Categoria Ambiente

Condizioni meteorologiche estreme: Early Warnings For All entra in azione

Early Warnings For All
Il recente ciclone Freddy, che ha battuto ogni record di durata devastando una grande area tre Madagascar, Mozambico, Malawi e Zimbabwe, ha dimostrato ancora una volta l'importanza fondamentale delle allerte meteorologiche precoci  per salvare vite e mezzi di sussistenza da eventi meteorologici e climatici sempre più estremi. Early Warnings For All, un'iniziativa globale per garantire che, entro il 2027, tutti sulla Terra siano protetti da allerte meteorologiche precoci sta per essere messa rapidamente in azione sul campo.  Per aiutare questo lavoro, il 21 marzo il Segretario generale dell’Onu António Guterres ha convocato un gruppo consultivo di leader di agenzie delle Nazioni Unite, banche multilaterali di sviluppo, organizzazioni umanitarie, società civile, assicurazioni e società IT con l'obiettivo di avere una maggiore influenza politica, tecnologica e finanziaria per garantire che  Early Warnings for All diventi una realtà per tutti, ovunque. La World meteorological organization (WMO) informa che «Nei mesi a venire vedranno intensificare l'azione coordinata, inizialmente in 30 Paesi particolarmente a rischio, compresi i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati. Si prevede l'aggiunta di altri Paesi man mano che questo lavoro vitale con i partner aumenterà ritmo, dimensioni e le risorse. Allo stesso tempo, le azioni e le iniziative esistenti delle Nazioni Unite per salvare vite umane e mezzi di sussistenza e costruire la resilienza in un'ampia gamma di altri Paesi continueranno e saranno rafforzate, assicurando che la campagna Early Warnings for All trasformi i suoi impegni in realtà salvavita sul terreno per milioni di persone tra le più vulnerabili. L'obiettivo non è reinventare la ruota, ma piuttosto promuovere la collaborazione e le sinergie e sfruttare il potere dei telefoni cellulari e delle comunicazioni di massa». Guterres ha sottolineato: «Ora è il momento per noi di fornire risultati. Milioni di vite sono in bilico, è inaccettabile che i Paesi e i popoli che hanno contribuito meno a creare la crisi stiano pagando i prezzi più alti. Le persone che vivono in Africa, Asia meridionale, America meridionale e centrale e piccoli Stati insulari hanno 15 volte più probabilità di morire a causa di disastri climatici. Queste morti sono prevenibili. Le prove sono chiare: i sistemi di allerta precoce sono una delle misure più efficaci di riduzione del rischio e di adattamento al clima per ridurre la mortalità e le perdite economiche in caso di calamità». Occorre che la comunità internazionale agisca urgentemente perché negli ultimi 50 anni, il numero di disastri registrati è aumentato di 5 volte, a causa in gran parte dal cambiamento climatico indotto dall'uomo che sta sovraccaricando il nostro clima. Questa tendenza dovrebbe continuare. Se non viene intrapresa nessuna azione, si prevede che entro il 2030 il numero di eventi disastri di media o grande scala raggiungerà i 560 all'anno, 1,5 al giorno. Il verificarsi di condizioni meteorologiche avverse e gli effetti del cambiamento climatico aumenteranno la difficoltà, l'incertezza e la complessità degli sforzi di risposta alle emergenze in tutto il mondo. La metà dei Paesi del mondo non dispone di adeguati sistemi di allerta precoce e ancora meno dispone di quadri normativi per collegare gli allarmi precoci ai piani di emergenza e il segretario generale della WMO, of. Petteri Taalas ha ricordato che «Le inondazioni senza precedenti in Mozambico, Malawi e Madagascar causate dal ciclone tropicale Freddy evidenziano ancora una volta che il clima e le precipitazioni stanno diventando più estremi e che i rischi legati all'acqua sono in aumento. Le aree più colpite hanno ricevuto mesi di pioggia nel giro di pochi giorni e gli impatti socio-economici sono catastrofici. Preavvisi accurati combinati con una gestione coordinata dei disastri sul campo hanno impedito che il bilancio delle vittime aumentasse ancora di più. Ma possiamo fare ancora meglio ed è per questo che l'iniziativa Early Warnings for All è la massima priorità per la WMO. Oltre a evitare danni, i servizi meteorologici, climatici e idrologici sono economicamente vantaggiosi per l'agricoltura, i trasporti aerei, marittimi e terrestri, l'energia, la salute, il turismo e varie attività commerciali». WMO e United Nations Office for Disaster Risk Reduction (UNDRR) sono i leader dell'iniziativa Early Warnings for All, insieme all'International Telecommunication Union (ITU) ae all’International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies (IFRC) e Mami Mizutori, rappresentante speciale dell’UNDRR ha evidenziato che «L'operatività di questa iniziativa è un chiaro esempio di come il Sistema delle Nazioni Unite e i suoi partner possono lavorare insieme per salvare vite umane e proteggere i mezzi di sussistenza dai disastri. I sistemi di allerta precoce inclusivi e multi-rischio che chiudono l'"ultimo miglio" sono tra i migliori metodi di riduzione del rischio di fronte ai pericoli legati al clima e ai pericoli geofisici come gli tsunami. Raggiungere questo obiettivo non è solo un chiaro obiettivo nel Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, ma anche un imperativo morale». I sistemi di allerta precoce sono ampiamente riconosciuti come “il frutto maturo” e a portata di mano per l'adattamento ai cambiamenti climatici perché sono un modo relativamente economico ed efficace per proteggere le persone e i beni dai pericoli, tra cui tempeste, inondazioni, ondate di caldo e tsunami. La WMO fa notare che «I sistemi di allerta precoce forniscono un ritorno sull'investimento più che decuplicato. Solo 24 ore di preavviso di un evento pericoloso imminente possono ridurre del 30% i danni che ne derivano. La Global Commission on Adaptation ha scoperto che spendere solo 800 milioni di dollari per tali sistemi nei Paesi in via di sviluppo eviterebbe perdite da 3 a 16 miliardi di dollari all'anno». La segretaria generale dell'ITU, Doreen Bogdan-Martin, ha sottolineato che «Quando si verifica un disastro, le persone e le comunità possono rivolgersi alla tecnologia come un'ancora di salvezza. Indirizzando il lavoro della Early Warnings for All initiative One sulla “disseminazione e comunicazione degli allarmi”, l'ITU contribuisce a garantire che le persone a rischio possano agire in tempo per il nostro mondo sempre più vulnerabile dal punto di vista climatico». Gli avvisi di allerta possono essere inviati tramite canali radiofonici e televisivi, social media e sirene. L'ITU raccomanda «Un approccio inclusivo e incentrato sulle persone utilizzando il Common Alerting Protocol (CAP), un formato di dati standardizzato per gli avvisi pubblici, per mantenere i messaggi coerenti attraverso diversi canali». Il segretario generale dell'IFRC, Jagan Chapagain. Asggiunge che «Gli allarmi precoci che si traducono in preparazione e risposta salvano vite umane. Poiché i disastri legati al clima stanno diventando più frequenti, più intensi e più mortali, sono essenziali per tutti, ma una persona su tre a livello globale non è ancora coperta. I sistemi di allerta precoce sono il modo più efficace e dignitoso per evitare che un evento meteorologico estremo crei una crisi umanitaria, soprattutto per le comunità più vulnerabili e remote che ne sopportano il peso maggiore. Nessuna vita dovrebbe essere persa in un disastro prevedibile». L' iniziativa Early Warnings for All  prevede, tra il 2023 e il 2027,  nuovi investimenti mirati iniziali di 3,1 miliardi di dollari, una somma molto più bassa dei benefici che porterà. Si tratta di circa il 6% dei 50 miliardi di dollari richiesti per il finanziamento dell'adattamento climatico e riguarderebbero il rafforzamento della conoscenza del rischio di catastrofi, le osservazioni e le previsioni, la preparazione e la risposta e la comunicazione degli allarmi precoci. La WMO spiega che «Per attuare il piano per proteggere ogni persona sulla Terra è necessaria una gamma di soluzioni di finanziamento innovative nuove e preesistenti. Questi includono un potenziamento della Climate Risk Early Warning Systems (CREWS) Initiative, il Systematic Observations Financing Facility (SOFF ) e programmi di investimento accelerati dei fondi per il clima, come il Green Climate Fund (GCF) e l’ Adaptation Fund e di mportanti Banche multilaterali di sviluppo (MDB), nonché altri nuovi strumenti finanziari innovativi tra tutti gli stakeholders della catena del valore dell'allerta precoce». La riunione del gruppo consultivo prenderà in considerazione l'avanzamento dei quattro pilastri chiave del Multi-Hazard Early Warning System (MHEWS): Conoscenza e gestione del rischio di catastrofi (374 milioni di dollari): punta a raccogliere dati e intraprendere valutazioni del rischio per aumentare le conoscenze sui pericoli, le vulnerabilità e le tendenze. E’ guidato dall'UNDRR con il sostegno della WMO. Rilevamento, osservazioni, monitoraggio, analisi e previsione dei pericoli (1,18 miliardi di dollari) per sviluppare servizi di monitoraggio dei pericoli e di allerta precoce. Guidato dalla WMO, con il sostegno dell’UN Development Porgramme (UNDP), UN Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO) e UN Environment Programme (UNEP). Disseminazione e comunicazione (550 milioni di dollari) per comunicare le informazioni sui rischi in modo che raggiungano tutti coloro che ne hanno bisogno, siano comprensibili e utilizzabili. Guidato dall’ITU, con il supporto di IFRC, UNDP e WMO. Preparazione e risposta ($ 1 miliardo di dollari) per costruire capacità di risposta a livello nazionale e comunitario. Guidato da IFRC, con il supporto di Risk Informed Early Action Partnership (REAP), Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), Food and Agriculture Organization (Fao) e World Food Programme (WFP).   L'articolo Condizioni meteorologiche estreme: Early Warnings For All entra in azione sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Per il ministro Lollobrigida i pesticidi non fanno male alle api e la pesca a strascico è perseguitata dall’Ue

1 milione di firme per salvare api e agricoltori
Ieri, intervenendo al Consiglio Agricoltura e Pesca dell'Ue, il ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, ha sottolineato che è «Necessario rivedere il Piano di Azione della Pesca sostenibile europea, in particolare per quanto riguarda il rispetto dell'obbligo di sbarco delle catture involontarie e l'eliminazione graduale della pesca a strascico. La revisione del Piano va realizzata di concerto con gli Stati membri e il settore, e attribuire alla pesca a strascico una parte della responsabilità del depauperamento dei fondali marini e delle risorse ittiche appare una semplificazione». Lollobrigida ha poi criticato i controlli nel Mediterraneo, sottolineando come «Non si debba penalizzare i nostri pescherecci con regole rigide che sono inapplicabili verso i Paesi Terzi.  L'Europa deve mettere tutte le Nazioni in condizione di sopportare eventuali oneri, dovuti alla sostenibilità ambientale, che siano compensati però dalla possibilità di avere una sostenibilità economica, e quindi sociale conseguente, che sia tollerabile». Ma dopo la performance sulla pesca a strascico e i controlli draconiani, Lollobrigida è passato ai pesticidi e alle api e, rispondendo alla comunicazione della Commissione europea sulla nuova Iniziativa europea per la tutela delle specie di insetti impollinatori, ha detto che «La tutela delle api non deve mettere a rischio produzione agricola. Sarebbe sbagliato collegare il declino degli impollinatori all’uso dei pesticidi». Per il Wwf si tratta di dichiarazioni «Sorprendenti e preoccupanti.  L’interazione tra pesticidi e api preoccupa da tempo gli scienziati di tutto il mondo e una azione per ridurre la minaccia di estinzione degli insetti impollinatori dovrebbe essere una priorità per i nostri decisori politici se si vogliono davvero salvare le nostre produzioni agroalimentari oltre che tutelare la salute delle persone». Gli ambientalisti ricordano al ministro che «Il bilancio dell’interazione tra pesticidi e api è in realtà drammatico così come il declino degli insetti. Oggi il 40% degli insetti impollinatori nel mondo è a rischio estinzione ed entro il 2100 lo saranno i due terzi. In Europa, negli ultimi 30 anni, abbiamo perso il 70% della biomassa degli insetti volatori, molti dei quali garantiscono il servizio ecosistemico dell’impollinazione. Gli apicoltori lamentano ovunque, una elevata mortalità dei propri alveari, in particolare nei territori dove l’agricoltura usa quantità elevate di pesticidi». Il recente studio "Agrochemicals interact synergistically to increase bee mortality", pubblicato su Nature da un team di scienziati della  Royal Holloway University of London ha esaminato oltre 90 pubblicazioni scientifiche sui pesticidi e altri fattori di stress per le api e il Wwf fa notare che «Sono evidenti le responsabilità dei pesticidi nella moria delle api, soprattutto quando nei pesticidi vengono usate due o più sostanze chimiche: il danno causato si amplifica con quello che gli scienziati chiamano l’effetto “cocktail” dei pesticidi, micidiale per tutti gli insetti impollinatori. Gli altri fattori di minaccia sono senz’altro il cambiamento climatico, i parassiti, la carenza di nutrienti e la distruzione degli habitat che però non fanno altro che amplificare l’effetto dei pesticidi». Al contrario di quel che sembra credere il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, per il Wwf «Sono necessari e urgenti dei provvedimenti: la Commissione europea ha proposto agli Stati membri dell’Unione due importanti Regolamenti per l’attuazione delle Strategie Ue “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, il primo dedicato alla riduzione dell’uso dei pesticidi - che fissa per l’Italia l’obiettivo della riduzione del 62% dell’uso delle sostanze chimiche di sintesi in agricoltura - il secondo dedicato al ripristino della Natura - che prevede proprio interventi di restauro degli ecosistemi per la tutela degli insetti impollinatori. Ieri nel Consiglio europeo AgriFish i Ministri dell’agricoltura dei 27 Paesi UE hanno discusso proprio questo secondo Regolamento e la posizione contraria del Governo italiano è risultata evidente nelle parole del Ministro Lollobrigida: è incredibile come il Governo italiano arrivi a negare l’evidenza della responsabilità dell’uso dei pesticidi in agricoltura rispetto alla moria delle api, ignorando di fatto, anche il loro ruolo fondamentale nella produzione agroalimentare». L'articolo Per il ministro Lollobrigida i pesticidi non fanno male alle api e la pesca a strascico è perseguitata dall’Ue sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il peso della colpa: la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici

la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici 1
Guardando i documentari in televisione, ci viene da credere che la Terra sia un regno infinito di grandi pianure, giungle e oceani popolato da innumerevoli  animali selvatici, aa Secondo lo studio “The global biomass of wild mammals”, il primo censimento globale della biomassa dei mammiferi selvatici pubblicato recentemente su PNAS da un team di ricercatori israeliani,  in realtà quel mondo popolato da animali iconici sta scomparendo rapidamente, sostutuito dai nostri animali di allevamento e da noi stessi. Infatti, lo studio dimostra che «La biomassa dei mammiferi selvatici sulla terraferma e in mare è molto meno dell peso combinato di bovini, maiali, pecore e altri mammiferi domestici». Il team di ricercatori guidato da Ron Milo del Weizmann Institute of Science ha scoperto che «La biomassa del bestiame ha raggiunto circa 630 milioni di tonnellate, 30 volte il peso di tutti i mammiferi terrestri selvatici (circa 20 milioni di tonnellate) e 15 volte quello dei mammiferi marini selvatici (40 milioni di tonnellate)». Il precedente studio “Global human-made mass exceeds all living biomass”, pubblicato dallo stesso Team di Milo su Nature nel dicembre 2020, aveva dimostrato che nel 2020 la massa di oggetti creati dall'uomo - qualsiasi cosa, dai grattacieli ai giornali - aveva superato l'intera biomassa del pianeta, dalle sequoie alle api . Nel nuovo studio i ricercatori isrealiani forniscono una nuova prospettiva dell'impatto in rapido aumento dell'umanità sul nostro pianeta, mostrando il rapporto tra esseri umani e mammiferi domestici e mammiferi selvatici.. Milo spiega che «Questo studio è un tentativo di vedere il quadro più ampio. L'abbagliante diversità delle varie specie di mammiferi può oscurare i drammatici cambiamenti che interessano il nostro pianeta. Ma la distribuzione globale della biomassa rivela prove quantificabili di una realtà che può essere difficile da cogliere altrimenti: mette a nudo il dominio dell'umanità e del suo bestiame sulle popolazioni molto più piccole dei mammiferi selvatici rimasti». Per calcolare la biomassa dei mammiferi, la classe alla quale apparteniamo, i ricercatori hanno messo insieme i censimenti esistenti delle specie di mammiferi selvatici e le caratteristiche distintive di altre centinaia.  Lior Greenspoon e Eyal Krieger del Department of plant and environmental Sciences del Weizmann  - diretto da Milo - hanno guidato la trasformazione delle informazioni accumulate in stime della biomassa animale e umana. I censimenti raccolti hanno prodotto dati su circa la metà della biomassa globale dei mammiferi. Il team ha calcolato la metà rimanente utilizzando un modello computazionale di apprendimento automatico addestrato sulla metà iniziale e che incorporava più parametri, tra cui il peso corporeo degli individui, la distribuzione dell'area, la nutrizione e la classificazione zoologica. L'analisi ha mostrato che «L'influenza umana influenza fortemente anche la presenza relativamente limitata di mammiferi rimanenti in natura. Molti dei mammiferi selvatici in cima alla tabella della biomassa, come le specie di cervo dalla coda bianca e il cinghiale, sono arrivati che sono ​​lì in parte a causa dell'attività antropica e che ora in alcune aree sono visti come parassiti». I ricercatori sono convinti che le stime del nuovo studio sui rapporti tra la biomassa selvatica e umani/bestiame «Possono aiutare a monitorare le popolazioni di mammiferi selvatici a livello globale e aiutare a valutare il rischio rappresentato dalle malattie che si diffondono dagli animali all'uomo, una dinamica che molti epidemiologi avvertono continuerà a generare epidemie». Al Weizmann Institute of Science  ricordano che «Per l'umanità, i mammiferi selvatici sono un'ispirazione e spesso fungono da icone che incoraggiano gli sforzi di conservazione della natura». Per comprendere meglio l'impatto umano sull'ambiente, gli scienziati del laboratorio di Milo stanno attualmente analizzando come è cambiata la biomassa dei mammiferi nel secolo scorso. Greenspoon spiega a sua volta: «Trovo importante capire, ad esempio, quando esattamente il peso combinato dei mammiferi domestici ha superato quello di quelli selvatici. Una migliore comprensione dei cambiamenti indotti dall'uomo può aiutare a stabilire obiettivi di conservazione e offrirci una prospettiva sui processi globali a lungo termine». Milo  conclude: «Più siamo esposti al pieno splendore della natura, sia attraverso i film, i musei o l'ecoturismo, più potremmo essere tentati di immaginare che la natura sia una risorsa infinita e inesauribile. In realtà, il peso di tutti i mammiferi terrestri selvatici rimasti è inferiore al 10% del peso combinato dell'umanità, il che equivale a circa 2, 7 Kg di mammiferi terrestri selvatici per persona. In altre parole, la nostra ricerca mostra, in termini quantificabili, l'entità della nostra influenza e come le nostre decisioni e scelte nei prossimi anni determineranno ciò che resterà della natura per le generazioni future». L'articolo Il peso della colpa: la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia

La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia
La Finlandia ha chiesto di entrare nella NATO e appoggia le sanzioni energetiche europee contro la Russia, ma il fornitore di gas statale Gasum, ha ammesso che sta continuando a importare il gas russo "proibito". Infatti, come si legge in una nota della compagnia energetica finlandese, «Gasum ha un contratto di approvvigionamento di gas naturale a lungo termine con la russa Gazprom Export. Lo scorso aprile, Gazprom Export ha presentato una richiesta a Gasum, secondo la quale i pagamenti concordati nel contratto di appalto dovrebbero in futuro essere pagati in rubli invece che in euro. Gasum non ha accettato questa richiesta. Inoltre, le società avevano un significativo disaccordo su alcune altre richieste avanzate sulla base dell'accordo. Per tali motivi, Gasum ha sottoposto le controversie relative al contratto di appalto alla procedura arbitrale prevista dal contratto. Gazprom Export ha sospeso le consegne di gas naturale a Gasum a maggio». Il 14 novembre 2022, il tribunale arbitrale ha emesso una decisione sul caso. Secondo la decisione del tribunale arbitrale, Gasum non è obbligata a pagare in rubli o con il metodo di pagamento proposto. Il tribunale arbitrale ha ordinato a Gasum e Gazprom Export di proseguire le trattative contrattuali bilaterali per risolvere la situazione. Le consegne dalla Russia in base al contratto di approvvigionamento di gas naturale di Gasum erano state bloccate. Ora l’agenzia di stampa Yle  rivela che la cosa si è sbloccata e che Gasum intende continuare ad acquistare gas dalla Russia. La Compagni statale finlandese ha spiegato che il congtratto con Gazprom  «Sarà valido per molti altri anni» e che è «Obbligata a pagare in base al contratto e non intende violare questo accordo. Il contratto è un cosiddetto contratto take or pay, che è comune nei contratti di fornitura di gas. Significa che Gasum è obbligata a pagare una certa quantità di gas naturale liquefatto (GNL) ogni anno, che lo riceviamo dalla Russia o meno»,  ha spiegato la compagnia finlandese in una e-mail inviata a Yle, aggiungebndi di «Non saver motivi  legali per rescindere il contratto o portarlo in arbitrato». Anche se la Finlandia si era rifiutata di pagare il gas russo in rubli invece che in euro o dollari, Helsinki ha continuato a importare gas naturale liquefatto (GNL) dall'impianto GNL Cryogas-Vysotsk della compagnia russa Novatek. Gasum afferma di importare solo il minimo indispensabile di GNL russo per evitare di violare i contratti firmati: «Gasum ha importato dalla Russia solo la quantità minima di GNL prevista dal contratto. Non abbiamo concordato eventuali spedizioni aggiuntive e non abbiamo intenzione di farlo in futuro». Secondo il servizio doganale finlandese, dal febbraio 2022. Dopo l’invasione dell’Ucraina, Gasum ha acquistato gas naturale dalla Russia per un valore di circa 188 milioni di dollari. Nel 2021, Gazprom aveva fornito a Gasum 1,49 miliardi di metri cubi di gas, pari ai due terzi del consumo totale della Finlandia. L'articolo La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Un senso nel disordine. Praticare la complessità all’università di Pisa

Un senso nel disordine
Doppio appuntamento con l’eccellenza per il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell’università di Pisa che  ha presentato il bilancio del progetto di eccellenza 2018-2022, finanziato complessivamente con circa 8 milioni di euro, e illustrato il progetto di eccellenza per il quinquennio 2023-2027, finanziato dal MUR con una cifra che potrà variare da circa 5 a 8 milioni di euro. Il progetto scientifico del quinquennio 2018-2022, “I tempi delle strutture. Resilienze, accelerazioni e percezioni del cambiamento” (nello spazio euro-mediterraneo), era articolato in 4 linee di ricerca che andavano dall'antichità al mondo contemporaneo. Oltre a essere stato sviluppato attraverso l’organizzazione di convegni, iniziative scientifiche e culturali e la pubblicazione di oltre 20 volumi nella specifica collana inaugurata da Carocci, il progetto di eccellenza ha permesso al Dipartimento di assumere personale, professori associati e ricercatori, e di offrire nuove opportunità ai giovani ricercatori, per esempio attraverso il conferimento di 32 assegni di ricerca. Il direttore Simone Maria Collavini ha sottolineato che «Per la seconda volta su due, il nostro Dipartimento è stato riconosciuto fra i 180 di eccellenza in Italia, a testimonianza della qualità della ricerca umanistica che si svolge a Pisa, in particolare nelle discipline storiche e filosofiche. Il merito è di tutta la nostra comunità e di quanti, in particolare alcuni giovani ricercatori, hanno contribuito a fare squadra e a elaborare il progetto». Il tema di ricerca del progetto di eccellenza per il quinquennio 2023-2027  “Un senso nel disordine. Praticare la complessità”, punta a «Evidenziare l’articolazione del problema al fine di osservare e comprendere l’intima natura del disordine e gestirlo attraverso un’educazione alla complessità del reale». Il progetto è suddiviso in 4 filoni di ricerca e prevede un percorso di condivisione con altri ricercatori e soprattutto il coinvolgimento della società civile, dedicandosi a sviluppare programmi di educazione e diffusione culturale, oltre a essere in linea con diverse delle mission del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e degli Obiettivi d sviluppo sostenibile dell’Onu.  All’ateneo pisano sono convinti che «La collaborazione fra discipline diverse e il coinvolgimento di partner nazionali e internazionali permetterà di rafforzare il ruolo del Dipartimento all’interno di una partnership globale per lo sviluppo sostenibile che porti in particolare allo sviluppo di una visione culturale globale e dia un contributo concreto alle trasformazioni che la società sta vivendo». L'articolo Un senso nel disordine. Praticare la complessità all’università di Pisa sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’acqua in Italia al tempo del cambiamento climatico: gli investimenti salgono a 56 euro annui per abitante

Lacqua in Italia al tempo del cambiamento climatico
Alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Acqua, Utilitalia ha anticipato i dati del suo Blue Book 2023  – la monografia completa dei dati del Servizio idrico integrato –  realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la partnership di The European House – Ambrosetti e in collaborazione con Istat, Ispra, Cassa Depositi e Prestiti, il Dipartimento della Protezione Civile e le Autorità di Bacino, Ne emerge che «Gli investimenti realizzati in Italia nel settore idrico raggiungono i 56 euro annui per abitante, in crescita del 17% dal 2019 e del 70% dal 2012, un trend che si riflette sul miglioramento della qualità del servizio seppur con marcate differenze tra Nord e Sud. Tra queste, permane un profondo divario in termini di capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali “in economia”, diffuse soprattutto al Meridione. Un gap che va necessariamente colmato anche alla luce delle recenti fasi siccitose, fenomeno che potrebbe essere più frequente in un futuro dominato dagli effetti climatici del riscaldamento globale». Uitilitalia evidenzia che «Con l’avvio della regolazione ARERA nel 2012, dopo anni di instabilità gli investimenti realizzati hanno registrato un incremento costante: per il 2021 si stima un valore pro capite di 56 euro, un dato in aumento del 17% rispetto al 2019 (49 euro per abitante) e di circa il 70% rispetto al 2012 (33 euro per abitante)». Numeri in crescita ma ancora lontani dalla media europea relativa ai dati degli ultimi cinque anni disponibili, che è pari a 82 euro per abitante. Dall’analisi della destinazione degli investimenti realizzati dai gestori viene fuori come obiettivo prioritario il contenimento dei livelli di perdite idriche (22%); seguonoil miglioramento della qualità dell’acqua depurata (18% del totale) e gli investimenti nelle condotte fognarie (14%). Il rapporto sottolinea che «Restano comunque ancora grandi differenze tra le diverse aree del Paese. La stima degli investimenti realizzati dai gestori industriali nel 2021 per il Centro Italia è pari a 75 euro l’anno per abitante, seguito dal Nord-Est (56 euro) e dal Nord-Ovest (53 euro). Decisamente più bassa la stima per il Sud, pari a 32 euro l’anno per abitante. Ancora bassissimi i dati relativi alle gestioni “in economia”, dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico: qui gli investimenti medi annui si attestano a 8 euro. Dei 1.519 Comuni in cui la gestione di almeno uno dei servizi è “in economia”, il 79% si trova al Sud per una popolazione interessata pari a circa 7,7 milioni di persone». Secondo il Blue Book 2023, «L’efficacia del generale incremento degli investimenti osservato negli ultimi anni sembra essere confermata dagli indicatori della qualità del servizio idrico, come dimostrano i dati sulle perdite di rete (da circa il 44% del 2016 al 41% del 2021) o sulla frequenza degli sversamenti/allagamenti in fognatura (dai 12 eventi l’anno ogni 100 km di rete del 2016 ai 5 del 2021). Tuttavia, si osservano differenti performance tra Nord e Sud, a riprova del divario territoriale: un esempio è il numero di interruzioni del servizio, che nel Meridione è di due ordini di grandezza superiore rispetto al Settentrione, o le perdite di rete, che nelle regioni del Sud si attestano a circa 47% contro il 31% del Nord-Ovest». Per  Stefano Pareglio, presidente della Fondazione Utilitatis, «Risolvere le problematiche che affliggono il servizio idrico in diverse aree del Sud è una questione non più procrastinabile. Bisogna lavorare per elevare il livello degli investimenti e per ridurre il gap infrastrutturale, agendo rapidamente sulla governance favorendo la partecipazione di operatori industriali. Come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord, e in alcuni casi anche del Meridione, solo in questo modo è possibile ottenere un incremento degli investimenti e della qualità dei servizi offerti ai cittadini. Laddove la gestione è ancora affidata direttamente ai comuni, si registra infatti un livello di investimenti talmente basso da non consentire programmi di sviluppo delle reti, né un’adeguata manutenzione». Con gli impatti dei cambiamenti climatici, per superare il gap territoriale e migliorare il grado di resilienza delle infrastrutture sono necessari ulteriori investimenti. Il rapporto ricorda che «Il 2022 è stato l’anno più caldo e meno piovoso della storia italiana, con temperature che hanno raggiunto i +2,7° C rispetto alla media 1981-2010 e anomalie pluviometriche significative soprattutto nelle regioni centro-settentrionali. Queste variazioni si inseriscono nel contesto degli effetti dei cambiamenti climatici in corso: negli ultimi 70 anni, in Italia, si è osservato un aumento statisticamente significativo delle zone colpite da siccità estrema e, negli ultimi 9 anni, la temperatura nelle principali città italiane è aumentata di 1,3° C. Variazioni meteo-climatiche che hanno un’influenza significativa sul ciclo idrologico: la stima di disponibilità idrica media per l’ultimo trentennio mostra una riduzione del 20% rispetto al periodo 1921-1950». Ma Utilitalia fa presente che le cause delle crisi idriche non sono legate esclusivamente al clima che cambia: «Sono da addurre anche a fattori di vulnerabilità che connotano il settore idrico italiano. Durante la crisi 2022-2023, le azioni messe in campo dalla Protezione Civile, dalle Autorità di Bacino, dai loro Osservatori, dai gestori del servizio e dagli altri attori interessati hanno permesso di limitare i disagi per la popolazione. Per il futuro, al fine di fronteggiare al meglio eventi simili, occorre adottare una strategia operativa che combini misure di breve termine (es. utilizzo autobotti, serbatoi e nuove fonti di approvvigionamento) orientate prevalentemente alla minimizzazione degli impatti, con interventi di medio-lungo termine (es. interventi infrastrutturali), finalizzati a migliorare la resilienza dei sistemi di approvvigionamento idrico». E Utilitalia ha stimato che «Per fronteggiare gli effetti della crisi climatica, i gestori nei prossimi anni investiranno almeno 10 miliardi di euro aggiuntivi rispetto agli interventi finanziati dal PNRR - la metà dei quali entro il 2024 - per un volume complessivo di acqua recuperata stimato in circa 620 milioni di metri cubi». Il Libro Bianco 2023 “Valore Acqua per l'Italia”, contenuto in parte nel Blue Book 2023,  sottolinea che «Per mitigare i problemi di sicurezza dell’approvvigionamento, l’esperienza della crisi idrica ha ribadito la necessità di adottare un approccio preventivo nella gestione dell’acqua, dove le cosiddette “5 R” - Raccolta, Ripristino, Riuso, Recupero e Riduzione - costituiscono le azioni necessarie per garantire la circolarità della risorsa e la sicurezza dell’approvvigionamento. Inoltre le azioni da mettere in campo per fronteggiare questi episodi devono prevedere necessariamente una combinazione di fattori che riguardano non solo un utilizzo efficiente, ma anche la realizzazione di infrastrutture moderne che consentano la diversificazione della strategia di approvvigionamento e, non ultimo, il superamento delle criticità gestionali e di governance che oggi frenano lo sviluppo del settore e riducono la qualità del servizio in alcune zone del Paese. Da questo punto di vista è importante promuovere interventi in innovazione e digitalizzazione anche facendo ricorso a strumenti di veloce sviluppo come il venture capital». Utilitalia ha presentato  8 proposte per favorire l’adattamento infrastrutturale delle reti idriche al cambiamento climatico: «Tra quelle di breve periodo (entro 3 mesi) figurano: favorire il riuso efficiente, contrastare il cuneo salino, diversificare la strategia di approvvigionamento e sostenere la presenza di gestioni industriali; tra quelle di medio periodo (entro 6 mesi) il rafforzamento della governance dei distretti idrografici e la semplificazione per la realizzazione degli investimenti, mentre tra quelle di lungo periodo (oltre 6 mesi) la promozione dell’uso efficiente dell’acqua e la realizzazione di opere infrastrutturali strategiche. Il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini, conclude: «Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla disponibilità della risorsa idrica sono sempre più evidenti e danno luogo ad eventi che non si possono più considerare eccezionali. Bisogna affrontarli con interventi che favoriscano la resilienza delle reti e dei sistemi acquedottistici all’interno di un approccio globale che consideri tutti i diversi utilizzi dell’acqua nel nostro Paese, garantendo la priorità all’uso civile. Al contempo, dai dati del Blue Book emerge chiaramente la necessità di interventi urgenti sul fronte della governance, in mancanza dei quali sarà impossibile portare il livello degli investimenti vicino alla media europea e colmare il water service divide tra le diverse aree italiane».   L'articolo L’acqua in Italia al tempo del cambiamento climatico: gli investimenti salgono a 56 euro annui per abitante sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Liberiamo l’Arno dalle plastiche

Liberiamo lArno dalle plastiche
Liberiamo l’Arno dalle plastiche. L’appello arriva alla vigilia della giornata mondiale dell’acqua dal Contratto di Fiume Casentino H2O che ha promosso  una eco-giornata di pulizia del fiume. L’iniziativa nasce sotto l’egida di Puliamo il Mondo, la manifestazione nazionale voluta da Legambiente per sensibilizzare i cittadini contro l’abbandono dei rifiuti. In Casentino, è fissato il primo appuntamento toscano del 2023 e ha per protagonista il tratto dell’Arno su cui, di recente, è stato sottoscritto Casentino H2O, il primo contratto di fiume, nato all’interno del Patto per l’Arno,   summa dei percorsi partecipativi che si svilupperanno lungo l’intera asta fluviale. Quasi quattro i chilometri da passare al setaccio e, armati di sacchetti e guanti,   da ripulire dalle plastiche trascinate, disperse e depositate lungo gli argini e sulla vegetazione circostante dalle recenti piene del fiume. Sono stati proprio i Pescatori Casentinesi, associati a Fipsas Arezzo, i primi a dare l’allarme, insieme agli amministratori locali, preoccupati per le conseguenze della sgradevole  e massiccia presenza di brandelli di materiale, pericoloso per gli animali e l’ambiente. Immediata la mobilitazione per recuperare i rifiuti e ripristinare l’immagine, l’ecologia, la funzionalità dell’Arno. E’ nata così, all’interno del Contratto di Fiume Casentino H2O, voluto e coordinato dal Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, l’idea di un’edizione speciale di Puliamo il Mondo, per una straordinaria operazione di pulizia e di educazione, a cui hanno aderito con convinzione, oltre ai comuni di Pratovecchio Stia, Poppi e Castel San Niccolò, l’Unione dei Comuni Montani del Casentino, Sei Toscana e alcune associazioni impegnate sul fronte della difesa dell’ambiente: da Legambiente ai Pescatori Casentinesi, da Casentino 2030 a Fipsas, da Pratoveteri a Civitas. Tutti insieme per una giornata di “pulizie ambientali” necessarie per mantenere vivo, efficiente e pulito il grande fiume. L’appuntamento è fissato per sabato mattina alle ore 09.30 al parcheggio del River Piper a Castel San Niccolò, dove saranno distribuiti gli attrezzi necessari ai volontari, che sono invitati a presentarsi con abbigliamento comodo, muniti possibilmente di guanti da lavoro e   stivali di gomma. Di qui, con il sistema di carpooling si raggiungerà il punto di partenza dell’iniziativa, in località San Paolo. Sei Toscana in collaborazione con i comuni provvederà alla raccolta, alla differenziazione e allo smaltimento. Serena Stefani, presidente Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, sottolinea che «Il Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, come ente promotore del Contratto di Fiume Casentino H2O, partecipa con convinzione a questa iniziativa di pulizia ambientale. Pur non essendo la mission del nostro ente recuperare e smaltire i rifiuti rinvenuti  nei corsi d’acqua, ci mettiamo a disposizione, con tanti altri partner, per affrontare insieme una problematica ambientale seria. Contiamo che operazioni di questo tipo possano servire a sensibilizzare i cittadini e a promuovere comportamenti più corretti e rispettosi del fiume e dell’ambiente». Ilaria Violin, vice presidente Legambiente Arezzo, ricorda che «L'acqua è una risorsa indispensabile per la vita  e abbiamo il compito di proteggerla. Lo sversamento delle plastiche in Arno mette in pericolo un tratto importante di un corso d'acqua già provato dai cambiamenti climatici. Il contratto di Fiume ci è servito per accelerare i tempi e a  reagire in modo tempestivo». Alessandro Fabbrini, presidente di Sei Toscana, evidenzia che «Oltre a svolgere quotidianamente al meglio i nostri servizi, credo sia importante parlare e mettere in pratica la sostenibilità ambientale anche grazie a iniziative come questa. Ringrazio tutti gli Enti e le Associazioni che hanno aderito, come noi, al Contratto di Fiume Casentino H2O promosso dal Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, permettendoci di mettere al centro della nostra attività quei valori della sostenibilità, del rispetto e dell’attenzione verso l’ambiente che sono propri di Sei Toscana». Nicola Venturini, vice presidente Pescatori Casentinesi, associati a Fipsas Arezzo, conclude: «Sono stati proprio i pescatori che frequentano il fiume a segnalare la presenza di materiale plastico disperso dentro e lungo il fiume.  Un problema immediatamente segnalato a Polizia provinciale e Forestale. Ringraziamo il Consorzio, i Comuni e tutte le associazioni ambientaliste del Contratto di Fiume Casentino H2O per l’immediato sostegno: con questa giornata, uniremo tutte le forze,  per rimuovere i rifiuti presenti in Arno. Un fiume a noi caro, che, ogni giorno, ci impegniamo a migliorare, a valorizzare e a promuovere anche attraverso la gestione di aree di pesca, capaci di richiamare migliaia di presenze ogni anno». L'articolo Liberiamo l’Arno dalle plastiche sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Giornata mondiale dell’acqua, Greenpeace: In Italia il 38% di risaie e coltivazioni irrigue a rischio siccità

Giornata mondiale dellacqua Greenpeace
Sulla base del dati anticipati dall’Osservatorio Siccità del CNR-IBE, Greenpeace Italia evidenzia che «Il 38% delle risaie e delle colture irrigue italiane è affetto da siccità severo estrema, ovvero soffre per un deficit di pioggia che dura da ben due anni. Tutto il distretto del Po, dove si trova buona parte della superficie irrigata italiana, è inoltre già in stato di severità idrica media da diversi mesi, mettendo a rischio  riso, mais e altre colture». Greenpeace sottolinea che «La situazione già a marzo appare drammatica: anche le acque superficiali, risorsa fondamentale per l'irrigazione, sono infatti in estrema sofferenza. Tutti i grandi laghi del Bacino del Po sono vicini ai minimi storici registrati negli ultimi ottant’anni e i principali invasi artificiali del bacino Padano mostrano un volume di riempimento pari a un quinto della capienza. Oltre alle scarse piogge, soprattutto al Nord, hanno contribuito a questa situazione il caldo, con temperature sopra la media 9 mesi su 12 nel 2022, e la scarsità di neve in montagna, dove si registra un deficit nevoso del 63% rispetto alla media degli ultimi dieci anni. In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, rivolgendosi al al governo Meloni, che oggi riunisce la  cabina di regia sulla siccità a Palazzo Chigi, l’organizzazione ambientalista presenta 8 proposte per contrastare la siccità: 1. Velocizzare il processo di decarbonizzazione dell’Italia, riducendo e poi azzerando le emissioni climalteranti, attraverso un aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) con obiettivi in linea con l’Accordo di Parigi sul clima e la posizione dell’Unione Europea. 2. Smettere di investire sulle fonti fossili e le relative infrastrutture, abbandonando al più presto lo sfruttamento di petrolio, gas e carbone e puntando su energia rinnovabile ed efficienza energetica. 3. Ridurre a monte i consumi idrici in agricoltura, rendendo prioritario  l’uso di terreni e acqua per la produzione di alimenti destinati al consumo umano diretto anziché alla filiera mangimistica o alla produzione di biocarburanti. 4. Ridurre a monte la domanda mangimistica, riducendo gradualmente il numero degli animali allevati e adottando misure per incoraggiare l’adozione di diete a base principalmente vegetale. 5. Adottare misure per incoraggiare l'utilizzo di tecniche agroecologiche che migliorino la salute dei suoli, inclusa la capacità di trattenere l’umidità. 6. Ridurre drasticamente il consumo di suolo e la cementificazione, incrementando le superfici di boschi e aree naturali. 7. Pianificare l’eventuale costruzione di nuovi invasi e laghetti in base ai dati di riempimento storici degli invasi esistenti e agli scenari meteo-climatici futuri, evitando opere dannose oltre che inefficaci. 8. Adottare un grande piano di ristrutturazione della rete idrica e di messa in sicurezza idrogeologica, aumentando le risorse dedicate nel PNRR, anche con il contributo degli enti gestori del servizio idrico integrato. Ramona Magno, coordinatrice scientifica dell'Osservatorio Siccità del CNR-IBE, sottolinea che «Se non vi sarà un’inversione di tendenza saranno fortemente colpite anche tutte le coltivazioni orticole estive, come insalata o pomodori. Probabilmente si dovranno ripensare alcune tipologie di colture o usarne varietà che siano più resistenti a periodi di siccità. Turnazioni irrigue molto più rigorose potrebbero diventare la norma. Si potrebbe arrivare anche a razionamenti di acqua per uso idropotabile in diversi comuni». Un quadro ch è già realtà, visto che in Piemonte questo inverno alcuni comuni sono stati riforniti di acqua tramite autobotti. Greenpeace spiega che «Quel che sta cambiando è la frequenza e l'intensità di questi fenomeni estremi, un trend ascendente la cui velocità è inasprita e legata a doppio filo con i cambiamenti climatici. Per fronteggiare la siccità è dunque necessario adottare da subito politiche ambiziose per liberarci dalla dipendenza da petrolio, gas e carbone e ridurre le emissioni dei gas serra. Ma allo stesso modo è necessario modificare profondamente il nostro sistema agricolo - che assorbe circa il 50% dell’acqua dolce utilizzata in Italia ogni anno - modificando anche la superficie dedicata alle colture che richiedono più acqua. Il mais, ad esempio, seconda coltivazione italiana per volumi di acqua utilizzati, è quasi interamente assorbito dalla filiera mangimistica, e più del 45% dell’impronta idrica dei prodotti agricoli è imputabile a carne, latte e derivati». Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, conclude: «Per ridurre i consumi idrici in agricoltura non bastano le soluzioni tecnologiche, ma è necessario agire in un’ottica di maggiore “efficienza alimentare”, anche attraverso la riduzione di produzioni e relativi consumi che comportano un maggior utilizzo di acqua, come quelle zootecniche e la relativa filiera mangimistica. Le dichiarazioni, istituzionali e non, sul tema della siccità, ruotano invece quasi tutte intorno alla stessa ipotetica soluzione: costruire nuovi invasi e bacini artificiali, nonostante le possibili minori precipitazioni future e l’aumento dell’evapotraspirazione a causa del riscaldamento globale, cosa che dovrebbe spingere alla cautela su questo tipo di infrastrutture, anche rispetto ai loro impatti ambientali. Canalizzazioni forzate e cementificazione hanno infatti ridotto le aree naturali in grado di "assorbire" l’acqua in eccesso durante gli eventi climatici estremi, impoverendo i corsi d’acqua e le falde, che rimangono sempre gli “invasi” migliori per immagazzinare le risorse idriche, più efficienti di qualsiasi infrastruttura». L'articolo Giornata mondiale dell’acqua, Greenpeace: In Italia il 38% di risaie e coltivazioni irrigue a rischio siccità sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Giornata internazionale delle foreste, Pichetto: «Preziose contro dissesto, climate change e inquinamento»

Foreste e acqua
Secondo il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin; «La giornata internazionale delle foreste, il cui tema è quest’anno “Foreste e salute”, ci ricorda quanto questa preziosa ricchezza di biodiversità sia importante per il benessere del pianeta e dell’uomo. Per una gestione forestale sostenibile da ogni punto di vista – ambientale, economico e sociale - occorre un approccio scientifico rigoroso e aperto, una collaborazione interistituzionale solida e dinamica e una condivisione sempre più partecipativa e diffusa con le filiere interessate e i cittadini. Le foreste sono preziose per fronteggiare il dissesto idrogeologico, i cambiamenti climatici e l’inquinamento. Investire sulla conservazione e il ripristino degli ecosistemi forestali significa investire sul nostro futuro». Il patrimonio forestale italiano è costituito da circa 9 milioni di ettari. All’interno delle aree protette la superficie forestale è di oltre 3 milioni e 800 mila ettari, nei parchi nazionali è di oltre 250 mila ettari. A livello mondiale, occupa oltre un terzo del territorio.  Nel nostro Paese, sin dal Regio decreto forestale del 1923, la normativa punta a tutelare e ad aumentare gli ecosistemi forestali. Il ministero evidenzia che «La collaborazione tra i due ministeri competenti - Agricoltura e Ambiente - ha dato negli anni i suoi frutti, dalle Linee guida forestali al Programma quadro del settore forestale, dal Testo unico in materia di foreste e filiere forestali alla Strategia nazionale foreste. Una collaborazione che si è rivelata strategica. Alla gestione sostenibile delle foreste il Mase fornisce il suo contributo anche con altre misure, come i progetti Life-foreste, i programmi “Parchi per il clima” e quelli attuativi del decreto clima e del Pnrr». E proprio Federparchi sottolinea che «Nel nostro Paese abbiamo 820mila ettari di boschi e foreste nei parchi italiani che svolgono funzioni ecosistemiche fondamentali, fra queste l’assorbimento di 145 milioni di tonnellate di CO2 eq./anno. Un contributo non da poco, almeno nel nostro continente, contro l’inquinamento». La giornata delle foreste e quella dell’acqua coincidono e Federparchi, sottolinea che «L’acqua è un bene comune per la vita in tutto il pianeta. Siccità e desertificazione, indotte dai cambiamenti del clima, sono fenomeni in crescita che determinano non solo danni ambientali, ma anche crisi economiche, sociali e migratorie. Foreste ed acqua sono quindi  di primaria importanza e  le aree protette contribuiscono alla conservazione di queste risorse naturali fondamentali per l’umanità». Il nuovo presidente di Federparchi, Luca Santini, conclude: «L’Italia ha la più grande biodiversità forestale europea, un patrimonio naturalistico inestimabile. I parchi, inoltre, sono custodi della purezza   di tantissime sorgenti d’acqua, punti di partenza dei nostri fiumi. Foreste ed acqua sono due pilastri degli ecosistemi. Il ruolo delle aree naturali protette è di fare il massimo per la loro tutela e sviluppare modelli sempre più virtuosi affinchè questi beni preziosi siano tutelati su tutto il territorio» L'articolo Giornata internazionale delle foreste, Pichetto: «Preziose contro dissesto, climate change e inquinamento» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Un piano Marshall per l’acqua? Cirf: sì ma per recuperare gli ecosistemi (VIDEO)

Un piano Marshall per lacqua
Il tema del World water day quest’anno è “accelerare il cambiamento” per risolvere la crisi idrica e il Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) ricorda che «Il cambiamento prevede un nuovo approccio che metta al centro la natura, non la riproposizione di soluzioni fallimentari quali gli ennesimi commissariamenti, deroghe dalle norme di tutela ambientale e una nuova ondata di infrastrutture e cemento sul territorio. Una natura in grave difficoltà che deve essere ripristinata e non ulteriormente sfruttata, non solo per la tutela di habitat e specie, ma per garantire il nostro benessere. Questo ribaltamento degli obiettivi è già stato applicato in alcuni paesi europei come la Spagna, dove sempre più spesso nei sistemi fluviali vengono eliminati gli ostacoli che creano più danni che benefici e con i fondi Next Generation EU si stanno realizzando progetti di ripristino delle aree umide». Al Cirf indicano una direzione opposta a quella che sembra aver intrapreso il govermno Meloni con il siostegno delle grandi associazioni imprenditoriali: «Per mitigare siccità e alluvioni, due problemi in apparenza opposti ma in realtà strettamente connessi, bisogna ripristinare gli ecosistemi degradati, in particolare quelli acquatici, restituire spazio ai corsi d’acqua, ripristinare i naturali processi di ricarica delle falde, tutelare la salute dei suoli». Ma non è qualcosa di strano o avulso dalla politica idrica, infatti il Cirf ricorda che si tratta di «Tutte azioni oggetto della Nature Restoration Law». Una proposta di regolamento europeo che il 22 marzo verrà discussa nel convegno “Free-flowing rivers” e nuovo Regolamento europeo sulla rinaturazione: ripristinare connettività e biodiversità per adattarsi al cambiamento climatico” che si terrà in Senato, organizzato dal Cirf in collaborazione con l’intergruppo parlamentare sulle politiche di contrasto e mitigazione dei cambiamenti climatici. Il direttore del Cirf Andrea Goltara rivolge un appello al Governo: «Il Decreto Siccità non può limitarsi ad accelerare la costruzione di nuovi invasi, o non risolveremo nulla: dobbiamo sostenere il mondo agricolo nel percorso di riduzione della domanda irrigua, e soprattutto mettere in campo una strategia di adattamento che sia davvero fondata su un piano esteso di riqualificazione e recupero della biodiversità, come giustamente suggerito dalle recenti strategie e proposte normative europee. Al ministro dell’ambiente e al governo chiediamo di promuovere con urgenza un programma nazionale di ripristino degli ecosistemi acquatici. Questo è il Piano Marshall per l’acqua che serve all’Italia». Il Cirf  si dice «Fortemente critico nei confronti dell’approccio basato solo sulla realizzazione di nuovi invasi promosso da molte associazioni di categoria. La soluzione a un problema complesso non può essere una sola e valida ovunque. Gli invasi lungo i corsi d’acqua, in particolare, hanno molti aspetti negativi: rilevanti perdite di acqua per evaporazione, rischio di peggioramento della qualità dell’acqua, interruzione del naturale corso dei fiumi e del trasporto dei sedimenti verso valle, con una conseguente progressiva incisione degli alvei, abbassamento della falda, aumento della risalita del cuneo salino, del rischio di alluvioni a valle e dell’erosione costiera. In una situazione come quella attuale, poi, con la maggior parte dei laghi e degli invasi esistenti semivuoti che non si riescono a riempire per la scarsità di precipitazioni, pensare che l’idea migliore sia concentrare le risorse nel costruirne di nuovi sembra molto velleitario». E per far capire quali sia il tema del confronto il Cirf ricorda che «Il nuovo Regolamento europeo, una volta entrato in vigore, porrà obiettivi giuridicamente vincolanti e riguarderà non solo le aree protette, ma tutti gli ecosistemi, comprese le aree urbane e i terreni agricoli. Gli Stati membri dovranno garantire entro il 2030 che non vi sia perdita netta di spazio verde urbano e se ne dovrà incrementare progressivamente la superficie totale nazionale; invertire il calo delle popolazioni di impollinatori, aumentare complessivamente la biodiversità e ripristinare la connettività in almeno 25,000 km di fiumi europei. Fiumi connessi possono scorrere liberamente da monte a valle, assicurando il passaggio di fauna e sedimenti, muoversi e inondare almeno in parte le pianure alluvionali, infiltrare acqua nelle falde acquifere. Questo obiettivo prevede di rimuovere sbarramenti e altre opere dannose, non di costruirne di nuove». Secondo gli studi a supporto della proposta normativa, «Ogni euro speso in rinaturazione genera da 8 a 38 euro di valore economico grazie ai servizi ecosistemici ripristinati, che sostengono la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici e obiettivi cruciali come la sicurezza alimentare e la protezione dai disastri naturali». L'articolo Un piano Marshall per l’acqua? Cirf: sì ma per recuperare gli ecosistemi (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.