Categoria Ambiente

Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli

Caccia Ue
Con una lettera congiunta inviata al commissario europeo all’ambiente Virginijus Sinkevičius e alla Direzione generale ambiente della Commissione europea, Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia e Wwf Italia hanno trasmesso una denuncia “orizzontale” per «Violazione, da parte dell’Italia, della direttiva Uccelli in materia di caccia e, inoltre, del Regolamento 2021/57 della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide». Le associazioni evidenziano che «Nonostante i numerosi contenziosi comunitari in materia venatoria che hanno condotto a procedure di infrazione, condanne della Corte di Giustizia, adeguamenti normativi, nuove procedure e indagini Pilot, l’Italia continua a violare, di diritto e di fatto, la direttiva Uccelli specialmente negli ambiti per i quali ha ricevuto dei chiari alert da parte delle istituzioni europee». Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf  ricordano il caso della caccia all’avifauna in periodo di migrazione prenuziale: «Una fase biologica di estrema importanza per la conservazione di specie e popolazioni, nella quale, non a caso, l’attività venatoria è rigorosamente vietata. Ciononostante, da anni i calendari venatori continuano a consentire la caccia agli uccelli in questi periodi, disattendendo le norme, i pareri dell’Ispra e le prescrizioni europee». Altro caso sottolineato è quello della «Caccia esercitata su specie in stato di conservazione sfavorevole in assenza di adeguati piani di gestione o in presenza di piani di gestione inefficacemente applicati, come nel caso dell’allodola, della tortora selvatica e della coturnice, i cui piani sono del tutto inattuati se non nelle parti che consentono il prelievo delle specie». Inoltre, per ambientalisti e animalisti è da drammatica la situazione del bracconaggio, «Con il fallimento pressoché totale del Piano nazionale per fermare i criminali, la cui approvazione aveva portato ad archiviare l’inchiesta aperta dalla Commissione europea, e il susseguirsi di gravi atti di bracconaggio dei quali abbiamo dato notizia alle autorità europee». Le associazioni sottolineano anche «La violazione del nuovo Regolamento (2021/57) della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide, indispensabile per arginare la mortalità degli uccelli selvatici per saturnismo e dunque problemi molto seri a specie ad alta valenza conservazionistica. Evidenti, in tal senso, sono le violazioni commesse dalla circolare “interpretativa e attuativa” del Regolamento europeo emanata dai ministri dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e dell’Agricoltura Lollobrigida, che ha fortemente ridotto la portata del divieto attraverso una definizione limitata ed errata delle zone umide». La lettere di Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wff conclude: «La mole e la qualità delle infrazioni commesse dall’Italia al diritto europeo sono tali da rendere inevitabile l’apertura di una nuova procedura di infrazione complessiva contro un regime di caccia, quale quello italiano, macroscopicamente e strutturalmente illegale e, purtroppo, favorito dall’accondiscendenza di molte amministrazioni, nazionali e regionali. A ciò deve aggiungersi il fatto, più importante di tutti, del danno grave e continuativo che tutto questo comporta per la fauna selvatica e per il patrimonio di biodiversità, un vero e proprio disastro ambientale. Questione ancor più grave se vista alla luce dell’altissima tutela costituzionale degli animali selvatici e degli impegni assunti dalle autorità comunitarie e nazionali in tema di strategia europea per la biodiversità, che obbliga tutti a garantire il miglioramento dello stato di salute degli uccelli in difficoltà e comunque di non deteriorarlo ulteriormente. Impegni che vanno attuati dalle istituzioni, a partire dal ministero dell’Ambiente, mettendo fine a una stagione di incuria, distrazioni, mancate tutele e vere e proprie autorizzazioni alla distruzione della natura».   L'articolo Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo

Orso MJ5 1
Dopo le dichiarazioni del presidente della Provincia autonoma di Trento (PAT), il leghista Maurizio Fugatti, che vuole catturare e abbattere l’orso MJ5 che il 5 marzo ha aggredito un escursionista,  Wwf e Lipu hanno inviato una diffida alla PAT e sottolineano che «Le informazioni attualmente in possesso delle autorità sono oggettivamente scarne, lacunose e prive di fondamentali dettagli necessari a chiarire la dinamica dell’incidente e non possono quindi ritenersi in alcun modo sufficienti a motivare l’intenzione di abbattere l’animale così come espressa dalla PAT. E’ infatti essenziale verificare in via prioritaria, se il comportamento del soggetto sia stato conforme alle norme di prudenza alle quali deve attenersi chiunque si trovi in aree naturali, ancor di più quando si ha la consapevolezza di trovarsi in zone notoriamente frequentate da grandi carnivori. Ciò diventa ancor più necessario se si considera che l’orso bruno, normalmente, teme l’uomo e se ne mantiene a distanza, cercando di evitare incontri più o meno ravvicinati. Gli episodi di attacco all’uomo sono difatti molto rari e nella quasi totalità dei casi sono determinati da una percezione di minaccia determinata da atteggiamenti scorretti assunti dall’uomo e dall’assenza di vie di fuga». Per le due associazioni protezionistiche, «Questi elementi assumono un valore ancor più rilevante se si considera che l’orso in questione, MJ5, figlio di Maya e Joze (due degli esemplari introdotti dalla Slovenia all’inizio del progetto Life Hursus) è un maschio adulto di 18 anni che in passato non si era mai reso protagonista di altri episodi simili, né aveva manifestato comportamenti a rischio. Nonostante tali evidenti carenze istruttorie e senza tenere in debita considerazione elementi potenzialmente decisivi come il fatto che l’escursionista era accompagnato da un cane, la PAT è frettolosamente giunta alla solita semplicistica conclusione, l’abbattimento dell’orso, contrastante con principi di proporzionalità e ragionevolezza e motivata da ragioni esclusivamente politiche che nulla hanno a che fare con la tutela della pubblica incolumità». Per queste ragioni le Wwf e Lipu «Sono pronte ad agire in tutte le sedi, anche giudiziarie per tutelare il fondamentale principio di tutela dell’ambiente e della biodiversità sancito dall’art. 9 della Costituzione». L'articolo Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le foreste zombie del riscaldamento globale (VIDEO)

foreste zombie
Lo studio “Low-elevation conifers in California’s Sierra Nevada are out of equilibrium with climate”, pubblicato recentemente su Pnas Nexus da un team di ricercatori della Stanford Unversity. rivela che «Un quinto delle foreste di conifere della Sierra Nevada della California è “arenato” in habitat che per loro sono diventati troppo caldi» I ricercatori della Stanford hanno creato mappe che mostrano dove il clima più caldo ha portato gli alberi a sopravvivere in condizioni non adatte, rendendoli più inclini a essere sostituiti da altre specie.  Gli scienziati statunitensi dicono che «I risultati potrebbero aiutare a informare gli incendi a lungo termine e la gestione dell'ecosistema in queste "foreste di zombi"». Come spiega efficacemente Rob Jordan dello Stanford Woods institute for the environment, «Come un vecchio improvvisamente consapevole che il mondo è andato avanti senza di lui, la conifera originaria delle quote più basse della catena montuosa della Sierra Nevada in California si trova in un clima irriconoscibile». Lo studio  evidenzia che «Circa un quinto di tutte le foreste di conifere della Sierra Nevada - emblema della natura selvaggia del West - sono in “mancata corrispondenza" con il clima caldo delle loro regioni» e  fa notare come «Queste  "foreste di zombi" stiano temporaneamente ingannando la morte, probabilmente per essere sostituite con specie di alberi meglio adattate al clima dopo uno dei sempre più frequenti incendi catastrofici della California». Il principale autore dello studio, il biologo Avery Hill  dela School of humanities & sciences di Stanford, sottolinea che «I gestori delle foreste e degli incendi devono sapere dove le loro risorse limitate possono avere il maggiore impatto. Questo studio fornisce una solida base per capire dove è probabile che si verifichino le transizioni forestali e come questo influenzerà i futuri processi ecosistemici come i regimi degli incendi». Nel novembre 2021, Hill e Christopher Field hanno pubblicato su Naturommunications lo studio “Forest fires and climate-induced tree range shifts in the western US” che dimostra come gli incendi abbiano accelerato lo spostamento degli areali degli alberi negli Usa occidentali. Le conifere della Sierra Nevada, come il pino ponderosa, il sugar pine e l'abete Douglas, sono tra gli esseri viventi più alti e massicci della Terra e mentre dagli anni ’30 le temperature nel loro areale si erano riscaldate in media di poco più di 1 grado Celsius, gli ultimi anni hanno visto un'ondata gigantesca di nuovi residenti umani attratti verso le quote più basse della Sierra Nevada da paesaggi spettacolari, stili di vita rilassati e relativa convenienza. Gli scienziati dicono che «La combinazione di clima più caldo, più costruzioni e una storia di soppressione degli incendi hanno alimentato incendi sempre più distruttivi, rendendo i nomi di comunità come Paradise e Caldor sinonimo della furia di Madre Natura». Hill e i suoi coautori hanno iniziato analizzando i dati sulla vegetazione risalenti a 90 anni fa, quando la stragrande maggioranza del riscaldamento causato dall'uomo doveva ancora verificarsi. Basandosi su queste informazioni,  hanno realizzato un modello computerizzato che ha dimostrato che «Dagli anni ’30, l'elevazione media delle conifere si è spostata di 34 metri verso l'alto, mentre le temperature più adatte per le conifere hanno superato gli alberi, spostandosi mediamente di 182 metri in salita. In altre parole, la velocità del cambiamento climatico ha superato la capacità di molte conifere di adattarsi o spostare il proprio areale, rendendole altamente vulnerabili alla sostituzione, soprattutto dopo gli incendi boschivi». Lo studio stima che «Circa il 20% di tutte le conifere della Sierra Nevada non corrisponda al clima che le circonda. La maggior parte di quegli alberi non corrispondenti si trova al di sotto di un'altitudine di 2.356 metri. La prognosi: anche se l'inquinamento globale che intrappola il calore arrivasse al limite inferiore delle proiezioni scientifiche, il numero di conifere della Sierra Nevada non più adatte al clima raddoppierà entro i prossimi 77 anni». Field, direttore dello Stanford Woods Institute for the Environment della Stanford Doerr School of Sustainability, aggiunge: «Dato il gran numero di persone che vivono in questi ecosistemi e l'ampia gamma di servizi ecosistemici che conferiscono, dovremmo considerare seriamente le opzioni per proteggere e migliorare le caratteristiche che sono più importanti». Le prime mape rwalizxzate dallo studio – uniche nel loro genere - dipingono un quadro  «Territori in rapida evoluzione che richiederanno una gestione più adattativa degli incendi boschivi che eviti la soppressione e la resistenza al cambiamento per l'opportunità di dirigere le transizioni forestali a beneficio degli ecosistemi e delle comunità vicine. Allo stesso modo, gli sforzi di conservazione e di rimboschimento post-incendio dovranno prendere in considerazione come garantire che le foreste siano in equilibrio con le condizioni future. Una foresta bruciata dovrebbe essere ripiantata con specie nuove nella zona? Gli habitat che si prevede andranno fuori equilibrio con il clima di un'area dovrebbero essere bruciati in modo proattivo per ridurre il rischio di incendi catastrofici e la corrispondente conversione della vegetazione?» Hill conclude: «Le nostre mappe impongono alcune discussioni essenziali e difficili su come gestire le imminenti transizioni ecologiche. Queste conversazioni possono portare a risultati migliori per gli ecosistemi e le persone». L'articolo Le foreste zombie del riscaldamento globale (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’assurda discussione sul prolungamento dell’aeroporto della Pila

Aeroporto prolungamento
La discussione sull’ampliamento dell’Aeroporto di Campo nell’Elba non meriterebbe nemmeno di essere affrontata se non fosse per l’impegno, legittimo ma probabilmente sprecato, dello staff di Alatoscana nel tentativo di spingere la Regione, quale disponibile socio di maggioranza, a finanziare un’opera che ha zero possibilità di essere economicamente sostenibile, con un impatto ambientale, urbanistico e idrogeologico insostenibile, e che comunque, anche se l’opera fosse finanziata, andrebbe sottoposto a VIA. L’allungamento della pista di 306 metri, con ampliamenti, sarebbe necessario per garantire la continuità territoriale aerea, peccato che la continuità territoriale, se vogliamo limitarci alle destinazioni di Pisa e Firenze, necessiti più che altro del finanziamento programmato fino a ieri dalla Regione e non di centinaia di metri di ampliamenti che comporteranno lo spostamento della strada provinciale Anello Occidentale, l’abbattimento di diverse abitazioni, lo spostamento di uno dei fossi a maggior rischio idrogeologico, il tutto in una zona “rossa” dalla quale sono partiti in soli 9 anni due alluvioni che dimostrano che il ritorno duecentennale degli eventi estremi dei quali parla Ala Toscana è un ricordo spazzato via dal cambiamento climatico, come sa bene – o dovrebbe saper bene – la Regione Toscana che nella piana campese ha speso molti milioni di euro per mettere “in sicurezza” un territorio che ora l’ampiamento dell’Aeroporto vanificherebbe con un’ulteriore impermeabilizzazione del territorio. Secondo i fan del progetto, l’allungamento della pista permetterebbe l’atterraggio degli ATR 72 che alimenterebbero così il traffico turistico. Si dimentica che il traffico turistico aereo che ha l’Elba come destinazione potrebbe essere soddisfatto da un adeguato collegamento/navetta veloce fra Pisa e Piombino coincidente finalmente (e davvero) con alcune navi in partenza o in arrivo con costi, per i contribuenti, infinitamente minori e con una positiva ricaduta anche sulle esigenze degli stessi elbani. Si dimentica inoltre che gli ATR verrebbero impiegati per un massimo di 8/10 settimane all’anno. Nelle altre 40 la continuità territoriale aerea dovrebbe essere garantita dagli stessi aeromobili che lo hanno fatto finora. Ciliegina sulla torta, l’obiettivo di tutto questo ambaradan è di raggiungere i 20.000 passeggeri annui (fra andata e ritorno), una frazione infinitesimale del turismo che attualmente frequenta la nostra isola e che rappresenta il numero già raggiunto nel 2015, con l’attuale pista. Allora a che serve allungare la pista? A quanto pare i campesi saranno chiamati a votare in un referendum sul sì o il no all’aeroporto (cioè a questo progetto di aeroporto), ma deve essere chiaro che andranno a votare su un progetto fatto e finanziato da chi vuole fare  il lavoro, quindi non da enti pubblici e per interesse pubblico. E veniamo ai costi. Il costo valutato del progetto di ampliamento è di 18 milioni di euro. Il costo reale a fine opera, visti gli aumenti intervenuti in questi anni e la normale levitazione “all’italiana” dei costi in corso d’opera sarà probabilmente oltre i 35/40 milioni. A questi sono da aggiungersi gli espropri forzati oltre agli indennizzi dei residenti nelle case che andrebbero demolite. Vi sono poi costi non ancora esplicitati, le dotazioni di manutenzione per gli ATR, serbatoi per il carburante e distaccamento dei Vigili del fuoco oltre a sistemi di sicurezza da implementare. Il tutto per portare all’Elba poche decine di bus con le ali e scaricando sui contribuenti i costi, mentre l’affare – anche abbastanza limitato – lo faranno davvero solo pochi privati. Un pessimo affare, in particolare per gli elbani.  E’ abbastanza incredibile che in un’isola servita da traghetti vetusti e inquinanti, a volte vere e proprie carrette dei mari, ormai superati secondo le direttive europee e le normative internazionali, si pensi a spendere cifre gigantesche in un aeroporto che porterà – forse - poche migliaia di turisti mentre gli investimenti andrebbero destinati al rinnovo della continuità territoriale marittima con navi in grado di assicurare il servizio anche in condizioni meteo marine perturbate nella stagione invernale e collegamenti multimodali (mare/rotaia o mare/strada) con Livorno, Pisa e Firenze e, non ultimo, con il finanziamento di un Trasporto Pubblico Locale finalmente in grado di scoraggiare i residenti e i turisti dall’impiego massivo delle auto private. Invece la Regione Toscana sembra voler tagliare all’Elba tratte dei bus che portano a diverse frazioni elbane, comprese alcune campesi. Alla Regione Toscana chiediamo di rivedere le sue priorità sui trasporti puntando innanzitutto a soddisfare i reali bisogni degli elbani e dei turisti non ripetendo il disastro monopolistico combinato con la privatizzazione della Toremar. La continuità territoriale è un diritto della cittadinanza e non un'arma di ricatto per convincere gli amministratori comunali e gli elbani ad accettare un'opera infrastrutturale che sconvolge il territorio dell'isola per far atterrare pochi bus con le ali. Il ricatto o ampliamento o chiusura dell’aeroporto non funziona perché a dirlo sono le stesse cifre su passeggeri e traffico fornite a da Alatoscana. L’aeroporto può fare – ed ha fatto – quei numeri così come è, e potrà continuare a farli. magari con un minimo restyling e adeguamenti infrastrutturale. Inoltre, è abbastanza strano che si punti a ampliare l’aeroporto con un impatto ambientale e urbanistico insostenibile mentre altri Paesi – e la stessa Ue – stanno discutendo di sopprimere le tratte minori raggiungibili con 2 – 4 ore di treno. La Regione e i Comuni se vogliono davvero dare agli elbani dei trasporti moderni, avveniristici e sostenibili devono puntare sul trasporto pubblico, su traghetti non inquinanti e puntuali e su collegamenti ferroviari numerosi, rapidi, con coincidenze certe, che non lascino gli elbani e i turisti a terra mentre parte il traghetto per l’Elba o il bus e il treno per Campiglia Marittima. In un’isola – e in una regione – che non ce la fa nemmeno a garantire questi diritti di base (più volte promessi con impegni solenni), l’ampiamento dell’aeroporto sembra la fuga in avanti verso un nuovo fallimento economico e trasportistico. Non è così che si fanno gli interessi dell’Elba, del suo ambiente, della sua economia e del suo futuro sostenibile. 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Biden approva il Willow project. Estrazione di petrolio e gas nel territorio protetto dell’Alaska

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Il dipartimento degli interni Usa ha approvato il Willow project, una contestaa concessione di licenze di trivellazione di idrocarburi avanzata da  ConocoPhillip sul North Slope dell'Alaska. In base al piano approvato dall'amministrazione Biden, ConocoPhillips sarà autorizzata a sviluppare tre pozzi (ne aveva chiesti 5), in uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali e potrebbe emettere circa 287 milioni di tonnellate di inquinamento da carbonio nei prossimi 30 anni, equivalenti alla riattivazione di un terzo di tutte le centrali a carbone negli Stati Uniti. La decisione arriva dopo che, il giorno prima. l'amministrazione Biden aveva annunciato nuove protezioni per le terre e le acque artiche, vietando le trivellazioni di petrolio e gas su milioni di acri della National Petroleum Reserve-Alaska e del Mare Artico. Le associazioni ambientaliste, le comunità indigene e diversi parlamentari democratici si erano opposti al controverso progetto Willow, una "bomba di carbonio" che bloccherebbe per decenni gli sforezi Usa per uscire dai combustibili fossili. Ben Jealous, direttore esecutivo del Sierra Club, la più grande associazione ambientalista Usa (molto vicina ai democratici) ha duramente criticato la decisione: «Non possiamo trivellare la nostra strada verso un futuro sostenibile. Dobbiamo conservare le terre pubbliche, non svenderle alle multinazionali che inquinano. Gli effetti dannosi della decisione del presidente Biden non possono essere sottovalutati. Consentendo a ConocoPhillips di portare avanti questa operazione, lui e la sua amministrazione hanno reso quasi impossibile raggiungere gli obiettivi climatici che si erano prefissati per i terreni pubblici. Willow sarà una delle più grandi operazioni di petrolio e gas su terreni pubblici federali del Paese e l'inquinamento di carbonio che rilascerà nell'aria avrà effetti devastanti per le nostre comunità, la fauna selvatica e il clima. Ne subiremo le conseguenze per i decenni a venire. Mentre celebriamo le protezioni senza precedenti dell'amministrazione per i territori e le acque dell'Alaska, la decisione di approvare il progetto Willow potrebbe benissimo spazzare via molti di questi benefici climatici ed ecologici. E approvando uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali, ci si deve porre la domanda su cosa ha in serbo l'amministrazione Biden per l'Arctic Refuge». Anche People vs. Fossil Fuels, una coalizione nazionale di oltre 1.200 organizzazioni in prima linea, per la giustizia climatica e progressiste – tra le quali quelle indigena di Sovereign Iñupiat for a Living Arctic e l’ Alaska Wilderness League  - ha condannato fermamente l'amministrazione Biden per la sua decisione di approvare il Willow Oil Drilling Project che è stato fortemente osteggiato dalla comunità della giustizia ambientale e climatica, Secondo la coalizione, «La decisione ignora l'opposizione diffusa che è cresciuta rapidamente dal 1° febbraio, quando l'amministrazione Biden ha segnalato che avrebbe approvato il progetto nel rilascio della sua dichiarazione finale sull'impatto ambientale». Nel mese successivo, oltre 2,3 milioni di nuove osservazioni sono stati presentati alla Casa Bianca, sollecitando il presidente Biden a negare il progetto. I video #StopWillow di una vasta gamma di giovani creativi  sono diventati virali online, con oltre 200 milioni di visualizzazioni stimate sulle piattaforme social. Per People vs. Fossil Fuels, «Il Willow Oil Project ci blocca in decenni di inquinamento da combustibili fossili in un momento in cui abbiamo un disperato bisogno di fermare tutti i nuovi progetti di combustibili fossili e iniziare rapidamente a eliminare gradualmente la produzione esistente. L'approvazione è una negazione della scienza climatica e contraddice direttamente l'impegno dell'amministrazione di proteggere le aree selvagge dell'Alaska dall'estrazione di risorse e gli obiettivi climatici dichiarati da Biden». La coalizione della quale fa parte anche Greenpeace Usa evidenzia che «Gli scienziati globali sono stati assolutamente chiari: dobbiamo porre fine all'espansione dei combustibili fossili se vogliamo evitare una devastazione climatica irreversibile e danni immediati alle comunità in prima linea. L'approvazione di un nuovo imponente progetto di trivellazione petrolifera che si stima rilascerà 280 milioni di tonnellate di gas serra quando siamo già in un'emergenza climatica sta segnando il nostro futuro.  poteri presidenziali di Biden gli consentono di rifiutare tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili e dichiarare un'emergenza climatica che garantirebbe la sopravvivenza delle nostre comunità e del nostro pianeta. Invece, sta scegliendo di ingrassare i portafogli degli amministratori delegati del petrolio espandendo l'infrastruttura dei combustibili fossili che ci spingerà ulteriormente nel caos climatico. La lotta per #StopWillow e tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili non è finita. Il nostro movimento per combattere i fossili continua a crescere e continueremo a lottare per un futuro vivibile in linea con la scienza e la giustizia». Christy Goldfuss, chief policy impact officer del Natural Resources Defense Council, conclude: «Questo è un grave errore. Dà il via libera a una bomba al carbonio, frena la lotta per il clima e incoraggia un'industria decisa a distruggere il pianeta. E’ sbagliato per il clima e sbagliato per il Paese. Willow è un progetto fuori dal tempo. Con la scienza che chiede di porre fine ai combustibili fossili, questo ci blocca in decenni di maggiore dipendenza dal petrolio. Con la crisi climatica che peggiora di giorno in giorno, questo ha la stessa impronta di carbonio annuale di circa 1,1 milioni di case, più di quelle di Chicago. Con gli investimenti nell’energia pulita che guidano un rinascimento manifatturiero, questo progetto riporta il nostro futuro ai carburanti del passato. Prenderemo in considerazione ogni strumento appropriato nella nostra continua lotta per fermare la bomba climatica di Willow». L'articolo Biden approva il Willow project. Estrazione di petrolio e gas nel territorio protetto dell’Alaska sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci europei

Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci
Lo studio “Sea temperature is the primary driver of recent and predicted fish community structure across Northeast Atlantic shelf sea”, pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori britannici e norvregesi ha analizzato il mare in una vasta area che si estende dal Portogallo meridionale alla Norvegia settentrionale evidenziando  l'importanza della temperatura nel determinare dove si trovano le specie ittiche. I ricercatori dicono che «Confermando la temperatura come fattore chiave della variazione spaziale su larga scala negli assemblaggi ittici, lo studio è stato in grado di utilizzare le proiezioni climatiche future per prevedere dove le specie saranno più comuni entro il 2050 e il 2100». Lo studio, finanziato dal Natural Environment Research Council [NERC] e dall'Office for Science del governo del Regno Unito, che ha incluso 198 specie di pesci marini provenienti da 23 sondaggi e 31.502 campioni raccolti da scienziati della pesca tra il 2005 e il 2018, è  il primo del suo genere a utilizzare i dati delle indagini sulla pesca su un'area così vasta per valutare in che modo le variazioni ambientali determinano la distribuzione delle specie e i risultati dimostrano che «Nel complesso, i maggiori cambiamenti a livello di comunità sono previsti in luoghi con maggiore riscaldamento, con gli effetti più pronunciati più a nord, a latitudini più elevate». Martin Genner , professore di ecologia evolutiva presso la School of Biological Sciences dell'Università di Bristol , che ha guidato la ricerca, hasottolineato che «Questo studio unico riunisce i dati delle indagini sulla pesca provenienti da questo ecosistema marino di vitale importanza. Utilizzando queste informazioni, siamo in grado di dimostrare in modo conclusivo l'importanza su larga scala della temperatura del mare nel controllare il modo in cui si assemblano le comunità ittiche». L’autrice principale dello studio, Louise Rutterford del Centre for Environment Fisheries and Aquaculture Science (Cefas) e delle università di Exeter e Bristol, Bristol, evidenzia che «L'analisi del team ha dimostrato come la temperatura si sia rivelata la variabile più critica per determinare dove si trovano le specie, con la profondità dell'acqua e la salinità che sono anche fattori importanti. Questo ci ha permesso di utilizzare modelli predittivi per saperne di più su come i pesci risponderanno al riscaldamento climatico nei prossimi decenni». Steve Simpson delle università di Exeter e Gristol, che ha supervisionato la ricerca, conclude: «Lo studio si aggiunge a un numero crescente di prove che indicano che il futuro riscaldamento causato dal clima porterà a cambiamenti diffusi nelle comunità ittiche, con conseguenti potenziali modifiche alle catture della pesca commerciale in tutta la regione». L'articolo Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci europei sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La Russia esporta diesel in Arabia Saudita. Profitti record per Aramco

La Russia esporta diesel in Arabia Saudita
Secondo la Reuters, l'Arabia Saudita ha aumentato le importazioni di diesel russo sia tramite trasferimenti diretti che da nave a nave (STS). La monarchia assoluta del Golfo ha ricevuto a febbraio le prime 190.000 tonnellate di carburante russo nei porti di Ras Tanura e Jeddah e la Russia ha iniziato a esportare gasolio verso il suo alleato dell’OPEC+ dopo che il 5 febbraio è entrato in vigore l'embargo dell'Unione europea e del G7 sulle importazioni via mare di prodotti raffinati russi. Peccato che l’Arabia saudita sia (era?) anche un alleato di ferro degli americani e degli europei. Oggi i giornali russi, a cominciare dalla putiniana RT, confermano che, come mostrano i dati di spedizione di Refinitiv «Due carichi con un totale di 99.000 tonnellate di gasolio sono stati caricati nel porto di Primorsk sul Mar Baltico in Russia e sono stati trasferiti nave a nave su un'altra nave cisterna diretta al porto di Ras Tanura in Arabia Saudita».  E, sempre secondo Refinitiv, un altro carico che trasportava 30.000 tonnellate di gasolio è salpato dal porto russo di Tuapse sul Mar Nero e anche questa spedizione ha utilizzato la tecnica del trasbordo da nave a nave vicino al porto greco di Kalamata per trasferire il gasolio a un'altra petroliera che aveva già scaricato il carburante nel porto di Jizan in Arabia Saudita. Refinitiv spiega che «I trasferimenti STS aiutano ad accorciare le rotte costose per le petroliere dirette in Africa, Asia e altre destinazioni». Mentre l?Unione europea ha introdotto limiti di prezzo e restrizioni sulle importazioni di carburante russo, Mosca ha diversificato con successo le sue spedizioni, con Cina, India, Türchia e altri Paesi che hanno aumentato gli acquisti del suo petrolio e dei suoi prodotti petroliferi. Insomma, il gasolio russo che abbiamo bloccato alla porta potrebbe rientrarci dalla finestra e l’Arabia saudita e altri Paesi “amici” dell’Occidente riesporteranno il diesel russo facendocelo pagare di più. Il tutto mentre nel 2022 il gigante petrolifero saudita Saudi Aramco ha registrato guadagni record grazie all'aumento dei prezzi del greggio provocato dalla guerra in Ucraina. La compagnia petrolifera saudita ha rivelato che i suoi profitti sono saliti a 161 miliardi di dollari, con un aumento del 46% rispetto ai 110 miliardi di dollari realizzati nel 2021 e che sono i più alti mai registrati: «I guadagni record sono stati sostenuti da prezzi del petrolio greggio più elevati, maggiori volumi venduti e margini migliorati per i prodotti raffinati». Fra questi c’è probabilmente anche il gasolio russo comprato a basso prezzo e ri-esportato. E, fregandosene del cambiamento climatico e dei tagli alle emissioni, Aramco ha annunciato che la sua produzione di greggio nel 2022 è stata di circa 11,5 milioni di barili al giorno e che intende raggiungere gradualmente i 13 milioni di barili al giorno entro il 2027. Per farlo prevede di investire circa 55 miliardi di dollari quest'anno, Il CEO di Aramco, Amin H. Nasser, ha dichiarato: «Dato che prevediamo che petrolio e gas rimarranno essenziali per il prossimo futuro, i rischi di investimenti insufficienti nel nostro settore sono reali, incluso il contributo all'aumento dei prezzi dell'energia. Per sfruttare i nostri vantaggi unici su larga scala ed essere parte della soluzione globale, Aramco ha intrapreso il più grande programma di spesa in conto capitale della sua storia». Intanto ieri Bloomberg ha scritto che l'India ha annunciato che aderirà alle sanzioni occidentali introdotte contro Mosca e che sosterrà il limite dei prezzi del petrolio russo fissati a 60 dollari al barile da Ue, G7 e Australia, Il governo di destra induista di New Dehli avrebbe esortato banche e commercianti a rispettare questo regolamento. Ma finora l’India non ha annunciato  pubblicamente che aderirà alle sanzioni anti-russe. Finora, la realtà è che le raffinerie cinesi sono in competizione con quelle indiane per comprare i volumi di aprile di petrolio ESPO russo a basso contenuto di zolfo trasportato via mare e la Cina e l'India sono diventate i principali acquirenti di greggio russo. La Cina, che acquista l'intero volume del greggio ESPO spedito dal porto di Kozmino nel Pacifico, a marzo dovrebbe importare volumi record di petrolio russo. Per aprile, le raffinerie di Reliance Industries e Nayara Energy dovrebbero comprare almeno 5 dei circa 33 carichi carichi di greggio ESPO approfittando dei loro prezzi bassi. A marzi gli indiani avevano comprato un solo carico, il primo del 2023 dopo i tre carichi acquistati nel novembre 2022. I prezzi per il greggio ESPO russo per aprile in India erano di circa 5 dollari al barile al di sotto delle quotazioni di Dubai. L'aumento della domanda ha addirittura spinto i prezzi dell’ESPO russo acquistata dalle raffinerie indiane al di sopra del tetto massimo di 60 dollari al barile fissato dal G7 per il greggio navale russo. Anche la Cina ha anche acquistato ESPO al di sopra del livello del prezzo massimo. Per ridurre l'esposizione al rischio, gli importatori di petrolio russo stanno utilizzando valute diverse dal dollaro per liquidare alcuni carichi di geggio russo e stanno anche chiedendo ai venditori di gestire la spedizione e la copertura assicurativa. La concorrenza dell’India con la Cina ha ridotto gli sconti per le spedizioni ESPO di aprile a circa 6,80 dolari al barile rispetto alla base ICE Brent DES di giugno per la Cina settentrionale, rispeeto agli 8,50  dollari al barile dei carichi di marzo. Il greggio di Murban di qualità simile all’ESPO russo e proveniente da Abu Dhabi è stato scambiato con un premio di circa 3,30 dollari al barile rispetto alle quotazioni di Dubai su base franco bordo, mentre il greggio di Murban caricato ad aprile è di circa 9 dollari al barile più costoso dell’ESPO consegnato dai russi alla Cina e all’India . A marzo, le spedizioni di petrolio russo in Cina dovrebbero raggiungere il massimo storico di quasi 43 milioni di barili, inclusi almeno 20 milioni di barili di ESPO. Secondo quanto riportato da The Hindu, a febbraio, le esportazioni di petrolio russo verso l'India, il terzo importatore di greggio al mondo dopo Cina e Stati Uniti, erano salite a un record di 1,62 milioni di barili al giorno (bpd) e Vortexa, che traccia le rotte delle petroliere, dice che le cifre suggeriscono che per il quinto mese consecutivo la Russia è stata il  più grande fornitore di greggio dell'India, con un più 28% su base mensile, superando le consegne combinate dall'Iraq e dall'Arabia Saudita, i principali fornitori dell'India per decenni. Le importazioni dall'Arabia Saudita sono diminuite del 16% su base mensile a 647.800 barili al giorno, mentre le consegne dall'Iraq sono ammontate a circa 939.900 barili al giorno. La Russia ora fornisce il 35% di tutte le importazioni di petrolio dell'India, un aumento significativo rispetto alla sua quota di meno dell'1% del mercato energetico indiano nel 2021. detto Serena Huang,  capo analisi Asia-Pacifico di Vortexa conferma: «Le raffinerie indiane stanno beneficiando di un aumento dei margini di raffinazione grazie alla lavorazione del greggio russo scontato... È probabile che l'appetito delle raffinerie per le importazioni di barili russi rimanga robusto fintanto che l'economia sarà favorevole e saranno disponibili servizi finanziari e logistici a supporto del commercio». L'articolo La Russia esporta diesel in Arabia Saudita. Profitti record per Aramco sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Al via la stagione 2023 dei campi di volontariato con Legambiente

campi di volontariato con Legambiente
A Pasqua si inaugura la nuova stagione dei campi di volontariato organizzati da Legambiente, in Italia e all’estero, per adulti (dai 18 anni), ragazzi (15-17 anni) e famiglie, cioè bambini (4-13 anni) accompagnati da uno o più adulti. Diverse le proposte del Cigno Verde, la maggior parte per il periodo che va da giugno a settembre. Un’occasione unica per sentirsi cittadini attivi, mettersi in gioco, dando un contributo concreto alla salvaguardia del territorio, all’insegna della giustizia sociale e climatica, della tutela di ambiente, paesaggio e biodiversità; con workshop dedicati e momenti formativi e di citizen science, come nei campi costieri con attività di raccolta e catalogazione dei rifiuti spiaggiati secondo il protocollo europeo del Beach Litter. In Italia, per esempio, gli adulti possono in Abruzzo occuparsi del recupero e della valorizzazione delle architetture spontanee in pietra a secco e dei sentieri, parte delle antiche vie tratturali: opere murarie e infrastrutture legate alla storia millenaria degli agricoltori e dei pastori sulle montagne, e alla tradizione della transumanza, inserita dall'UNESCO nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale. O decidere di partecipare in Toscana, ai due campi di volontariato - organizzati nella tenuta di San Rossore a Pisa e nel Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli - per preservare e recuperare gli ambienti naturali di una delle zone umide più importanti del Tirreno, con attività di sentieristica, pulizia e monitoraggio della flora invasiva. O ancora optare per un’estate in Sicilia, nella suggestiva Isola di Lampedusa (AG) per la tutela della spiaggia dei Conigli, un delicato ambiente costiero, e per la protezione e la sorveglianza dei nidi della tartaruga Caretta caretta. Gli adulti e i ragazzi possono regalarsi un’esperienza di volontariato in Sardegna, nella penisola del Sinis, in collaborazione con l’Area Marina Protetta Penisola del Sinis – Isola di Mal di Ventre, per sensibilizzare e informare turisti e cittadini sulla corretta fruizione delle spiagge. O di prendere parte ai numerosi campi di volontariato, dal Cilento in Campania alla costa degli Etruschi in Toscana, in collaborazione con ASD Swimtrekking, con attività di nuoto esplorativo e raccolta di rifiuti presenti in mare. E ancora in Puglia, i ragazzi possono scegliere Gallipoli (LE) per i campi di volontariato sull’antincendio boschivo e sulle dinamiche naturali e antropiche del sistema costiero. Infine, per le famiglie, in Molise e in Abruzzo, l'associazione ambientalista ha pensato ad una ricca offerta di attività dedicate ai bambini, agli adulti e da poter fare insieme. Queste solo alcune delle proposte attive e che si arricchiranno nel corso dei mesi. Non solo attività nelle diverse regioni italiane. Legambiente propone centinaia di campi all’estero, grazie alla collaborazione con altre organizzazioni di volontariato: in Europa, ma anche in Asia, America centrale e meridionale e in Africa. Per avere maggiori informazioni e iscriversi ai campi è possibile consultare le varie sezioni del sito del volontariato di Legambiente, suddiviso per categorie. Per aderire ai campi organizzati dall’associazione ambientalista sono previste una quota di partecipazione (comprensiva di vitto e alloggio), che serve a coprire le spese del settore Volontariato, e la sottoscrizione della tessera soci di Legambiente che dà diritto anche alla copertura assicurativa. Il numero di partecipanti previsti per ciascun campo è limitato e l’iscrizione è possibile fino a esaurimento posti. L'articolo Al via la stagione 2023 dei campi di volontariato con Legambiente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Al via il meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report

meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report
Oggi a Interlaken, in Svizzera è iniziata la riunione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che entro il 17 marzo dovrebbe  approvare il rapporto di sintesi del Sixth Assessment Report, la parte finale che Integra e riassume i risultati dei 6 rapporti pubblicati dall'IPCC durante l'attuale ciclo iniziato nel 2015 e che include 3 Special Reports e 3 contributi dell’IPCC Working Group al Sixth Assessment Report. Durante questo meeting, l'IPCC approverà riga per riga, il Summary for Policymakers del Synthesis Report  e adotterà anche il rapporto più lungo sezione per sezione. Aprendo la riunione il presidente dell'IPCC Hoesung Lee ha spiegato che «Una volta approvato, il Synthesis Report diventerà un documento politico fondamentale per plasmare l'azione per il clima nel resto di questo decennio cruciale. Un libro di testo indispensabile per i responsabili politici di oggi e di doman, per affrontare il cambiamento climatico. Non commettiamo errori, l'inazione e i ritardi non sono elencati come opzioni» Il consigliere federale svizzero Albert Rösti ha dato il benvenuto a oltre 650 delegati presenti a questa plenaria dell'IPCC: «I risultati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change aiutano noi, responsabili politici, a prendere decisioni informate per affrontare il cambiamento climatico. La scienza e la conoscenza devono svolgere un ruolo centrale nel plasmare il nostro processo decisionale, guidandoci mentre lavoriamo per mitigare e adattarci agli impatti dei cambiamenti climatici». Il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha ricordato che «Le prove fornite dall'IPCC sul cambiamento climatico sono state chiare, convincenti e inconfutabili. L'IPCC deve ora indicare la strada verso soluzioni, quindi l'urgente necessità di porre fine al riscaldamento globale con la freddezza concreta dei fatti». Il segretario generale della World meteorological organization, Petteri Taalas, ha aggiunto: «Vorrei ringraziare tutti voi per il duro lavoro per quei rapporti, che hanno chiaramente un messaggio chiaro per i responsabili delle decisioni. Dobbiamo accelerare le nostre azioni per il clima. Al momento, ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento troppo elevato e i vari impatti del cambiamento climatico sono già molto visibili in tutto il mondo». Anche la direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme, Inger Andersen, ha chiesto ai delegati di «Non commettere errori, quio la parola chiave è azione. Abbiamo bisogno di più azioni da parte dei governi, imprese e investitori, anzi da parte di tutti. Il lavoro dell'IPCC, al quale fa eco quello dell'UNEP con la sua ricerca, ci dice che abbiamo la conoscenza e la tecnologia di cui abbiamo bisogno. Che possiamo iniziare a ridurre drasticamente le emissioni e ad aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi ai cambiamenti climatici. E che agendo sul clima, stiamo agendo anche sulla natura e sulla perdita di biodiversità e sull'inquinamento e i rifiuti: gli altri due poli della tripla crisi planetaria». Dopo aver ricordato di aver detto alla Cop27 Unfccc che avrebbe incrementato la collaborazione e una partnership più stretta e produttiva  con l’IPCC, il nuovo segretario esecutivo dell’United Nations framework convention on climate change, Simon Stiell,  ha sottolineato che «Le vostre valutazioni sono fondamentali per l'Unfccc e per l'intero spettro dei processi per affrontare il cambiamento climatico. Il vostro lavoro negli ultimi 5 anni - il più duro e ambizioso nella storia dell'IPCC - ha trasformato la comprensione del cambiamento climatico. Da parte dell’opinione pubblica. Avete esposto i fatti, i rischi e le opportunità. Ora il rapporto di sintesi mette insieme questa storica impresa scientifica. Sarà un contributo chiave per il Global Stocktake entro la fine dell'anno. Abbiamo bisogno di questo rapporto per la COP28 e tutti gli incontri in tutto il mondo nei prossimi 9 mesi, dove il clima deve rimanere in cima all'agenda». Per questo Stiell ha esortato i rappresentanti dei governi nell’IPCC a «Lavorare insieme in modo collegiale e produttivo questa settimana per ottenere un risultato tempestivo. Non cavillate su virgole e fraseologia. Concentratevi sul messaggio principale, l'entità del problema che dobbiamo affrontare. Il Global Stocktake di quest'anno è per noi un'opportunità per correggere il danno. Sappiamo già cosa ci dirà il rapporto. E non è abbastanza buono. Tracciamo quindi un percorso partendo  dai chiari messaggi che l’AR6 ci ha dato. L'IPCC ha dimostrato come le attività umane come bruciare combustibili fossili e cambiare il modo in cui usiamo la terra stanno cambiando il nostro clima. Non ci ha lasciato dubbi sui rischi che corriamo se non facciamo nulla. E ha illuminato le opportunità di azione e l'economia delle soluzioni. Conosciamo i costi dell'azione e dell'inazione. Sappiamo di quali tecnologie abbiamo bisogno per l'upscaling. Conosciamo i cambiamenti richiesti per gli investimenti e ai flussi finanziari. Abbiamo opzioni in tutti i settori per dimezzare o più emissioni entro il 2030, con l'economia globale che continui a crescere. Per mantenere gli 1,5° C a portata di mano, abbiamo bisogno di tagli immediati e profondi alle emissioni in tutti i settori e regioni». Stiell  ha concluso: «Sappiamo cosa dobbiamo fare. Ora dobbiamo rafforzare la volontà politica per rendere possibile questa correzione di rotta. L'IPCC indica il percorso che possiamo intraprendere oltre il Global Stocktake. Tracciare una rotta per il 2030, dobbiamo colmare i gap nell'azione e nel sostegno, costruendo allo stesso tempo la resilienza. Quindi, vi auguro una sessione produttiva e fruttuosa, concludendo il Sixth Assessment e fornendo le conoscenze ai responsabili politici per seguire il percorso di cui abbiamo bisogno per un'economia prospera e climaticamente sostenibile in futuro». L'articolo Al via il meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le città italiane sono ancora indietro sui Piani di adattamenti ai cambiamenti climatici

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La crisi climatica avanza velocemente in Europa e in Italia in particolare, dove il 2022 è stato l’anno più caldo almeno dal 1800 e ha portato ad una robusta crescita (+55%) negli eventi meteo estremi. Una tendenza che impone di concretizzare politiche di adattamento (oltre che di mitigazione) a tutti i livelli, di cui è necessario soppesare la bontà. Il nuovo studio Quality of urban climate adaptation plans over time, appena pubblicato su Nature Npj Urban Sustainability da parte di un team internazionale di ricerca – a cui per l’Italia hanno contribuito il Cnr e l’Università di Trento – offre per la prima volta criteri univoci per stabilire la qualità dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici. «Dopo l'Accordo di Parigi del 2015, è cresciuto l’interesse di studiosi e governanti verso la valutazione dei progressi dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici alle diverse scale: in questo contesto, però, manca una metodologia univoca per valutarne la qualità e verificarne i progressi nel tempo – spiega la ricercatrice Monica Salvia del Cnr-Imaa – A tal fine, abbiamo per la prima volta definito un indice di qualità, l’Adaptation plan quality assessment (Adaqa), che ci ha permesso di identificare i punti di forza e di debolezza dei processi di pianificazione dell'adattamento urbano nelle città europee». Tale indice è stato, quindi, calcolato per i 167 Piani di adattamento adottati tra il 2005 e il 2020 in un campione rappresentativo di 327 città medie e grandi di 28 Paesi europei, per valutarne la qualità e l'evoluzione nel tempo. Esaminando le diverse componenti dei Piani, si nota che le città sono migliorate soprattutto nella definizione degli obiettivi di adattamento e nell’identificazione di misure e azioni nei diversi settori. «Nel complesso – aggiunge la ricercatrice Filomena Pietrapertosa (Cnr-Imaa) – i Piani di adattamento delle città europee ottengono una buona valutazione nella descrizione delle misure di adattamento (51% del punteggio massimo), nella definizione degli obiettivi di adattamento (50%) e nella identificazione degli strumenti e processi di attuazione (46%). I risultati mostrano che la qualità dei Piani è migliorata significativamente nel tempo, sia su base annua sia nel corso degli ultimi 15 anni. Viceversa, i Piani presentano carenze nel livello di partecipazione pubblica al processo di definizione del Piano (17%), e nella definizione delle fasi di monitoraggio e di valutazione (20%). Tuttavia, la situazione è in continua evoluzione e in rapido cambiamento». In compenso, il panorama italiano risulta abbastanza indietro, sia in termini di numero di Piani urbani sviluppati, sia in termini di qualità: «Tra le 32 città italiane incluse nel campione, risulta che solo due città - Bologna e Ancona - avevano nel 2020 un Piano di adattamento: una situazione che, probabilmente, risente dell’assenza di un quadro di riferimento nazionale per supportare la definizione di strategie e Piani locali e regionali: il Piano nazionale di adattamento è infatti ancora in fase di adozione», conclude Salvia. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), dopo essere rimasto fermo in bozza nei cassetti ministeriali dal 2017, lo scorso dicembre è stato ripubblicato in una versione parzialmente aggiornata e sta concludendo adesso la fase di consultazione pubblica. L'articolo Le città italiane sono ancora indietro sui Piani di adattamenti ai cambiamenti climatici sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.