verranno inviati anche i rifiuti indifferenziati dell’Unione di Jurd el Kaytee. Il progetto contribuirà a una maggiore longevità dell’impianto di Srar tramite un minor conferimento di materiali e un minor impatto dei costi di trasporto sul bilancio dell’Unione di Jurd el Kaytee.
Inoltre è stato definito un Piano regolatore per la gestione dei rifiuti solidi, attraverso un processo partecipativo durato 18 mesi, che ha coinvolto attivamente la popolazione delle municipalità e gli stakeholder istituzionali. Il lavoro che ha portato alla validazione del Piano regolatore ha permesso di identificare le necessità e rispondere ai bisogni della popolazione locale, realizzando proposte e scenari incentrati sui meccanismi di produzione dei rifiuti e la loro gestione.
Da questi interventi sarà possibile sviluppare ulteriori iniziative nel settore della gestione dei rifiuti, un problema di primaria necessità in Akkar e in Libano, esplorando la possibilità di replicabilità su altre aree del Paese.
di Edoardo Valentini, project manager Cospe in Libano, per greenreport.it
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Un comune dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi alle malattie

dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi

Secondo lo studio “The dietary sweetener sucralose is a negative modulator of T cell-mediated responses”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori britannici, tedeschi e canadesi guidato da  Fabio Zani e Julianna Blagih del p53 and Metabolism Laboratory del Francis Crick Institute  «Nei topi, un elevato consumo di un comune dolcificante artificiale, il sucralosio, riduce l'attivazione delle cellule T, un componente importante del sistema immunitario». I ricercatori sottllineano che «Se si scoprisse che ha effetti simili negli esseri umani, un giorno potrebbe essere usato terapeuticamente per aiutare a smorzare le risposte delle cellule T. Ad esempio, nei pazienti con malattie autoimmuni che soffrono di attivazione incontrollata delle cellule T».
Il sucralosio è un dolcificante artificiale, circa 600 volte più dolce dello zucchero, comunemente usato nelle bevande e negli alimenti. Come molti altri dolcificanti artificiali, gli effetti del sucralosio non sono ancora del tutto chiari, sebbene studi recenti abbiano dimostrato che il sucralosio può avere un impatto sulla salute umana influenzando il microbioma. Nel nuovo studio, finanziato da Cancer Research UK, i ricercatori hanno testato l'impatto del sucralosio sul sistema immunitario nei topi e spiegano che «I topi sono stati nutriti con sucralosio a livelli equivalenti all'assunzione giornaliera accettabile raccomandata dalle autorità europee e americane per la sicurezza alimentare. E’ importante sottolineare che, sebbene queste dosi siano raggiungibili, normalmente non sarebbero raggiunte da persone che consumano semplicemente cibi o bevande contenenti edulcoranti come parte di una dieta normale. I topi alimentati con diete contenenti alte dosi di sucralosio erano meno in grado di attivare le cellule T in risposta al cancro o alle infezioni. Nessun effetto è stato osservato su altri tipi di cellule immunitarie».
Studiando più dettagliatamente le cellule T, gli scienziati hanno scoperto che «Un'alta dose di sucralosio ha influito sul rilascio di calcio intracellulare in risposta alla stimolazione, e quindi ha smorzato la funzione delle cellule T».
I ricercatori ci tengono a tranquillizzare: «Questa ricerca non dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per coloro che vogliono assicurarsi di avere un sistema immunitario sano o riprendersi da una malattia, poiché gli esseri umani che consumano livelli normali o anche moderatamente elevati di sucralosio non sarebbero esposti ai livelli raggiunti in questo studio».
Invece, i ricercatori sperano che «I risultati possano portare a un nuovo modo di utilizzare dosi terapeutiche molto più elevate di sucralosio nei pazienti, basandosi sull'osservazione che quando ai topi con malattia autoimmune mediata da cellule T è stata somministrata una dieta ad alto dosaggio di sucralosio, questo ha contribuito a mitigare gli effetti dannosi delle loro cellule T iperattive».
L’autrice senior dello studio, Karen Vousden, principal group leader al Crick, conferma: «Speriamo di mettere insieme un quadro più ampio degli effetti della dieta sulla salute e sulle malattie, in modo che un giorno possiamo consigliare le diete più adatte a singoli pazienti, o trovare elementi della nostra dieta che i medici possono sfruttare per il trattamento.  Sono necessarie ulteriori ricerche e studi per vedere se questi effetti del sucralosio nei topi possono essere riprodotti negli esseri umani. Se questi risultati iniziali reggono nelle persone, un giorno potrebbero fornire un modo per limitare alcuni degli effetti dannosi delle condizioni autoimmuni».
Zani aggiunge: «Non vogliamo che le persone recepiscano il messaggio che il sucralosio è dannoso se consumato nel corso di una normale dieta equilibrata, dato che le dosi che abbiamo utilizzato nei topi sarebbero molto difficili da raggiungere senza intervento medico. L'impatto sul sistema immunitario che abbiamo osservato sembra reversibile e riteniamo che valga la pena studiare se il sucralosio possa essere utilizzato per migliorare condizioni come l'autoimmunità, specialmente nelle terapie combinatorie».
La Blagih, ora al Maisonneuve-Rosemont Hospital Research Centre dell’università di Montreal, evidenzia che «Abbiamo dimostrato che un dolcificante comunemente usato, il sucralosio, non è una molecola completamente inerte e abbiamo scoperto un effetto inaspettato sul sistema immunitario. Siamo ansiosi di esplorare se ci sono altri tipi di cellule o processi che sono influenzati in modo simile da questo dolcificante».
I ricercatori stanno continuando questo studio e sperano di poter eseguire test per verificare se il sucralosio ha un effetto simile negli esseri umani.
Karis Betts, responsabile senior informazioni sanitarie al Cancer Research UK, conclude: «Questo studio inizia a esplorare come alte dosi di sucralosio potrebbero essere potenzialmente utilizzate in nuove opzioni terapeutiche per i pazienti, ma è ancora agli inizi. I risultati di questo studio non mostrano effetti dannosi del sucralosio per l'uomo, quindi non è necessario pensare di ambiare la dieta per evitarlo».
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Capo Poro: nuova decisione del TAR a favore del Parco Nazionale Arcipelago Toscano

Faro Capo poro 1

Prosegue il contenzioso tra Parco Nazionale Arcipelago Toscano e SCAT S.r.l. su Capo Poro, nel Comune di Campo nell’Elba, dove Legambiente nei mesi scorsi aveva segnalato nuove recinzioni e chiusure di sentieri abusive in piana Zona B del Parco e in ZPS/ZSC, segnalazioni che avevano portato sia l’Ente Parco che il Comune di Campo nell’Elba ad avviare provvedimenti per ripristinare lo stato dei luoghi e la legge. Dopo si sono susseguiti ricorsi contro gli atti del Parco Nazionale.
Ora, in una nota l’Ente Parco fa il punto sulla sitazione e aggiorna sulle ultime novità: «Due giorni fa il Consiglio di Stato si era espresso sul ricorso che contestava al PNAT sia il nulla osta parziale con il quale era stata autorizzata l’esecuzione degli effettivi interventi di manutenzione straordinaria proposti, sia il diniego con il quale l’Ente Parco non aveva autorizzato né il cambio di destinazione d’uso degli edifici con finalità di attività turistica, né l’esecuzione di tutti quegli interventi che non rientrano nella manutenzione straordinaria, ma che sono da considerarsi quali interventi di ristrutturazione edilizia. In prima istanza il TAR Toscana aveva dato ragione al Parco, ma successivamente, appunto il 14 marzo scorso, il Consiglio di Stato ha emesso la sentenza per la quale, se da una parte SCAT S.r.l. ha ottenuto la eseguibilità dei lavori in quanto riconoscibili come manutenzione straordinaria (ma non ristrutturazione edilizia), dall’altra non ha invece avuto ragione sul cambio di destinazione d’uso degli immobili affinché diventassero patrimonio agricolo della SCAT S.r.l. e fossero quindi utilizzati per attività agrituristica».
Ieri è arrivata l’attesa nuova decisione del TAR Toscana che ha emesso l’ordinanza n. 95/2023 con la quale «Ha confermato il corretto operato dell’Ente Parco e ha respinto la domanda di sospensione degli atti emessi dal medesimo Ente».
All’Ente Parco ricordano che «A seguito della formalizzazione del Decreto 216/2022, con il quale il Ministero della Cultura aveva dichiarato l’interesse culturale relativo all’immobile denominato “Ex Batteria di Capo Poro”, tra dicembre 2022 e gennaio 2023 il Parco Nazionale aveva emesso atto di revoca del nulla osta rilasciato nel dicembre 2018 e specifica ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi per la rimozione e lo sgombero di tutti i materiali presenti all’interno del cantiere, la rimozione e il ripristino di tutte le recinzioni di cantiere presenti e il ripristino della deviazione realizzata del sentiero pedonale n. 139. A febbraio la SCAT S.r.l. aveva ricorso contro tali atti e aveva chiesto con la massima urgenza la trattazione della causa e la sospensione dei provvedimenti impugnati. Nella riunione di ieri il Collegio del tribunale amministrativo ha ritenuto legittimi i provvedimenti adottati dall’Ente Parco chiarendo che l’esigenza di garantire l’inaccessibilità dei fabbricati onde scongiurare possibili danni a terzi, invocata dalla ricorrente, non legittima la perimetrazione di un’area estesa e potrà essere soddisfatta, se del caso, mediante l’impiego di recinzioni poste a ridosso delle singole costruzioni».
L’Ente  Parco conclude: «In virtù della nuova decisione del TAR i lavori restano bloccati e la SCAT S.r.l. dovrà procedere al ripristino dello stato dei luoghi».
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Tecnologie verdi: mercato in crescita e aumenta il gap tecnologico dei Paesi in via di sviluppo

Tecnologie verdi

Le tecnologie verdi - quelle utilizzate per produrre beni e servizi con una minore impronta di carbonio - sono in crescita e offrono crescenti opportunità economiche ma, a meno che i governi nazionali e la comunità internazionale non intraprendano un'azione decisiva, queste opportunità potrebbero essere perse da molti Paesi in via di sviluppo.
E’ l’allarme lanciato dal Technology and Innovation Report 2023 dell'United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) che avverte che «Le disuguaglianze economiche rischiano di aumentare man mano che i Paesi sviluppati raccolgono la maggior parte dei benefici delle tecnologie verdi come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose e i veicoli elettrici».
Presentando il nuovo rapporto, la segretaria generale dell'UNCTAD, Rebeca Grynspan, ha ricordato che «Siamo all'inizio di una rivoluzione tecnologica basata sulle tecnologie verdi. Questa nuova ondata di cambiamento tecnologico avrà un impatto formidabile sull'economia globale. I Paesi in via di sviluppo devono ottenere una parte maggiore del valore creato in questa rivoluzione tecnologica per far crescere le loro economie. Perdere questa ondata tecnologica a causa di un'insufficiente attenzione politica o della mancanza di investimenti mirati nella costruzione di capacità avrebbe implicazioni negative di lunga durata».
L'UNCTAD stima che le 17 tecnologie di frontiera trattate nel rapporto potrebbero creare un mercato di oltre 9,5 trilioni di dollari entro il 2030, circa 3 volte la dimensione attuale dell'economia indiana. Ma finora le economie sviluppate stanno cogliendo la maggior parte delle opportunità, lasciando ancora più indietro le economie in via di sviluppo. Il rapporto evidenzia che «Le esportazioni totali di tecnologie verdi dai Paesi sviluppati sono passate da circa 60 miliardi di dollari nel 2018 a oltre 156 miliardi di dollari nel 2021. Nello stesso periodo, le esportazioni dai Paesi in via di sviluppo sono aumentate da 57 miliardi di dollari a solo circa 75 miliardi di dollari. In tre anni, la quota di esportazioni globali dei Paesi in via di sviluppo è scesa da oltre il 48% a meno del 33%».
Secondo l’UNCTAD, «Le tecnologie di frontiera verdi, come i veicoli elettrici, l'energia solare ed eolica e l'idrogeno verde, nel 2030 dovrebbero raggiungere un valore di mercato di 2,1 trilioni di dollari, 4 volte superiore al loro valore attuale. I ricavi del mercato dei veicoli elettrici potrebbero aumentare di 5 volte per raggiungere 824 miliardi di dollari entro il 2030, rispetto al valore attuale di 163 miliardi di dollari».
L'analisi UNCTAD di mostra che «I Paesi in via di sviluppo devono agire rapidamente per beneficiare di questa opportunità e passare a una traiettoria di sviluppo che porti a economie più diversificate, produttive e competitive. Le precedenti rivoluzioni tecnologiche hanno dimostrato che i primi utenti possono andare avanti più rapidamente e creare vantaggi duraturi».
Il rapporto include anche il “frontier technology readiness index" che mostra che pochissimi Paesi in via di sviluppo hanno le capacità necessarie per trarre vantaggio dalle tecnologie di frontiera che includono blockchain, droni, editing genetico, nanotecnologia ed energia solare. L'index classifica 166 Paesi in base a indicatori ICT, competenze, ricerca e sviluppo, capacità industriale e finanza ed è dominato dalle economie ad alto reddito, nei primi 10 posti del Frontier technologies readiness index 2023 ci sono: Stati Uniti, Svezia, Singapore, Svizzera, Paesi Bassi, Corea del sud, Germania, Finlandia, Hong Kong (Cina), Belgio. L’Italia è 25esima nel, nel 2021 era 24esima.
Anche se i paesi in via di sviluppo siano i meno preparati a utilizzare le tecnologie di frontiera, diverse economie asiatiche  hanno apportato importanti cambiamenti politici che hanno consentito loro di ottenere risultati migliori del previsto in base al loro PIL pro capite: l'India resta il Paese asiatico con la migliore performance, classificandosi a 67 posizioni meglio del previsto, seguita dalle Filippine (54 posizioni meglio) e dal Vietnam (44 meglio).
L'indice mostra che i paesi dell'America Latina, dei Caraibi e dell'Africa subsahariana sono i meno pronti a sfruttare le tecnologie di frontiera e rischiano di perdere le attuali opportunità tecnologiche. A chiudere la classifica sono 8 Paesi africani e 2 asiatici: ultimo è il Sud Sudan al 166esimo posto, preceduto da Guinea Bissau, Afghanistan, Sudan, Repubblica democratica del Congo, Sierra Leone, Gambia, Yemen, Burundi e Guinea. Si tratta quasi sempre di Paesi dove abbondano le risorse naturali e minerarie che sostengono le tecnologie versi, ma anche dove scarseggiano i pannelli solari e abbondano i Kalashnikov.
Shamika N. Sirimanne, direttrice della divisione tecnologia e logistica dell'UNCTAD, ha sottolineato che «Per trarre vantaggio dalla rivoluzione della tecnologia verde, nei Paesi in via di sviluppo sono necessarie politiche industriali, innovative ed energetiche proattive mirate alle tecnologie verdi. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di agency and urgency per trovare le giuste risposte politiche. Mentre i Paesi in via di sviluppo rispondono alle odierne urgenti crisi interconnesse, devono anche intraprendere azioni strategiche a lungo termine per costruire innovazione e capacità tecnologiche per stimolare una crescita economica sostenibile e aumentare la loro resilienza alle crisi future».
Per questo l’'UNCTAD invita i governi dei paesi in via di sviluppo ad «Allineare le politiche ambientali, scientifiche, tecnologiche, innovative e industriali» e li esorta a «Dare priorità agli investimenti in settori più verdi e più complessi, a fornire incentivi per spostare la domanda dei consumatori verso beni più green  a stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo». Inoltre, «I paesi in via di sviluppo dovrebbero  rafforzare urgentemente le competenze tecniche e aumentare gli investimenti nelle infrastrutture TIC, colmando i divari di connettività tra piccole e grandi imprese e tra regioni urbane e rurali».
Un compito che va probabilmente oltre le forze di molti Paesi in via di sviluppo (per non parlare di quelli meno sviluppati) che non possono trarre vantaggio dalle tecnologie verdi da soli. Il rapporto UNCTAD ribadisce che «Gran parte del successo delle loro politiche interne dipenderà dalla cooperazione globale attraverso il commercio internazionale, che richiederebbe riforme delle regole commerciali esistenti per garantire la coerenza con l'Accordo di Parigi per affrontare il cambiamento climatico. Le regole del commercio internazionale dovrebbero consentire ai Paesi in via di sviluppo di proteggere le industrie verdi emergenti attraverso tariffe, sussidi e appalti pubblici, in modo che non solo soddisfino la domanda locale, ma raggiungano anche le economie di scala che rendono le esportazioni più competitive.
E’ fondamentale anche il sostegno internazionale per trasferire le tecnologie verdi ai Paesi in via di sviluppo. Il rapporto propone «L'applicazione dei principi che sono stati invocati contro la pandemia di COVID-19, quando ad alcuni Paesi è stato consentito di produrre e fornire vaccini senza il consenso del titolare del brevetto. Questo ffrirebbe ai produttori dei Paesi in via di sviluppo un accesso più rapido alle principali tecnologie verdi. Il commercio internazionale e le relative norme sulla proprietà intellettuale dovrebbero fornire maggiore flessibilità ai Paesi in via di sviluppo per mettere in atto politiche industriali e di innovazione per alimentare le loro industrie nascenti in modo che possano emergere nuovi settori della tecnologia verde».
Il rapporto si conclude chiedendo «Un programma internazionale di acquisto garantito di prodotti green commerciabili, la ricerca coordinata sulle tecnologie verdi a livello multinazionale, un maggiore sostegno ai centri regionali di eccellenza per le tecnologie verdi e l'innovazione e un fondo multilaterale per stimolare le innovazioni green e rafforzare la cooperazione tra Paesi».
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Panspermia: Origine Vita e Ricerca Extraterrestre

Panspermie batteri

Introduzione alla Panspermia La panspermia è una teoria affascinante che suggerisce che la vita sulla Terra possa avere avuto origine altrove nell’universo. Secondo questa ipotesi, gli elementi costitutivi della vita, come molecole organiche e microrganismi, sarebbero stati trasportati attraverso lo spazio su meteoriti e comete, fino a raggiungere il nostro pianeta. In questo articolo esploreremo […]
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La Commissione Ue avvia la caccia alle materie prime critiche e strategiche

materie prime critiche commissione ue

Con il suo Net-zero industry act, presentato oggi, la Commissione Ue punta a produrre sul territorio europeo almeno il 40% delle tecnologie verdi che usa annualmente: per questo però serve (anche) un approvvigionamento adeguato di materie prime, motivo per cui da Bruxelles è arrivata una nuova proposta legislativa denominata Critical raw materials act.
Le cosiddette “materie prime critiche” sono così definite in ragione del rischio circa la loro effettiva disponibilità e per la loro rilevanza sulle attività economiche, non solo green; dal loro impiego passa infatti il 32% del Pil italiano, come recentemente documentato dall’Enea.
Dall’antimonio al vanadio, sono 34 le materie prime definite come critiche nella proposta europea, cui per la prima volta si affianca anche una più compatta lista di 16 materie prime ribattezzate strategiche in virtù della loro rilevanza per le filiere industriali essenziali come quelle di energie rinnovabili, economia digitale, operazioni spaziali e comparto della difesa.
L’intera iniziativa parte da una consapevolezza di fondo: «L'Ue non sarà mai autosufficiente nell'approvvigionamento di tali materie prime e continuerà a dipendere dalle importazioni per la maggior parte del suo consumo». Per evitare di ricadere in una trappola geopolitica simile a quella dei combustibili fossili, che hanno legato a doppio filo l’economia europea con fornitori poco affidabili e per niente sostenibili – basti guardare alla Russia – occorre dunque diversificare le forniture, riciclare e aprire nuove miniere su suolo europeo.
Ad oggi invece l’Ue spesso si approvvigiona di materie prime critiche per oltre il 90% da un unico fornitore, in genere la Cina. Ad esempio arriva dal Paese asiatico il 97% del magnesio consumato in Europa o il 100% delle terre rare usate per i magneti permanenti; il 63% del cobalto globale è estratto in Congo e raffinato per il 60% in Cina, mentre arriva dal Sudafrica il 71% del platino e dalla Turchia il 98% del borato. Livelli comprensibilmente ritenuti non sostenibili.
Per questo la proposta legislativa prevede che non più del 65% di qualsivoglia materia prima strategica possa arrivare da un Paese terzo rispetto all’Ue; in compenso, entro il 2030 dovrà essere interno all’Unione europea almeno il 10% dell’estrazione mineraria, il 15% del riciclo e il 40% della trasformazione di tali materie prime.
«Questa legge – spiega la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – ci avvicinerà alle nostre ambizioni climatiche. Migliorerà in modo significativo la raffinazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime critiche qui in Europa.  E stiamo rafforzando la nostra cooperazione con partner commerciali affidabili a livello globale, per ridurre le attuali dipendenze dell'Ue solo da uno o pochi Paesi».
Per raggiungere questi obiettivi, oltre a sviluppare partenariati commerciali strategici, Bruxelles propone di ridurre gli oneri amministrativi e semplificare le procedure autorizzativi dei progetti industriali che nasceranno su suolo europeo: quelli che verranno individuati come strategici dovranno concludersi entro 24 mesi (nel caso di nuove miniere) o 12 mesi (per raffinazione e riciclo), mentre tutti gli Stati membri saranno chiamati a sviluppare programmi nazionali per l’esplorazione delle proprie risorse minerarie.
Al contempo, gli Stati membri dovranno adottare e attuare anche misure nazionali per migliorare la raccolta dei rifiuti ricchi di materie prime critiche e garantirne il riciclo, ma anche esaminare il potenziale di recupero dai rifiuti di estrazione delle attuali o passate attività minerarie. Il tutto mantenendo elevati standard di tutela ambientale e sociale.
«Il miglioramento della sicurezza e dell'accessibilità delle forniture di materie prime critiche deve andare di pari passo – sottolineano dalla Commissione – con maggiori sforzi per mitigare eventuali impatti negativi, sia all'interno dell'Ue che nei Paesi terzi, per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, diritti umani e tutela dell'ambiente».
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Si amplia la dirigenza della nuova Multiutility della Toscana

dirigenza multiutility toscana

La Multiutility della Toscana, sbocciata a gennaio dalla fusione per incorporazione in Alia di Acqua toscana, Consiag e Publiservizi, dopo aver nominato il proprio cda sta proseguendo nella definizione delle figure dirigenziali: oggi sono stati annunciati due nuovi ingressi.
Si tratta di Simonetta Iarlori, come direttrice del settore Risorse umane e Organizzazione, e di Demetrio Mauro, scelto per ricoprire la carica di direttore finanziario; in entrambi i casi si tratta di professionisti con già una solida esperienza alle spalle nei rispettivi ambiti di competenza.
Iarlori, laureata in fisica teorica, ha iniziato la sua carriera come ricercatrice ma arriva adesso dall’esperienza di Chief People organization & Trasformation officer di Leonardo, preceduta da quella di Chief Operating officer in Cassa depositi e prestiti.
Mauro, invece, si è formato in finanza internazionale alla Luiss di Roma e alla Columbia University di New York, maturando poi nel ruolo di Cfo all’interno di Acea; ad oggi è anche docente in risk management and compliance nell’ambito del master in Corporate finance alla Luiss.
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Net-zero industry act, l’Ue punta a produrre in casa il 40% delle tecnologie verdi

net zero industria ue

Nell’ambito del piano industriale per il Green deal, la Commissione Ue ha proposto oggi il Net-zero industry act: l’obiettivo è produrre su suolo europeo, entro il 2030, almeno il 40% del fabbisogno annuo di tecnologie utili alla neutralità climatica.
È il tentativo con cui l’Ue prova a rispondere sia al predominio della Cina in quest’ambito – ad oggi la Cina rappresenta il 90% degli investimenti globali in impianti di produzione di tecnologie net-zero –, sia all’Inflaction reduction act statunitense, con cui l’amministrazione Biden ha stanziato 370 mld di dollari per finanziare la produzione di tecnologie verdi.
«Abbiamo bisogno di un contesto normativo che ci consenta di accelerare rapidamente la transizione verso l'energia pulita – spiega la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – Il Net-zero industry act farà proprio questo. Creerà le migliori condizioni per quei settori che sono cruciali per noi per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050».
Più nel dettaglio, la proposta di legge sostiene in particolare otto tecnologie definendole come strategiche: solare fotovoltaico e termico; eolico onshore e fonti rinnovabili offshore; batterie e accumulatori; pompe di calore e geotermia; elettrolizzatori e celle a combustibile; biogas e biometano; cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs), su cui punta anche l’Ipcc nonostante le perplessità degli ambientalisti e di alcuni scienziati; tecnologie per le reti elettriche. Tra quelle non strategiche, ma comunque supportate dalla proposta di legge, rientrano anche le “tecnologie avanzate per produrre energia nucleare”.
In concreto, tra le principali misure inserite nella proposta legislativa figura in primis la riduzione degli oneri amministrativi per il rilascio delle autorizzazioni impiantistiche: gli Stati membri sono chiamati a istituire sportelli che fungano da punti di contatto unici con l’amministrazione pubblica per i promotori dei progetti industriali, e vincoli temporali stringenti (12 mesi per gli impianti con produzioni entro 1 GW e 18 mesi per taglie superiori, che diventano rispettivamente 9 e 12 mesi se si parla di tecnologie strategiche).
Ma non basta incrementare la capacità produttiva, occorre anche avere una forza lavoro adeguatamente formata per lavorare negli impianti: per questo la proposta prevede la creazione di Net-zero industry academies per favorire la creazione di un’occupazione di qualità nell’ambito della green economy.
In ogni caso, quella di oggi rappresenta solo una prima proposta da parte della Commissione Ue: adesso l'iter legislativo prevede l'esame da parte del Parlamento e del Consiglio Ue prima di arrivare alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale e dunque all'entrata in vigore.
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