Luciano Bianciardi, cent’anni dopo
Ha saputo raccontare l'industria culturale del nostro Paese come pochi e visse di contraddizioni con le quali lottò lungo tutto l'arco della sua carriera. Per ripercorrere la sua opera e celebrarla nel centenario della nascita, abbiamo provato a mettere in ordine i suoi romanzi, dal peggiore (si fa per dire) al migliore
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Ricorre oggi il centenario della nascita di Luciano Bianciardi, uno scrittore che ha saputo raccontare come pochi l’industria culturale del nostro paese, mettendo in evidenza le contraddizioni e le difficoltà di chi decide di lavorarci, o almeno ci prova.
Nato a Grosseto il 14 dicembre del 1922, visse egli stesso di contraddizioni con le quali lottò per tutta la sua carriera. Come ricorda Francesco Piccolo nella prefazione alla Trilogia della rabbia (Feltrinelli), volume che raccoglie Il lavoro culturale, L’integrazione e La vita agra, dopo il successo di quest’ultimo romanzo si trovò ad aver scritto un libro contro la borghesia e a essere invitato come una star a tutti gli appuntamenti mondani. «Anziché mandarmi via da Milano a calci nel culo come meritavo, mi invitano a casa loro» scrisse in una lettera all’amico Mario Terrosi.
Indro Montanelli gli offrì trecentomila lire per due pezzi al mese sul Corriere della Sera. Era una cifra che Bianciardi, da traduttore freelance (ma allora non si diceva così) non sarebbe riuscito a mettere insieme nemmeno lavorando giorno e notte. Eppure rifiutò, proseguendo in quello che chiamava “il
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