Elogio del vincolo esterno (cui si è giustamente piegata Meloni)
Ero molto più giovane e più di oggi incline all’idealismo. Chiesi a Francesco Cossiga cosa avesse spinto la classe dirigente italiana dei primi anni Novanta ad aderire senza riserve né pubblico dibattito al Patto di Maastricht e alle conseguenti limitazioni della sovranità nazionale. “La sfiducia nel carattere degli italiani – fu la risposta, serafica, del […]
Ero molto più giovane e più di oggi incline all’idealismo. Chiesi a Francesco Cossiga cosa avesse spinto la classe dirigente italiana dei primi anni Novanta ad aderire senza riserve né pubblico dibattito al Patto di Maastricht e alle conseguenti limitazioni della sovranità nazionale. “La sfiducia nel carattere degli italiani – fu la risposta, serafica, del presidente emerito della Repubblica -. Cioè la consapevolezza che la virtù contabile non ci appartiene e che, pertanto, il male minore per l’Italia fosse quello d’essere obbligata alla moralità politica e alla morigeratezza economica da un vincolo esterno. Il vincolo europeo”. Rabbrividii. Crescendo, e maturando esperienza, compresi che, per quanto amaro, quel ragionamento era fondato.
Ne abbiamo avuto la prova in queste ore. Giorgia Meloni, e con lei il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, si sono in effetti piegati al “vincolo esterno europeo”. Ed è stato un bene per tutti, di sicuro per l’Italia. Senza la necessità di ottemperare a quel “vincolo” onorando gli impegni presi, necessità ancor più evidente e conveniente in epoca di Pnrr, Dio solo sa cosa sarebbe stato della manovra
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