Musk e l’arte di bruciare 44 miliardi in 10 lezioni
“ChiudeTwitter”, “TwitterDown”, “RIPtwitter”, “TwitterMigration”, “TwitterTakeover”: a tre settimane dall’acquisto di Twitter da parte del tecno-miliardario sudafricano Elon Musk, sono questi alcuni degli hashtag di tendenza sulla piattaforma di micro-blogging, travolta da una gestione caotica che ha visto fuggire dipendenti e inserzionisti (o forse il contrario).
Dai licenziamenti di Meta al crollo di FTX, passando per i problemi di Amazon, molte grandi piattaforme tecnologiche sembrano attraversare un momento difficile. Quello che distingue Twitter è che a scatenare la crisi non è stata la stretta monetaria della Fed ma l’entrata a gamba a tesa in ogni aspetto della vita aziendale di Musk, che dopo un’altalena di molti mesi e una causa l’ha acquistata per 44 miliardi di dollari (più 2,5 di costi di closing). Il prezzo record è stato finanziato dallo stesso Musk (4 miliardi di dollari in azioni Tesla, più contanti dalla vendita di altre quote), investitori privati (compresi Larry Ellison e Alwaleed bin Talal, per un totale 7.1 miliardi di dollari) e banche (13 miliardi di dollari, alle quali Twitter deve ora interessi per un miliardo l’anno).
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