Con Falvella morimmo pure noi – Marcello Veneziani

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C’era un ragazzo che come me era di destra, militava nella gioventù missina, era del sud, aveva gli occhiali e studiava filosofia. Era il 7 luglio di cinquant’anni fa quando fu barbaramente ucciso nella sua città, a Salerno. Si chiamava Carlo Falvella, non aveva vent’anni, una faccia pulita e uno sguardo velato ma pieno di sogni. Per noi ragazzi di destra del sud era il nostro Sergio Ramelli; il manifesto con la sua faccia d’angelo campeggiò a lungo nella nostra sezione del Fronte della gioventù. “La vita come un arco, l’anima come una freccia”…

Era uno di noi, caduto per le stesse idee e ideali per cui noi davamo l’anima, senza chiedere nulla in cambio. La fila di quei nomi scorre nella mente e a malapena mi trattengo dal recitare quel rosario vivente di ragazzi uccisi a cui nessun sito ufficiale dedicò “la meglio gioventù”. A quegli anni e a quel clima dedica invece il suo romanzo il cantautore Enrico Ruggeri, Un gioco da ragazzi (La Nave di Teseo); nella trasfigurazione romanzesca fanno capolino storie vere come quella di “Sergio”.

Falvella fu ucciso da un anarchico armato di coltello che se la cavò con pochi anni di condanna, ancor meno effettivamente scontati, sostenuto dal Soccorso Rosso, da Lotta Continua e dalla grancassa della sinistra e dei soliti firmatari. Ma non è del barbaro delitto che vorrei parlare e nemmeno del ricordo con rabbia di quel clima, di quegli anni, di quella trentina di vittime di destra e di quanti infami sostenevano che “uccidere un fascista non è reato”. Troppe volte si sono raccontate queste storie, almeno dalle nostri parti, si sono ripetute a vuoto denunce e recriminazioni; troppe volte sono servite per rinfocolare la rabbia e la vendetta, o per rafforzare

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