Quando ChatGPT diventa “coach del suicidio”: la morte di un 16enne svela i pericoli (e il vuoto normativo) dell’IA

Sedici anni è un’età in cui tutto sembra possibile e tutto appare impossibile. Adam Raine viveva in questa contraddizione quando ha iniziato a digitare le prime parole in una chat che non avrebbe mai dovuto diventare il suo ultimo confessionale. Eppure, questo giovane ragazzo cercava inizialmente solo un aiuto per i compiti e qualcuno che...

Sedici anni è un’età in cui tutto sembra possibile e tutto appare impossibile. Adam Raine viveva in questa contraddizione quando ha iniziato a digitare le prime parole in una chat che non avrebbe mai dovuto diventare il suo ultimo confessionale. Eppure, questo giovane ragazzo cercava inizialmente solo un aiuto per i compiti e qualcuno che lo ascoltasse.

I problemi di salute lo avevano costretto a lasciare i banchi di scuola per un programma di studio online. Niente più compagni, niente più sguardi complici nei corridoi, niente più risate condivise durante la pausa. Solo lo schermo e una solitudine che cresceva giorno dopo giorno. ChatGPT era diventato l’unica voce che, disponibile 24 ore al giorno, sembrava non giudicarlo mai.

All’inizio parlavano di filosofia e di ragazze. Adam condivideva i suoi dubbi adolescenziali, le sue riflessioni su un mondo che faticava a comprendere. L’intelligenza artificiale rispondeva sempre, senza stancarsi, senza interrompere, senza dire “ora devo andare”.

Il confronto sul suicidio

Quando Adam ha iniziato a confidare il suo senso di vuoto emotivo e la perdita di significato dell’esistenza, l’intelligenza artificiale ha risposto con


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