18 maggio 1939: nasce Giovanni Falcone

“Gli uomini passano, ma le idee restano: continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.” Un pensiero di Giovanni Falcone, nato il 18 maggio 1939.

Per ricordarlo, citiamo un brano tratto da “Demoni e sangue “, un testo di denuncia delle mafie, scritto da Francesco Saverio Coppola.
“Stanno preparando il vestito buono per la festa. Passeranno la notte a lustrarsi le piume. E domani, l’uno dopo l’altro, correranno da una parte all’altra della penisola cercando i riflettori della tv, il microfono dei giornalisti…tutti loro, gli assassini di Giovanni Falcone…saranno proprio quelli che ne celebreranno la memoria. Firmandola.

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Sottoscrivendola. Faranno a gara per raccontarci come combattere ciò che loro proteggono. Spiegheranno l’immensa eredità di un magistrato coraggioso.”.

La Giornata nazionale della legalità viene celebrata il 23 maggio, data in cui si verificò nel 1992 la strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo (anche lei magistrato) e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Sabato 23 maggio ricorrerà il ventinovesimo anniversario della strage di Capaci.
In quel caldo 23 maggio del 1992, il giudice Falcone stava tornando da Roma, come faceva solitamente nel fine settimana, insieme alla moglie Francesca Morvillo.
Partito da Ciampino intorno alle 16.45, atterrò all’aeroporto Punta Raisi di Palermo dopo un volo di 53 minuti.

Qui trovò ad attenderlo tre Fiat Croma blindate con la scorta. Falcone si mise alla guida della Croma bianca.
In auto con lui c’erano  la moglie e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

La macchina di Falcone era preceduta da una Croma marrone, con gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, e seguita da una Croma azzurra con gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.

Le auto imboccarono l’autostrada, dirette verso Palermo. Alle 17.58, al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, il sicario Giovanni Brusca azionò una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada.

Soprannominato «u verru» ( il maiale) e scannacristiani, Giovanni Brusca, figlio di Bernardo, è cresciuto a “pane e mafia”. Lui stesso in seguito si raccontò così: «Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo che aveva 13 anni quando fu rapito e 15 quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre 150 delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento».

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” Gli uomini passano,  ma le idee restano. Continueranno a camminare con le gambe di altri uomini.” diceva Giovanni Falcone.

Dalla strage di Capaci e di via D’Amelio (in cui perse la vita Paolo Borsellino) si è sviluppato un movimento di reazione civile prezioso contro la mafia che ha ottenuto risultati importanti, ma che richiede ulteriori impegni,  soprattutto ora, in un momento così difficile per l’intera nazione.

La libertà, il rispetto, l’uguaglianza, devono essere valori non negoziabili. Le mafie sono forti quando domina il silenzio.

L’educazione alla legalità deve  costituire il principio fondante dell’intera struttura sociale.

Con l’emergenza Coronavirus e l’impoverimento del tessuto socio-economico, in molte realtà del nostro Paese, il pericolo di un rafforzamento del sistema criminale è purtroppo sempre più realistico. Spaccio di stupefacenti, riciclo di denaro, gestione appalti, prestiti usurai e finanza occulta sono alcune delle attività con cui la malavita prospera, approfittando anche dell’impiego di molte unità operative delle forze dell’ordine.

Ma non dobbiamo permetterlo, anche in nome di Giovanni Falcone!

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