
Poteva essere un quartiere, è diventato un bosco: un giorno al festival Insostenibile per raccontare chi preferisce la terra al profitto
C’è un suono che non fa rumore nelle nostre coscienze. Eppure, ha un ritmo frenetico, compulsivo, inesorabile, e divora il futuro un pezzetto alla volta. È il consumo di suolo: due metri quadrati al secondo, in Italia. Due metri quadrati che spariscono sotto asfalto e cemento mentre bevo un caffè, mentre leggo una mail, mentre...
C’è un suono che non fa rumore nelle nostre coscienze. Eppure, ha un ritmo frenetico, compulsivo, inesorabile, e divora il futuro un pezzetto alla volta. È il consumo di suolo: due metri quadrati al secondo, in Italia. Due metri quadrati che spariscono sotto asfalto e cemento mentre bevo un caffè, mentre leggo una mail, mentre respiro.
È con questo pensiero che ascolto l’intervento di Paolo Pileri, professore al Politecnico di Milano, alla Picasso Food Forest di Parma, prima tappa di una giornata dedicata alle “Scelte”, tema portante del festival Insostenibile. La scelta, oggi, è netta: stare dalla parte del suolo.
@Luca Fantuzzi
La Food Forest è un piccolo miracolo di disobbedienza urbana. Dove prima c’era un prato infragilito dagli interventi umani, ora si distende, espandendosi naturalmente, un ecosistema brulicante, un parco pubblico commestibile nato dall’iniziativa di cittadini parmensi. Più di trecento specie di piante, un laghetto per la biodiversità, strati vegetativi che si aiutano a vicenda. È un’oasi, certo, ma è anche un presidio. Ce lo ricorda Francesca Riolo, una delle anime del progetto, raccontandoci di una rotatoria che minaccia
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