Quanto poco abbiamo capito Siniša Mihajlović (spoiler: pochissimo)
Un’immagina sbagliata, quella del “guerriero”. O meglio: magari giusta, ma solo fino ad un certo punto. Sì perché, nel ricordare Siniša Mihajlović, assurdamente scomparso a solo 53 anni, ancora nel pieno della sua carriera di allenatore e, soprattutto, del suo entusiasmo verso la vita, questa definizione è praticamente ubiqua. Già è parzialmente tossica la narrazione per cui contro certe malattie si “combatta”, come a dire che chi muore non è stato bravo abbastanza, anche se possiamo capire la buonafede di molti nell’esprimersi in questo modo. Il problema è che quando si usano termini bellici attorno alla figura di Mihajlović, si maneggia una materia molto ma molto rischiosa.
Senza tanti giri di parole: soprattutto a sinistra, sono state dette imbarazzanti stronzate o per lo meno inesattezze – a livello di sferzanti giudizi morali in primis – su di lui. È nazionalista, è fascista, è razzista; è guerrafondaio, è un violento, è un maschilista. E le supposte prove di queste affermazioni venivano pescate in un rosario che andava dalla amicizia mai rinnegata con Arkan (uno dei più spregevoli, crudeli, feroci figuri abbia mai
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