La questione Qatar: il boicottaggio di facciata

La violazione dei diritti umani e delle libertà individuali nel Paese va monitorata e condannata, ma il calcio è anche un'occasione per far entrare i giornalisti di tutto il mondo e documentare quello che succede

Questo articolo è pubblicato sul numero 48 di Vanity Fair in edicola fino al 29 novembre 2022

I morti si suppone siano più di 6.000. Erano persone arrivate in Qatar per stare alle calcagna di un futuro migliore, venivano da Paesi in cui il futuro non è più disponibile: Bangladesh, Nepal eccetera. Si sono sacrificati per un sogno di altri, il mondiale di calcio più bizzarro di sempre, un circo miliardario piantato sopra a un deserto otturato di gas naturale e dollari. Da quando nel 2010 la FIFA consegnò la Coppa del Mondo a Doha – a sorpresa e grazie a manovre poco lecite ora documentate – la campagna contro la monarchia non ha avuto soste. Nelle ultime settimane le chiamate al boicottaggio dei mondiali sono sbocciate ovunque, da Fiorello ad Amnesty International. Di fatto, demolire il Qatar e il suo governo assolutista è una pratica che rinfranca lo spirito, ma tradisce un’ipocrisia occidentale di fondo. Chiariamo subito, il Qatar è colpevole di violazioni di diritti umani e di svariate libertà individuali. Eppure, grazie al mondiale e all’attenzione che ne è


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