Categoria Attualità

In Trentino Alto Adige trend negativi per le nevicate negli ultimi 40 anni

Nevicate trentino

Lo studio “Diverging snowfall trends across months and elevation in the northeastern Italian Alps”, pubblicato sull’International Journal of Climatology da Giacomo Bertoldi, Michele Bozzoli e Alice Crespi di Eurac Research  e da Michael Matiu, Lorenzo Giovannini, Dino Zardi e Bruno Majone dell’università di Trento, ha collezionato i dati storici sulle precipitazioni nevose delle Provincie autonome di Bolzano e Tren to e  dell’associazione Meteo Trentino Alto Adige e li ha interpretati in base a fasce di quota e ad altri parametri climatici e «I risultati delle analisi mostrano come in generale i trend delle nevicate dal 1980 al 2020 sono diffusamente negativi in tutto il Trentino Alto Adige, con picchi fino a meno 75%. I dati più negativi si registrano a inizio e fine stagione; solo nel cuore dell’inverno, tra gennaio e febbraio, e attorno 2.000 metri di quota, le nevicate sono stabili o addirittura in crescita in poche stazioni di misurazione come quelle dei passi Rolle e Tonale, che registrano un aumento attorno al 15%. Nei fondovalle la mancanza di neve, pur non danneggiando direttamente l’economia dello sci, ha comunque cambiato del tutto la percezione dell’inverno. Ovunque si registra un aumento delle temperature medie, con picchi fino a 3 gradi».
;Ma anche i pochi casi di trend positivi delle nevicate, a quote attorno o superiori ai 2.000 metri, sono da ricondurre al fatto che, nonostante un aumento della temperatura, è ancora sufficientemente freddo perché le precipitazioni avvengano sottoforma di neve.  «Per esempio – evidenziano i ricercatori - anche se ai passi Rolle e Tonale le temperature sono cresciute in media rispettivamente di circa 1,5 e 2,3 gradi, l’aumento delle precipitazioni ha portato a un aumento dell’accumulo di neve fresca rispettivamente del 16 e 17%».
Tra il 1980 e il 2020 la neve fresca accumulata per stagione, cioè la somma dei centimetri di neve che cadono tra ottobre e aprile, è diminuita del 75% nella città di Bolzano e del 46%  a Trento. Ma se nei capoluoghi di provincia la mancanza di neve è sotto gli occhi di tutti oramai da anni – tanto che le rare nevicate occupano spesso le prime pagine dei giornali – a preoccupare di più i ricercatori sono i numeri negativi di altre località.  Bertoldi e Bozzoli sottolineano che «A San Candido le nevicate sono diminuite del 26%, a Andalo del 21%  e a Rabbi del 29%. L’impatto visivo è meno forte perché parliamo di posti dove l’accumulo medio di neve fresca rimane comunque sopra il metro, ma queste diminuzioni hanno conseguenze gravi per le falde acquifere, la disponibilità di acqua e dunque tutte le attività umane che ne hanno bisogno».
Per i ricercatori è colpa del cambiamento climatico: «L’aumento medio della temperatura nelle 18 stazioni che abbiamo selezionato è di 1,54 gradi. Per il caldo le precipitazioni rimangono perlopiù sottoforma liquida, soprattutto alle quote più basse, perché non c’è abbastanza freddo per trasformarsi in neve».
Bertoldi  conclude: «Infatti, il bilancio totale delle precipitazioni stagionali in 40 anni non è negativo: «Anzi, ovunque sono aumentate, ma per lo più sottoforma di pioggia, e questo aspetto è solo parzialmente rassicurante. Infatti, anche se statisticamente non sembrano aumentare gli inverni secchi come questo o il precedente – e questo è indispensabile per avere abbastanza acqua – il passaggio da neve a pioggia ha conseguenze negative non solo per le attività sciistiche. La neve è fondamentale perché protegge i ghiacciai e il terreno ostacolando l’evaporazione e, sciogliendosi lentamente in primavera, ricostituisce gradualmente le riserve di acqua. Senza neve il rischio siccità è maggiore».
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Indagine internazionale: massiccia contaminazione da Pfas in Italia

Pfas

Dopo la diffusione dell’inchiesta giornalistica The Forever Pollution Project sulla contaminazione da Pfas (Sostanze perfluoroalchiliche note anche come “inquinanti eterni”) in numerosi Paesi europei, che in Italia ha coinvolto Radar Magazine e Le Scienze, Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, sottolinea che «Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili».
L’inchiesta ha rivelato l’esistenza in Europa di più di 17.000  siti contaminati ai quali se ne aggiungono altri 21.000 nei quali è possibile la presenza di Pfas a causa di attività industriali in corso o passate, e 2.100 hotspot, luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute.  Greenpeace fa notare che «La mappa italiana rivela elevati livelli di inquinamento non solo in alcune aree del Veneto, già tristemente note per essere uno degli epicentri europei dell’emergenza Pfas, ma toccano anche alcune zone del Piemonte, limitrofe allo stabilimento della Solvay specializzato proprio nella produzione di Pfas, della Lombardia e della Toscana. Questo quadro potrebbe essere ben più grave considerando che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari».
All'inizio di marzo, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato la bozza di proposta per vietare a livello comunitario la produzione e l'uso di migliaia di Pfas, avviando un processo necessario per fermare la contaminazione di questi inquinanti eterni. Tra le nazioni promotrici del divieto figurano Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia, ma non l’Italia. Greenpeace, insieme a oltre 100 organizzazioni della società civile europee, è promotrice del Ban Pfas Manifesto che chiede la messa al bando di queste pericolose sostanze.
Gli ambientalisti sottolineano che «Proprio ieri l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti ha proposto l’introduzione di limiti estremamente cautelativi riguardo la presenza di sei molecole appartenenti al gruppo dei Pfas nell’acqua potabile. Per due di questi composti, Pfoa e Pfos, la cui pericolosità per la salute è nota considerata la loro classificazione come possibili cancerogeni, l’autorità americana ha proposto come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza».
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Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale

sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale

Secondo il rapporto “Europe and Central Asia – Regional Overview of Food Security and Nutrition 2022” pubblicato da Fao, International Fund for Agricultural Development (IFAD), Unicef, United Nations Development Programme (UNDP), United Nations Economic Commission for Europe (UNECE), World Food Programme (WFP); Regional Office for Europe dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e World metorological organization (Wmo), «In Europa e Asia centrale, la pandemia Covid-19 tutt’ora in corso e la guerra in Ucraina mettono in pericolo la sicurezza alimentare e il diritto a un’alimentazione sana. I prezzi dei generi alimentari sono saliti alle stelle, rendendo difficoltoso per i responsabili delle decisioni garantire l’obiettivo di non lasciare indietro nessuno». Ma il rapporto evidenzia anche che «I dati e le tendenze degli ultimi anni tratteggiano un quadro della sicurezza alimentare e della nutrizione perlopiù incoraggiante in Europa e Asia centrale. In generale, la regione versa in condizioni migliori rispetto ad altre aree del mondo, benché siano necessari miglioramenti per evitare battute d’arresto».
Il rapporto elaborato dalle 8 agenzie Onu fornisce indicazioni preziose per aiutare a far fronte a questa situazione e contiene informazioni e analisi aggiornate sui trend a livello regionale e sui progressi compiuti verso il conseguimento dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) “Fame zero”. Inoltre, riporta studi sulla definizione di «Quadri strategici che consentano di favorire l’accesso a un’alimentazione sana e di rendere i sistemi agroalimentari più sostenibili dal punto di vista ambientale nella regione di Europa e Asia centrale».
Le agenzie Onu sottolineano che «Avvalendosi dei dati e delle raccomandazioni contenuti nel rapporto, i paesi dovrebbero essere nelle condizioni di fornire assistenza ai piccoli agricoltori, alle comunità rurali e a tutti gli attori della filiera alimentare, nonché di sostenere le fasce povere e vulnerabili della popolazione tramite programmi olistici, secondo quanto previsto negli SDG. Come per le precedenti edizioni della Rassegna regionale della sicurezza alimentare e della nutrizione in Europa e Asia centrale, ci auguriamo che il rapporto fornisca conoscenze e riscontri preziosi e contribuisca a individuare alternative per un dialogo consapevole e un'azione concertata da parte di tutti i partner, in un contesto di piena collaborazione, tesa ad accelerare i progressi verso l’obiettivo della fame zero e dell’accesso a un’alimentazione sana in Europa e Asia centrale».
Il rapporto evidenzia che «La prevalenza della sottoalimentazione nel mondo è salita al 9,9% nel 2020 e, da allora, non ha smesso di crescere, mentre negli oltre 50 Paesi dell’Europa e dell’Asia centrale la media è rimasta al di sotto del 2,5% negli ultimi anni. Inoltre, sebbene in alcune zone della regione (Caucaso, Asia centrale e Balcani occidentali) la porzione di popolazione classificata come sottonutrita sia in aumento, e non si prevedano inversioni di rotta, la media regionale dovrebbe attestarsi al di sotto del 2,5%».
Dopo un brusco rialzo nel 2020, la prevalenza regionale dell’insicurezza alimentare moderata o grave è tornata a salire dall’11,% nel 2020 al 12,4% nel 2021, un dato che  secondo il rapporto «Riflette un deterioramento della situazione per le persone che si trovano in gravi difficoltà a causa della pandemia Covid-19. Nel complesso, nel 2021, circa 116,3 milioni di persone, nella regione, versavano in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave; di queste, 25,5 milioni sono stati segnalati in soli due anni. Il numero delle persone vittime dell’insicurezza alimentare grave, ossia che non hanno regolarmente accesso a una quantità sufficiente di cibo nutriente, ha subito un’accelerata, aumentando di oltre 13 milioni dal 2019 al 2021».
Il dato positivo è che in Europa e Asia centrale,  «I ritardi della crescita (un basso rapporto tra età e altezza) e il deperimento (causato da un apporto insufficiente di nutrienti all’organismo) interessano, rispettivamente, il 7,3% e l’1,9% dei bambini di età inferiore ai 5 anni, mentre, nel resto del mondo, tali condizioni colpiscono un numero di bambini tre volte maggiore».
Ma nella regione Europa e Asia centrale «Il sovrappeso e l’obesità continuano a essere fenomeni allarmanti, sia tra bambini che tra gli adulti, con dati superiori alla media globale». E il rapporto avverte che «A causa del rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari, il costo di un’alimentazione sana è aumentato in quasi tutti i paesi dell’Europa e dell’Asia centrale. Nonostante ciò, ad eccezione di alcuni Paesi, la maggior parte della popolazione della regione (approssimativamente il 96,4%) ha potuto permettersi un’alimentazione sana, rispetto alla media del 58% della popolazione mondiale nel 2020. Alcuni Paesi importatori netti e a basso e medio reddito della regione (tra cui Armenia, Kirghizistan e Tagikistan) hanno una percentuale molto alta di popolazione (oltre il 40%) che non può permettersi una dieta sana».
Il rapporto ricorda che «I Paesi della regione si caratterizzano per livelli di sviluppo diversi, così come diverso è il sostegno finanziario che essi assicurano al settore alimentare e agricolo. Inoltre, la maggior parte di questi paesi, soprattutto quelli a medio reddito, sono stati particolarmente colpiti dalle criticità emerse di recente, a livello regionale e globale, e non possono fare affidamento su maggiori capacità di investimento nei sistemi agroalimentari, come ricetta per superare la crisi».
Per questo le agenzie Onu evidenziano che «Occorre rimodulare le politiche alimentari e agricole, in modo da renderle più adatte ad affrontare la “triplice sfida” a cui sono attualmente esposti i sistemi agroalimentari, vale a dire potenziare l'accesso a un’alimentazione sana, garantire mezzi di sostentamento migliori agli agricoltori e promuovere la sostenibilità ambientale. Per conseguire questo traguardo, non sarà sufficiente offrire incentivi fiscali ai singoli agricoltori, ma occorrerà ottimizzare i servizi generali, con interventi mirati nei settori della ricerca e dello sviluppo agricoli e dell’istruzione, con misure di espansione, con azioni di controllo di parassiti e malattie, con l’adozione di sistemi pubblici di controllo della sicurezza alimentare, nonché con la promozione di un'agricoltura climaticamente intelligente e di tecnologie e pratiche più efficienti in termini di emissioni».
Secondo il rapporto, «Ripensando le attuali strutture di sostegno agricolo, sarà possibile incoraggiare anche il consumo di alimenti sani, primi fra tutti frutta, ortaggi e legumi. Nel definire il quadro per lo sviluppo di sistemi agroalimentari più sani, sostenibili, equi ed efficienti, non sarà, tuttavia, sufficiente limitarsi alle politiche agricole. Per avere azioni di rimodulazione degli obiettivi capaci di incidere nella regione, occorrerà, invece, ampliare lo spettro, fino a includere anche politiche complementari nel campo della sanità, della protezione sociale, del commercio e dell'ambiente. Soprattutto per quanto concerne la sostenibilità ambientale e una maggiore riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, i responsabili delle decisioni dovranno pensare in maniera olistica e facilitare l’applicazione di tecnologie e pratiche basate sulla scienza, climaticamente intelligenti ed efficienti dal punto di vista energetico lungo tutta la filiera agroalimentare».
Il rapporto conclude: «Per avere successo, è fondamentale che tutti questi interventi tengano conto, in particolare, delle circostanze locali e rispettino il principio della partecipazione».
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