‘Summer Job’ è l’ennesimo reality che non ci meritavamo
E anche il primo di Netflix. Tra reddito di cittadinanza (o quasi) e fancazzismo adolescenziale, l’unica che si salva è Matilde Gioli, all’esordio da conduttrice. Sul resto, meglio tacere
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Non bastavano Isole, Case, Collegi, Pupe, Secchioni e Caserme. No. Adesso ci si mette pure Netflix. Dal 16 dicembre è sbarcato sulla piattaforma Summer Job, l’“atteso” (ma da chi?) primo reality show italiano della piattaforma, prodotto da Banijay Italia. Un format, bisogna ammetterlo, davvero molto bello: sì, bello, se solo fosse arrivato in un’altra epoca storica. Il problema del programma sta infatti tutto qui: non negli inevitabili paragoni con Il collegio (poi comunque ci arriviamo) o nei déjà-vu in stile Riccanza, ma nello strutturale anacronismo ontologico del format.
Partiamo dalla mera messa in onda. Summer Job è arrivato a dicembre (dicembre!), col freddo, in piena fase panico-da-regali-di-Natale. E di cosa parla? Di dieci ragazzi che partono per una, pur fittizia, vacanza da sogno in un’isola paradisiaca in Messico. Riviera dei Maya, per essere precisi, che non è esattamente come dire Riccione. Capite bene che non può funzionare: noi siamo qui, sul divano, a dividere l’uvetta dai canditi del panettone, e loro girano in pareo e costume da bagno su spiagge dorate, morendo di caldo e facendo bagni a qualsiasi ora del
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