Colonialismo, integrazione e banlieue: no, Francia–Marocco non è una partita come le altre
Quando una ex colonia affronta la Francia non è mai solo calcio: è il riflesso di una politica sociale fallimentare e del desiderio di rivalsa di un’intera generazione
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Il percorso del Marocco in questo Mondiale è stato appassionante, non soltanto per il gioco mostrato sul campo, ma anche per il destino delle squadre che ha incontrato: Belgio, Spagna, Portogallo e ora Francia. Tutte, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con la colonizzazione del Paese magrebino. Il Belgio, affrontato nei gironi, non ha mai formalmente colonizzato il Marocco, ma ha fatto parte degli amministratori occidentali della cosiddetta area internazionale di Tangeri, dal 1923 fino all’indipendenza del Marocco nel 1956. Poi c’è stata la Spagna ai quarti, che si è spartita il Marocco con Parigi nel 1912, occupando una parte nord del Paese magrebino – ancora oggi ricordiamo che le enclavi di Ceuta e Melilla sono spagnole – e una fascia meridionale verso il Sahara. E poi è arrivato il Portogallo agli ottavi. In pochi si ricordano che, all’inizio del suo processo coloniale, il Regno del Portogallo nel 1415 occupò Ceuta e, nei cento anni successivi, diverse città costiere marocchine fino a circa la metà del XVII secolo, quando le popolazioni autoctone sono riuscite a cacciare
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