7 settembre: anniversario della nascita di Gioacchino Belli

Il 7 settembre 1791 nasce Gioacchino Belli, a Roma, in via dei Redentoristi 13, angolo con via Monterone 76, nel rione Sant’Eustachio il “poeta de Roma” che, con i suoi 2279 sonetti scritti in dialetto romanesco, raccontò la miseria della plebe, l’ignavia dell’aristocrazia, la corruzione e il cinismo del potere.

Ma è la Roma dei Papi tra Sette e Ottocento, tra Rivoluzione Francese e Unità d’Italia la vera protagonista dei suoi versi.

Ci sono destini legati sin da prima della nascita. La vita può dividerli ma le circostanze continueranno a porli sulla stessa strada. Titti e Silvestro, Tom e Jerry, Stanlio e Ollio, Totò e Peppino.

Come sarebbe stata la nostra infanzia senza il loro odio/amore di sempre?
Come probabilmente sarebbe oggi il nostro giudizio su Giovanni Maria Mastai Ferretti nel quale Gioacchino Belli identificò la figura dell’antagonista perfetto, costruita magistralmente, sonetto dopo sonetto, grazie a uno spirito d’osservazione acuto e brillante e a una satira irriverente: grazie ai suoi scritti, abbiamo oggi la rara opportunità di studiare le reazioni e i commenti del popolo di allora, comprendendo  il motivo per cui questo pontefice fosse nel contempo ammirato e temuto.

I nostri due antagonisti, come già anticipato, rispondevano ai nomi di Giovanni Maria Mastai Ferretti e Giuseppe Gioachino Belli. Praticamente coetanei, nati rispettivamente nel 1792, e nel 1791, percorsero cammini differenti lungo la stessa strada: una qualsiasi nel centro di Roma.
Il Mastai Ferretti fu eletto Papa nel conclave del giugno 1846, malgrado l’essere stato osteggiato fino all’ultimo da un’ Austria potente ed invadente; arrivò persino ad inviare a Roma un anziano cardinal Von Gaisruck nel tentativo di bloccare l’elezione. La storia ci insegna che arrivò senza dubbio troppo tardi, precisamente a conclave concluso.

i sonetti di giuseppe gioachino belli 6844

Il cardinale Mastai Ferretti faceva paura a molti e la causa va senza dubbio rintracciata nelle posizioni liberali manifestate in più occasioni e soprattutto durante i moti del 1831. Un episodio che più di altri allarmò fu quando, delegato straordinario a Spoleto e Rieti, trattò un accordo fra gli insorti e le truppe pontificie, impedendo un massacro a Spoleto e concedendo un lasciapassare ai liberali che avevano deposto le armi. Tentava di portare fede e speranza nei giovani cuori rivoluzionari?

Difficile dirlo, però il Belli, la cui fede è alquanto dubbia, si dimostrò pronto nel lasciarsi stupire da fatti come questo ed in breve lasciò che il suo animo venisse pervaso da una nuova vibrazione foriera di cambiamenti inattesi, una nuova vibrazione che sembrava finalmente allineare rivoluzione e cristianità.

Nulla di poi così strano, in fondo erano i tempi del risorgimento, e il liberale Gioacchino condivideva con tanti liberali e rivoluzionari italiani l’euforia per l’elezione di Pio IX, un pontefice relativamente giovane, che sembra iscriversi perfettamente nel solco di quei mutamenti che di lì a breve avrebbero cambiato il volto della Penisola.
Proprio lui: “Er papa novo”

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gioacchino belli

Che cce faressi? è un gusto mio, fratello:
su li gusti, lo sai, nun ce se sputa.
Sto papa che cc’è mmó rride, saluta,
è ggiovene, è a la mano, è bbono, è bbello…

Eppuro, er genio mio, si nun ze muta,
sta ppiú pp’er papa morto, poverello!:
nun fuss’antro pe avé mess’in castello,
senza pietà, cquella gginía futtuta.

Poi, ve pare da papa, a sto paese,
er dà ccontro a pprelati e a ccardinali,
e l’usscí a ppiede e er risegà le spese?

Guarda la su’ cuscina e er rifettorio:
sò ppropio un pianto. Ah cqueli bbravi ssciali,
quele bbelle maggnate de Grigorio!

Cosa fa er Papa? Eh ttrinca, fa la nanna,
Taffia, pijja er caffè, sta a la finestra,
Se svaria, se scrapiccia, se scapestra,
E ttiè Rroma pe ccammera-locanna.

Lui, nun avenno fijji, nun z’affanna
A ddirigge e accordà bbene l’orchestra;
Perché, a la peggio, l’ùrtima minestra
Sarà ssempre de quello che ccommanna.

Lui l’aria, l’acqua, er zole, er vino, er pane,
Li crede robba sua: È tutto mio;
Come a sto monno nun ce fussi un cane.

E cquasi quasi goderìa sto tomo
De restà ssolo, come stava Iddio
Avanti de creà ll’angeli e ll’omo.

Giacchino Belli, 9 ottobre 1835

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