
Come superare l’atavica tendenza a dire “no” nell’amministrazione pubblica
Resiste ancora, nell’amministrazione pubblica italiana, una sottocultura che – di fronte a tante questioni – cerca in prima battuta una ragione per dire NO? Si, resiste. Non dappertutto, non sempre, ma resiste. Una sottocultura non giustificabile, ma comprensibile: dire NO è in genere più semplice, e, concretando la scelta più conservativa possibile, espone chi deve prendere […]
Resiste ancora, nell’amministrazione pubblica italiana, una sottocultura che – di fronte a tante questioni – cerca in prima battuta una ragione per dire NO? Si, resiste. Non dappertutto, non sempre, ma resiste.
Una sottocultura non giustificabile, ma comprensibile: dire NO è in genere più semplice, e, concretando la scelta più conservativa possibile, espone chi deve prendere una decisione al rischio minore.
Non si vuole con questo dire che vanno al contrario ricercate le ragioni per dire SI a ogni costo. Anche questo, ovviamente, non va bene.
Si vuole qui più semplicemente ribadire che ciò che occorre è un atteggiamento neutrale della PA, nel senso di privo di pregiudizi, o anche, soltanto di pulsioni verso scorciatoie di comodo.
Del resto è oggi sempre più evidente, almeno per quanto riguarda i processi autorizzatori, che l’istanza iniziale del privato rappresenta essenzialmente un punto di partenza di una vicenda che – attraverso la partecipazione e l’apporto di istituzioni, dal lato del pubblico, e di portatori di interessi (compresi i controinteressati, naturalmente), dal lato del privato – di rado trova sbocco ed esito in un
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