Abbiamo un problema non solo col greenwashing, ma anche con il suo esatto contrario: il greenhushing
In un’epoca in cui certificazioni, comunicazioni, obiettivi e progetti fanno quasi sempre il paio con il termine orami conosciutissimo di “greenwashing” (ossia quel dilagante ambientalismo di facciata che abbiamo imparato a conoscere bene), si rischia di sortire l’effetto inverso: cominciare a tacere sulle proprie azioni e sui propri obiettivi di sostenibilità per non cadere vittime...
Da “to hush”, ossia mettere a tacere. Se il greenwashing dà adito a falsi chiacchiericci e ad affermazioni fuorvianti sulla sostenibilità delle aziende, ora il “greenhushing” è piuttosto l’inverso: non comunico nulla per timore che venga accusato di fare ambientalismo di facciata. Un cane che si morde la coda a discapito di tutti
In un’epoca in cui certificazioni, comunicazioni, obiettivi e progetti fanno quasi sempre il paio con il termine orami conosciutissimo di “greenwashing” (ossia quel dilagante ambientalismo di facciata che abbiamo imparato a conoscere bene), si rischia di sortire l’effetto inverso: cominciare a tacere sulle proprie azioni e sui propri obiettivi di sostenibilità per non cadere vittime di false accuse.
È il cosiddetto “greenhushing”, o “silenzio verde” o “eco-silence”, ed è la tendenza che stanno prendendo molte delle aziende realmente attente all’ambiente a non comunicare le proprie iniziative in ambito ecologico, onde evitare di esporsi al giudizio dell’opinione pubblica, ma anche dei clienti e degli investitori, tutelandosi da possibili procedimenti legali.
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