Categoria Ambiente

Indagine Bei sul clima: gli italiani più virtuosi di francesi e tedeschi. E chiedono al governo di fare di più

Indagine Bei sul clima
Secondo quanto emerge dalla seconda parte della quinta edizione dell’Indagine annuale della Banca europea per gli investimenti (BEI) sul clima, condotta nell'agosto 2022 e pubblicata oggi, l'81% dei ventenni italiani considera l'impatto climatico delle attività di un potenziale datore di lavoro un fattore rilevante nella scelta di un posto di lavoro, e il 25% addirittura afferma che è una priorità assoluta. L'85% è favorevole all'etichettatura generalizzata dei prodotti alimentari per contribuire a ridurre l’impatto su clima e ambiente. Il 64% sarebbe disposto a pagare di più per alimenti prodotti con criteri di attenzione al clima. Il 64% è favorevole alla creazione di un sistema di bilancio del carbonio per fissare un tetto ai consumi climaticamente più nocivi». La BEI è il braccio finanziario dell’Unione europea e uno dei maggiori finanziatori multilaterali mondiali di progetti in campo climatico, La seconda parte dell’Indagine della BEI sul clima per il 2022-2023 esamina le opinioni dei cittadini sui cambiamenti climatici in un mondo in rapida evoluzione e i risultati di questa edizione si concentrano sui comportamenti individuali e sulle azioni che adottano per contrastare i cambiamenti climatici. L’Indagine evidenzia che «La guerra in Ucraina e le sue conseguenze, tra cui l'aumento dei prezzi dell'energia e l'inflazione, hanno accresciuto in modo significativo le preoccupazioni delle persone riguardo al calo del potere d'acquisto. In Italia, tuttavia, i cambiamenti climatici restano una delle maggiori sfide che il Paese deve affrontare (il 56% degli italiani colloca il degrado climatico o ambientale tra le tre principali sfide nazionali). Oltre tre quarti degli intervistati (80%) affermano di essere convinti che il proprio comportamento possa fare la differenza nell'affrontare l'emergenza climatica, una percentuale di 8 punti percentuali superiore alla media Ue». Molti italiani ritengono  che il governo debba svolgere un ruolo forte quando si tratta di spingere i singoli a modificare il proprio comportamento: «Tre quarti degli italiani (76%) sono favorevoli a misure governative più stringenti che impongano un comportamento diverso delle persone di fronte ai cambiamenti climatici (l'82% degli intervistati sotto i 30 anni sarebbe favorevole a questo tipo di misure)». Con l’entrata di nuovi soggetti nel mercato del lavoro, le considerazioni sulle questioni climatiche tra chi (può) sceglie che lavoro fare lavoro diventano sempre più diffuse. Il rapporto evidenzia che «La maggior parte della popolazione (75%) afferma già che è importante che un potenziale datore consideri la sostenibilità un aspetto prioritario. Per il 25% dei candidati a un posto di lavoro, la sostenibilità è perfino una priorità assoluta. Questa maggioranza è generalizzata e abbraccia tutti i vari orientamenti politici e livelli di reddito». Inoltre, «Quasi due terzi degli italiani intervistati (64%) vedono di buon grado la creazione di un sistema di bilancio del carbonio che destinerebbe un numero fisso di crediti annuali da spendere nei prodotti con una pesante impronta carbonio (beni che non sono di prima necessità, voli aerei, carne, ecc.). Lo stesso parere è condiviso anche dalla maggioranza degli intervistati francesi e tedeschi (rispettivamente il 57% e 56%). È bene sottolineare come questa misura raccolga il consenso della maggior parte degli italiani, indipendentemente dal livello di reddito (70% dei redditi più bassi, 63% della classe media e oltre il 63% degli intervistati nelle fasce di reddito più elevato)». La produzione alimentare contribuisce significativamente alle emissioni di gas serra. Per aiutare le persone a fare scelte più sostenibili quando riempiono il carrello della spesa, l'85% degli italiani è favorevole all'etichettatura generalizzata dei prodotti alimentari per una chiara individuazione dell’impronta climatica dei vari prodotti. Una percentuale vicina a quella francese (83%) e superiore del 5% rispetto a quella tedesca (80%). Inoltre, l 64% degli italiani afferma di essere disposto a pagare un po’ di più per i generi alimentari prodotti localmente e in modo più sostenibile una percentuale che in Francia arriva al 60% e in Germania al 61%. Smentendo una convinzione diffusa – soprattutto tra i politici e i media italiani – il rapporto evidenzia che «La disponibilità a pagare di più per i prodotti alimentari accomuna le varie fasce di reddito, e va dal 62% dei soggetti con reddito inferiore al 68% di quelli a reddito più elevato». Un altro modo efficace per limitare le emissioni di gas serra è quello di ridurre il consumo di carne e prodotti lattiero-caseari e dal rapporto viene fuori che «Più di due terzi degli italiani (68%) sarebbero disposti a contenere la quantità di carne e latticini che le persone possono acquistare». Il 19% più dei tedeschi e l’11% sopra i francesi. Anche questa risposta accomuna i soggetti che appartengono alle varie fasce di età e di reddito. La Vicepresidente della BEI Gelsomina Vigliotti conclude: «I risultati dell'Indagine della BEI sul clima mostrano che gli italiani sono più che disposti a contribuire individualmente alla lotta contro i cambiamenti climatici. Come banca per il clima dell'Ue, apprezziamo molto questo impegno. E’ nostro compito consentire alle persone di agire individualmente per ridurre le emissioni di CO2 e incoraggiare una vita quotidiana più sostenibile. Lo facciamo finanziando servizi green come i trasporti sostenibili, le energie rinnovabili e gli edifici efficienti dal punto di vista energetico, ed anche promuovendo gli investimenti verdi effettuati dalle PMI. Il nostro sostegno ai progetti green in Italia è stato di quasi 5,5 miliardi di euro nel 2022. Continueremo a sostenere iniziative che accelerano la transizione verde e siamo alla ricerca di modi innovativi che contribuiscano alla realizzazione di un futuro prospero che non lascia indietro nessuno». L'articolo Indagine Bei sul clima: gli italiani più virtuosi di francesi e tedeschi. E chiedono al governo di fare di più sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Gigantesche onde sottomarine influenzano la capacità dell’oceano di immagazzinare carbonio

Gigantesche onde sottomarine
La maggior parte del caldo e del carbonio emessi dalle attività antropiche viene assorbita dall'oceano, ma secondo lo studio “Significance of Diapycnal Mixing Within the Atlantic Meridional Overturning Circulation”, pubblicato recentemente su AGU Advances da un team di ricercatori britannici, statunitensi e francesi, la quantità di caldo e carbonio che può assorbire l’oceno dipende dalla turbolenza al suo interno perché è questa che li spinge  in profondità o li trascina verso la superficie. Sebbene le onde sottomarine fossero già ben note, la loro importanza nel trasporto di caldo e carbonio non era mai stata del tutto compresa. I risultati dello studio puv bblicato su AGU Advances dimostrano che «La turbolenza all'interno degli oceani è più importante per il trasporto di carbonio e calore su scala globale di quanto si fosse immaginato in precedenza». I ricercatori spiegano che «La circolazione oceanica trasporta le acque calde dai tropici al Nord Atlantico, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso sud nelle profondità dell'oceano, come un gigantesco nastro trasportatore. Il ramo atlantico di questo modello di circolazione, chiamato Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), svolge un ruolo chiave nella regolazione del bilancio globale del calore e del carbonio. La circolazione oceanica ridistribuisce il calore nelle regioni polari, dove scioglie il ghiaccio, e il carbonio nelle profondità dell'oceano, dove può essere immagazzinato per migliaia di anni». La principale autrice dello studio, Laura Cimoli del Dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell’università di Cambridge, ha sottolineato che «Se si dovesse scattare una foto dell'interno dell'oceano, vedremmo molte dinamiche complesse all'opera. Sotto la superficie dell'acqua ci sono getti, correnti e onde: nell'oceano profondo, queste onde possono essere alte fino a 500 metri, ma si infrangono proprio come un'onda su una spiaggia». Un altro autore dello studio, Ali Mashayek del Dipartimento di scienze della Terra di Cambridge, evidenzia che «L'Oceano Atlantico è speciale nel modo in cui influisce sul clima globale. Ha una forte circolazione da polo a polo e dai suoi tratti superiori all'oceano profondo. L'acqua si muove anche più velocemente in superficie che nelle profondità dell'oceano». Negli ultimi decenni, i ricercatori hanno studiato se l'AMOC possa essere un fattore cdeterminante nella forte perdita di copertura di ghiaccionell’Artico, mentre alcune calotte glaciali antartiche stanno crescendo. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è che il calore assorbito dall'oceano nel Nord Atlantico impiega diverse centinaia di anni per raggiungere l'Antartide. Ora, utilizzando una combinazione di dati satellitari, misurazioni effettuate da navi e dati provenienti da boe galleggianti autonome, i ricercatori hanno scoperto che «Il calore proveniente dal Nord Atlantico può raggiungere l'Antartide molto più velocemente di quanto si pensasse in precedenza. Inoltre, la turbolenza all'interno dell'oceano, in particolare le grandi onde sottomarine, svolge un ruolo importante nel clima». A Cambridge spiegano ancora: «Come una gigantesca torta, l'oceano è composto da diversi strati, con acqua più fredda e densa nella parte inferiore e acqua più calda e leggera nella parte superiore. La maggior parte del trasporto di calore e carbonio all'interno dell'oceano avviene all'interno di un particolare strato, ma il calore e il carbonio possono anche spostarsi tra strati di densità, riportando in superficie le acque profonde». I ricercatori hanno scoperto che «Il movimento del calore e del carbonio tra gli strati è facilitato da turbolenze su piccola scala, un fenomeno non completamente rappresentato nei modelli climatici». Confermando le previsioni teoriche sulle onde oceaniche interne, le stime di miscelazione provenienti da diverse piattaforme di osservazione hanno mostrato «Prove di turbolenza su piccola scala nel ramo superiore della circolazione». Le diverse stime hanno dimostrato Lhe la turbolenza colpisce principalmente la classe degli strati di densità associati al nucleo delle acque profonde che si spostano verso sud dal Nord Atlantico all'Oceano Antartico. Questo significa che il calore e il carbonio trasportati da queste masse d'acqua hanno un'alta probabilità di essere spostati attraverso diversi livelli di densità». La Cimoli aggiunge: «I modelli climatici tengono conto della turbolenza, ma soprattutto del modo in cui influisce sulla circolazione oceanica. Ma abbiamo scoperto che la turbolenza è vitale di per sé e svolge un ruolo chiave nella quantità di carbonio e calore assorbiti dall'oceano e dove vengono immagazzinati». Per Mashayek, «Molti modelli climatici hanno una rappresentazione eccessivamente semplicistica del ruolo della turbolenza su microscala, ma abbiamo dimostrato che è significativo e dovrebbe essere trattato con maggiore attenzione. Ad esempio, la turbolenza e il suo ruolo nella circolazione oceanica esercitano un controllo sulla quantità di calore antropogenico che raggiunge la calotta glaciale antartica e sulla scala temporale in cui ciò accade». Lo studio, in parte finanziato dal Natural Environment Research Council dell’UK Research and Innovation, conclude facendo notare «L'urgente necessità di installare sensori di turbolenza sulla flotta di osservazione globali e di avere una rappresentazione più accurata della turbolenza su piccola scala nei modelli climatici, per consentire agli scienziati di fare proiezioni più accurate degli effetti futuri del cambiamento climatico». L'articolo Gigantesche onde sottomarine influenzano la capacità dell’oceano di immagazzinare carbonio sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Siccità in Europa: un inverno eccezionalmente secco e mite ha colpito l’Ue sud-occidentale

Siccita in Europa
In occasione del World water day Onu che si celebra oggi e in concomitanza con la pubblicazione del Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment presentato ieri dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea ha pubblicato il rapporto “Drought in Europe March 2023”, dal quale emerge che «La maggior parte dei Paesi del sud e dell’ovest dell’Ue sono colpiti da una siccità causa di preoccupazioni crescenti per l’approvvigionamento idrico, l’agricoltura e la produzione di energia». Il JRC evidenzia che «A causa di un inverno eccezionalmente secco e mite, si riscontrano anomalie già considerevoli nell’umidità del suolo e nella portata dei fiumi, specialmente in Francia, in Spagna e nel Nord Italia. L’accumulo di neve nella regione alpina è stato ben al di sotto della media, persino a quella dell’inverno 2021-2022. Il risultato sarà una riduzione sostanziale del contributo dello scioglimento delle nevi alle portate dei fiumi nella regione perialpina nella primavera e all’inizio dell’estate 2023». Il rapporto avverte che «Le precipitazioni delle prossime settimane saranno cruciali per determinare l’andamento della siccità attuale e dei suoi effetti. L’Europa e la regione mediterranea potrebbero andare incontro a un’estate estrema, simile a quella del 2022. La relazione raccomanda un monitoraggio attento e un uso appropriato dell’acqua, come pure l’attuazione di strategie di adattamento settoriali mirate e una cooperazione rafforzata, in quanto si prevede che tali modelli climatici e metereologici saranno più frequenti in futuro». Il JRC MARS Bulletin, Crop monitoring in Europe del JRC sottolinea che «Nel  sud della Spagna e in Portogallo si osserva un grave deficit di pioggia. I livelli di umidità del suolo sono molto bassi e le precipitazioni sono urgentemente necessarie. Inoltre, i serbatoi d'acqua per l'irrigazione nella maggior parte della Spagna meridionale rimangono a un livello molto basso, il che potrebbe anche avere un impatto sulla scelta delle colture per le semine primaverili. Nell'Italia settentrionale e centrale, il prolungato deficit di precipitazioni ha fortemente ridotto il livello dell'acqua negli invasi (anche sotto forma di manto nevoso in montagna) e sta destando preoccupazione per la disponibilità di acqua per l'irrigazione durante la tarda primavera e l'estate. I raccolti invernali in Ungheria, Austria, Romania, Bulgaria, Grecia e Cipro sono in buone condizioni, ma i livelli di umidità del suolo sono bassi e sono necessarie più piogge per soddisfare la crescente domanda idrica delle colture con l'avanzare della primavera». Non va meglio sulla sponda sud del Mediterraneo: «La prolungata siccità nella regione del Maghreb ha già causato notevoli impatti negativi sui raccolti».  Mentre in Turchia  solo le regioni occidentali rimangono siccitose e in altre parti del Paese le recenti piogge abbondanti e localmente dannose hanno mitigato le condizioni di siccità. Anche nella maggior parte della Francia, della Germania meridionale e del Regno Unito, il deficit di precipitazioni osservato da metà gennaio è stato mitigato da precipitazioni ben distribuite a marzo e nei prossimi 10 giorni sono previste ulteriori precipitazioni. Un eccesso di precipitazioni, finora per lo più benefico, si osserva nella Germania orientale, nella Romania occidentale e nella Russia meridionale». Durante la prossima conferenza delle Nazioni unite sull’acqua, l’UeE unirà gli sforzi per fronteggiare la crisi mondiale dell’acqua e garantire la sicurezza idrica a tutti, annunciando 33 impegni ad agire subito, compreso quello sulla resilienza alla siccità. L'articolo Siccità in Europa: un inverno eccezionalmente secco e mite ha colpito l’Ue sud-occidentale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Nell’Ue aumentano l’esportazione di rifiuti pericolosi e i rilevamenti di spedizioni illegali

esportazione di rifiuti pericolosi
Nell’Unione europea i rifiuti “notificati” sono rifiuti soggetti a una procedura specifica per l'importazione e l'esportazione, sia per le spedizioni tra Stati membri dell'Ue che per le spedizioni tra un Paese Ue e un paese terzo. La definizione copre tipi specifici di rifiuti che richiedono un esame particolare (come i rifiuti pericolosi o i rifiuti urbani misti) e che possono essere spediti solo se entrambi i Paesi acconsentono, sulla base delle informazioni che i traders devono "comunicare" a entrambi. L'Unione europea e tutti i suoi Stati membri sfanno parte della Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento e che erve a proteggere la salute umana e l'ambiente dagli effetti negativi dei rifiuti pericolosi. Ogni anno, ogni Stato membro dell’Ue presenta al Segretariato della Convenzione una relazione sull'attuazione della Convenzione di Basilea nell'anno precedente. Una copia di questa relazione viene inviata anche alla Commissione Ue, insieme alle informazioni aggiuntive richieste dall'allegato IX del regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti. Questi rapporti includono dati sulle spedizioni di rifiuti e sull'attuazione nazionale attraverso la politica e l'applicazione.   Ogni tre anni la Commissione redige un rapporto sull'attuazione basato su queste relazioni. La Commissione europea ha appune pubblicato la sesta relazione di attuazione del regolamento sulla spedizione di rifiuti per il periodo 2016-2019, che riporta dati e analisi sul controllo delle spedizioni di rifiuti nell’Ue e verso paesi terzi. Secondo la Commissione Ue. la relazione dimostra due rend principali: «Innanzitutto, la quantità totale di rifiuti pericolosi spediti all’interno e al di fuori dell’Ue è più che raddoppiata, passando da 3,9 milioni di tonnellate nel 2001 a 8,1 milioni di tonnellate nel 2019, nonostante la quantità di rifiuti segnalati sia rimasta stabile durante il periodo preso in considerazione dalla relazione. La grande maggioranza di queste spedizioni avviene entro i confini dell’Ue e il volume limitato esportato dall’Ue verso Paesi terzi riguarda Paesi dell’OCSE. In secondo luogo, aumentano le spedizioni illegali individuate dalle ispezioni degli Stati membri». La Commissione Ue evidenzia che «I risultati della presente relazione sull'attuazione sono in linea con le conclusioni della valutazione dell'attuale regolamento, che la Commissione ha pubblicato nel gennaio 2020 e che ha portato alla proposta della Commissione di rivedere le attuali norme sulle spedizioni di rifiuti». Questa proposta è stata presentata nel novembre 2021 con tre obiettiviG garantire che l'Ue non esporti i suoi problemi in materia di rifiuti verso Paesi terzi; semplificare il trasporto dei rifiuti per il riciclaggio e il riutilizzo nell'Ue; affrontare meglio le spedizioni illegali di rifiuti. Con tre obiettivi: garantire che l'Ue non esporti le sue sfide in materia di rifiuti a Paesi terzi; semplificare il trasporto dei rifiuti per il riciclaggio e il riutilizzo nell'Ue; e affrontare meglio le spedizioni illegali di rifiuti». In base alle nuove regole, le esportazioni di rifiuti verso Paesi non OCSE saranno limitate e consentite solo se i Paesi terzi sono disposti a ricevere determinati rifiuti e sono in grado di gestirli in modo sostenibile. Le spedizioni di rifiuti verso i Paesi OCSE saranno monitorate e potranno essere sospese se generano gravi problemi ambientali nel Paese di destinazione. Tutte le imprese dell'Ue che esportano rifiuti al di fuori dell'Ue dovrebbero garantire che gli impianti che ricevono i loro rifiuti siano soggetti a un audit indipendente che dimostri che gestiscono tali rifiuti in modo rispettoso dell'ambiente. All'interno dell'Ue, l'obiettivo è quello di «Semplificare notevolmente le procedure stabilite, facilitando il reinserimento dei rifiuti nell'economia circolare, senza abbassare il necessario livello di controllo. Ciò contribuisce a ridurre la dipendenza dell'Ue dalle materie prime primarie e sostiene l'innovazione e la decarbonizzazione dell'industria dell'Ue per raggiungere gli obiettivi climatici dell'UE. Le nuove regole stanno anche portando le spedizioni di rifiuti nell'era digitale introducendo lo scambio elettronico di documentazione». La Commissione Ue è convinta che la nuova proposta  attualmente in discussione al Parlamento europeo e al Consiglio Ue «Potrebbe aprire nuove opportunità commerciali ed espandere i mercati nazionali, costringendo gli operatori del settore a migliorare le proprie capacità di selezione e trattamento per soddisfare le esigenze di un'economia verde e circolare». L'articolo Nell’Ue aumentano l’esportazione di rifiuti pericolosi e i rilevamenti di spedizioni illegali sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Cos’è e come funziona: il 24 marzo a Mola si parla di ciclo idrico all’Elba

Ciclo idrico
Proprio nella settimana della Giornata mondiale dell’acqua, Legambiente Arcipelago Toscano organizza  venerdì 24 marzo, dalle 17,30 alle 19,30 a all’Aula Verde Blu “Giovanna Neri” della Zona Umida di Mola (lato Capoliveri) la terza iniziativa di “Cos’è come funziona” che avrà per tema il ciclo idrico all’Elba. Un’iniziativa che punta a capire come viene prodotta e distribuita l’acqua all’Elba, a che punto siamo con la depurazione dei reflui, quali sono le perdite, gli sprechi e i possibili risparmi. A introdurre il tema sarà Fabrizio Pisaneschi di ASA che poi risponderà alle domande del pubblico. Ecco le 10 azioni che secondo Legambiente sono necessarie per migliorare la gestione della risorsa idrica:. 1) approvare in tutti i Comuni Regolamenti edilizi con obblighi di recupero, riutilizzo e risparmio dell’acqua. 2) Criteri Ambientali Minimi per migliorare la gestione idrica attraverso gli appalti pubblici. 3) Infrastrutture e tetti verdi, vantaggiosi per la cattura e il trattamento dell’acqua piovana, l’ombreggiamento, la mitigazione dell’effetto isola di calore. 4) Riuso, recupero e riciclo per riutilizzare e usare le diverse fonti d’acqua con un trattamento che corrisponda all’uso, garantendo una qualità adatta allo scopo di utilizzo e la gestione integrata delle risorse idriche. 5) Ammodernamento della rete idrica per evitare le perdite di rete e gli sprechi. 6) Efficientare la depurazione delle acque reflue urbane, per il loro completo riutilizzo in settori strategici, come l’agricoltura, sia sostenendo gli ambiziosi obiettivi previsti dalla revisione della Direttiva sul trattamento delle acque di scarico urbane che superando gli ostacoli normativi nazionali (DM 185/2003) rispetto al riutilizzo delle acque reflue così come previsto dal regolamento UE 741/2020. 7) Innovazione tecnologica da utilizzare per numerosi scopi, dal monitoraggio delle risorse al tracciamento delle perdite di rete. 8) Rifornire i corpi idrici e i loro ecosistemi, scaricando solo quello che può essere assorbito dall’ambiente naturale, riducendo gli apporti idrici e garantendone la qualità. 9) Modularità dei sistemi, garantendo opzioni multiple di risorse, trattamento, stoccaggio, convogliamento, migliorando i livelli di servizio e la resilienza dei sistemi idrici urbani. 10) Essere preparati agli eventi estremi, coinvolgendo i cittadini nella gestione sostenibile delle risorse idriche urbane e nella sensibilizzazione alla comprensione dei rischi e opportunità. Attività valida per i PCTO – Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento Tutti sono invitati a partecipare Info: legambientearcipelago@gmail.com - 3398801478 L'articolo Cos’è e come funziona: il 24 marzo a Mola si parla di ciclo idrico all’Elba sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Aeroporto della Pila, Legambiente: no a interventi a gamba tesa dei privati e a ricatti politici

aeroporto di Marina di Campo
L’intervento a gamba tesa di un’impresa privata come Toscana Aeroporti (che pubblichiamo) che impone a enti pubblici le tempistiche per un procedimento democratico in corso la dice lunga sul clima che si è creato intorno all’allungamento/ampliamento/spostamento dell’Aeroporto della Pila. Si tratta di qualcosa di molto simile a un ricatto politico che si intravede anche nelle precedenti dichiarazioni del presidente della Regione Eugenio Giani. Il tutto facendo circolare cifre ballerine, promesse inverosimili e spandendo a piene mani uno sfacciato greenwashing che cerca di sminuire l’impatto di un progetto del quale si conosce solo una bozza preliminare. E’ sintomatico il fatto che, dopo il comunicato di Legambiente Arcipelago Toscano del 14 marzo nel quale definivamo l’allungamento della pista aeroportuale un’«Opera insostenibile dal punto di vista economico, ambientale, idrogeologico e urbanistico», nessuno degli attori principali  di una commedia messa forse in scena per eliminare la continuità territoriale aerea, e probabilmente aprire la strada dell’eliminazione anche di quella marittima, abbia reso pubblici i dati e  le approfondite analisi in grado di contestare le nostre affermazioni. La ragione, temiamo, sta nel fatto che i dati e le approfondite analisi semplicemente non esistono. Il  documento che più si avvicina ad un previsionale è lo “Studio di prefattibilità” redatto nell’aprile 2020 per conto di Alatoscana. Purtroppo lo studio stesso si autodefinisce come “indicativo” e, testualmente, “necessita di ulteriori e più approfondite valutazioni” (pag. 102). Del resto non contiene alcuna valutazione ambientale e/o economica al di là di un largamente spannometrico conteggio dei costi presunti. Anche volendo trascurare l’aspetto ambientale, idrogeologico, urbanistico e sociale al momento non risulta esistere né un Master Plan né uno straccio di analisi economica in grado di giustificare l’intervento ipotizzato e l’ingente spreco di denaro pubblico che ne conseguirebbe. E’ su questo che – abbastanza incredibilmente – verranno chiamati a votare gli elettori di Campo nell’Elba. Questo vuol dire – e ci chiediamo se i sindaci elbani se ne siano resi conto - che se passerà quel “progetto”, di fatto si darà a Toscana Aeroporti carta bianca per fare ciò che vuole, o un progetto definitivo anche molto diverso dalla bozza oppure, una volta appurata l'inconsistenza di qualsiasi ipotesi di allungamento, il ritiro dalla compagine societaria. Il recente ultimatum di Toscana Aeroporti sembra infatti nascondere malamente il desiderio di abbandonare in fretta Alatoscana al suo destino. Lo scenario è molto preoccupante. La Regione tace, L’Osservatorio per la continuità territoriale dell’Arcipelago Toscano non si riunisce dal marzo 2021. I Sindaci elbani non vedono, non sentono, non parlano. La diatriba sull’allungamento è la tortuosa strada scelta dalla Giunta Regionale per portare alla chiusura del finanziamento della continuità territoriale? Se così fosse, questa ipotesi va respinta con forza da tutte le componenti politiche e sociali dell’isola. Le stesse Confindustria Livorno e AssocomElba hanno scritto che «Sarebbe stato ragionevole dare attenzione prima di tutto al rinnovo triennale della continuità territoriale, in quanto essa è il presupposto indispensabile per parlare di ulteriori sviluppi dell’aeroporto». Non possiamo che sottoscrivere quanto affermato dalle associazioni imprenditoriali. La Regione proceda in fretta al rinnovo della continuità territoriale aerea e cominci a lavorare seriamente sul rinnovo di quella marittima, con navi moderne e non inquinanti, all’altezza di una destinazione turistica importante come l’Elba e l’Arcipelago Toscano che hanno bisogno di un sistema di trasporti intermodale che faciliti il raggiungimento dell’Elba ai turisti provenienti dagli aeroporti di Pisa, Firenze e Bologna, non di progetti nebulosi, sovradimensionati e insostenibili dal punto di vista economico e ambientale. di Legambiente Arcipelago Toscano   Toscana Aeroporti: «Aeroporto necessitano risposte chiare e rapide dal territorio» Il 16 marzo l'Amministratore delegato di Toscana Aeroporti, Roberto Naldi, ha scritto una lettera al Sindaco di Campo nell'Elba e per conoscenza al presidente della regione Toscana, alla Camera di commercio Maremma e del Tirreno e all’amministratore delegato di Alatoscana S.p.a.   Gentilissimo Sindaco, apprezziamo l'attenzione dimostrata verso lo scalo elbano e le sue prospettive future. La questione dell’aeroporto di Marina di Campo è un tema annoso e non di banale risoluzione. Affrontarne definitivamente il tema significa innanzi tutto assumere decisioni stabili nel lungo periodo e chiare sugli obiettivi finali che si vogliono raggiungere. E’ in base a queste scelte che, per noi tecnici, sarà possibile definire e finalizzare i relativi piani industriali di sviluppo. A tale riguardo, avendo già avuto un incontro con la regione toscana, voi e le amministrazioni locali dell’isola d’Elba, torniamo a ribadire quanto già espresso allora: nella massima consapevolezza dei ruoli e nel massimo rispetto delle distinte responsabilità, riteniamo che la scelta sul futuro dello scalo di Marina di Campo debba essere una decisione innanzi tutto politica. Noi, dal canto nostro, dovendo rispondere alle logiche industriali di azionisti che pianificano investimenti a lungo termine, abbiamo la necessità di definire il nostro ruolo dentro Alatoscana S.p.a. Per risolvere tale questione abbiamo a disposizione fino al 27 aprile p.v. data di approvazione del bilancio oltre la quale, se non dovesse esserci un quadro di riferimento chiaro e definitivo, saremo costretti a ritirare il nostro impegno nella società di gestione elbana.  Roberto Naldi Amministratore delegato Toscana Aeroporti L'articolo Aeroporto della Pila, Legambiente: no a interventi a gamba tesa dei privati e a ricatti politici sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’Onu dopo il rapporto IPCC: un futuro vivibile per tutti è possibile, ma c’è rimasto poco tempo (VIDEO)

IPCC Onu
Il segretario generale dell’Onu António Guterres ha descritto l’ultimo Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment presentato ieri dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), come «Unaguida pratica per disinnescare la bomba climatica» e riferendosi al vincitore dell’Oscar come miglior film di quest’anno, ha aggiunto: «L'azione climatica è necessaria su tutti i fronti: "“everything, everywhere, all at once”. Il capo dell’Onu ha proposto al G20, che riunisce le economie altamente sviluppate ed emergenti un “Climate Solidarity Pact” attraversi o il quale «Tutti i grandi emettitori farebbero ulteriori sforzi per ridurre le emissioni e i Paesi più ricchi mobiliterebbero risorse finanziarie e tecniche per sostenere le economie emergenti in uno sforzo comune per garantire che le temperature globali non aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali». Guterres ha anche annunciato la prossima presentazione di «Un piano per aumentare gli sforzi per arrivare a questo Patto attraverso un'Acceleration Agenda, che coinvolga i leader dei Paesi sviluppati che si impegnano a raggiungere il net zero netto il più vicino possibile al 2040 e i Paesi in via di sviluppo il più vicino possibile al 2050». Questa Agenda richiederà la fine del carbone, la produzione di elettricità net zero entro il 2035 per tutti i Paesi sviluppati e al 2040 per il resto del mondo, e la fine di tutte le licenze o finanziamenti di nuovo petrolio e gas e qualsiasi espansione di petrolio e gas dalle riserve di gas esistenti. Queste misure devono accompagnare le salvaguardie per le comunità più vulnerabili, aumentare i finanziamenti e le capacità di adattamento, perdite e danni e promuovere riforme per garantire che le banche multilaterali di sviluppo forniscano più sovvenzioni e prestiti e mobilitino pienamente la finanza privata». Forse ai ministri e alla premier del nostro governo, che puntano al futiro dell’Italia come hub del gas europeo, mentre a Piombino attracca un rigassificatore che sforerà i limiti posti da Guterres, saranno fischiate le orecchie, ma è più probabile che abbiano fatto finta di non sentire. In vista dela 28esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP28 Unfccc) che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, Guterres ha detto di aspettarsi che «Tutti i leader del G20 si saranno impegnati in ambiziosi nuovi nationally determined contributions  a livello economico che comprendano tutti i gas serra, e indicando i loro obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni per il 2035 e il 2040». Il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell ha avvertito che «Il tempo sta per scadere, ma non le opzioni per affrontare il cambiamento climatico. Il Synthesis Report del Sixth Assessment Report dell'IPCC aggiunge più chiarezza e dettagli a una semplice verità: dobbiamo fare di più sul cambiamento climatico, adesso. Siamo in un decennio critico per l'azione climatica. Le emissioni globali devono essere ridotte di quasi il 43% entro il 2030 affinché il mondo possa raggiungere l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare l'aumento della temperatura globale a 2 gradi Celsius e proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius. Il Synthesis Report evidenzia quanto siamo fuori strada. Non è troppo tardi. L'IPCC dimostra chiaramente che è possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius con riduzioni rapide e profonde delle emissioni in tutti i settori dell'economia globale. Ci ha fornito molte opzioni di mitigazione e adattamento fattibili, efficaci e a basso costo da poter attuare in tutti i settori e Paesi». Stiell evidenzia che «Se vogliamo dimezzare le emissioni entro la fine del decennio, dobbiamo essere precisi ora. Il cosiddetto Global Stocktake di quest'anno, un processo in base al quale i Paesi valutano i progressi verso gli obiettivi di Parigi, è per i Paesi un momento per concordare le pietre miliari concrete che ci porteranno ai nostri obiettivi per il 2030. Questa roadmap deve includere passaggi dettagliati per tutti i settori e i temi, compresi l'adattamento climatico, le perdite e i danni, la finanza, la tecnologia e il capacity building. Fornendoci non solo un piano basato sulle opzioni disponibili, ma anche riforme finanziarie e un rinnovato senso di responsabilità politica e imprenditoriale sul cambiamento climatico, la COP28 può essere il momento in cui iniziare a seguire la rotta per raggiungere collettivamente gli obiettivi di Parigi». Petteri Taalas, segretario generale della World meteorological organization (Wmo) fa notare che «Il rapporto fa eco ai risultati di tutti gli assessment reports dell'IPCC dal 1990. Ora, con un tono molto più alto, i precedenti rischi teorici si sono materializzati. Il cambiamento climatico è già visibile ei suoi problemi umani, economici e sociali sono in crescita. Questo rapporto dimostra che attualmente ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento di 2,2 - 3,5 gradi. Un riscaldamento di 3 gradi avrebbe un impatto drammatico sulla salute umana, sulla biosfera, sulla sicurezza alimentare e sull'economia globale. Molti di questi rischi potrebbero essere evitati se rimanessimo entro 1,5 gradi di riscaldamento». La Wmo pubblicherà il suo rapporto sullo stato del clima globale tra poche settimane e Salas annuncia che mostrerà che «Tutti i parametri climatici stanno andando nella direzione totalmente sbagliata: riscaldamento degli oceani, acidificazione degli oceani, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, inondazioni e eventi di siccità e concentrazioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto. L'altro messaggio chiave dell'IPCC è che è molto più razionale limitare il cambiamento climatico rispetto all'inerzia o affrontarne le conseguenze. La buona notizia è che abbiamo mezzi sia economicamente che tecnicamente attraenti per limitare il livello di riscaldamento anche a 1,5° C e che la transizione è anche una grande opportunità per nuove imprese e risparmi finanziari. Oltre alla mitigazione dei cambiamenti climatici, dobbiamo accelerare l'adattamento ai cambiamenti climatici. I sistemi di allerta precoce sono uno strumento di adattamento economico ed efficiente ed è per questo che la Wmo sta dando la priorità agli allarmi precoci per tutti entro il 2027». Per Inger Andersen direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme (Unep), il Synthesis Report «Ci dice che il cambiamento climatico è qui, ora. Che il cambiamento climatico è una minaccia per il benessere umano e planetario, che sono la stessa cosa. Che siamo molto vicini al limite di 1,5 gradi Celsius e che anche questo limite non è sicuro per le persone e per il pianeta. Il cambiamento climatico sta sferrando i suoi colpi più duri alle comunità vulnerabili che hanno meno responsabilità, come abbiamo visto con il ciclone Freddy in Malawi, Mozambico e Madagascar e le inondazioni improvvise in Turchia, che insieme hanno ucciso centinaia di persone. Il rapporto ci dice che il nostro fallimento collettivo nel ridurre le emissioni di gas serra ci lascia sulla cattiva strada per superare 1,5 gradi Celsius di riscaldamento globale. E che continuare a marciare su questa pista porterà un'ulteriore intensificazione di condizioni meteorologiche estreme, degrado dell'ecosistema e danni a vite e mezzi di sussistenza. Dobbiamo abbassare il riscaldamento. E dobbiamo aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi a quegli impatti del cambiamento climatico che sono già qui. Questo rapporto di sintesi, che coincide con la ricerca dell'Unep, ci dice che abbiamo già la tecnologia e il know-how per portare a termine entrambi questi lavori. Energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili. Efficienza energetica. Trasporti verdi. Infrastrutture urbane green. Fermare la deforestazione. Ripristino dell'ecosistema. Sistemi alimentari sostenibili, compresa la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari. Investire in queste aree, e non solo, contribuirà a stabilizzare il nostro clima. Ridurre la natura e la perdita di biodiversità, l'inquinamento e i rifiuti: gli altri due poli della tripla crisi planetaria. Fornirà molti altri vantaggi: da aria più pulita e natura più sana a posti di lavoro dignitosi e maggiore equità. È l'ultima occasione che abbiamo». La Andersen ha ricordato che «Davanti a noi, quest'anno ci aspettano l’UN Climate Action Summit, il primo Global Stocktake ai sensi dell'accordo di Parigi e la COP28 negli Emirati Arabi Uniti. Questi saranno senza dubbio momenti importanti per dare il tono all'azione nella seconda metà di questo decennio critico. Ma se c'è un aspetto fondamentale di questo synthesis report per le nazioni, il businesses, gli investitori e ogni individuo che contribuisce al cambiamento climatico, ed è questo: dobbiamo passare dalla procrastinazione climatica all'attivazione climatica. E dobbiamo farlo oggi». Il rapporto IPCC evidenzia che non possiamo più permetterci giochini contabili, scarcabarile e greenwashing  e Achim Steiner, amministratore dell’United Nations Development Programme (UNDP). Ha sottolineato che «Mentre le condizioni meteorologiche estreme colpiscono con crescente ferocia - tra cui devastanti siccità, inondazioni e ondate di caldo - l'impronta digitale del cambiamento climatico è evidente in ogni angolo del globo. Non c'è dubbio che la salute delle persone e del pianeta dipende ora da un'azione politica decisiva. Questo è il duro messaggio alla base dell'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo delle Nazioni Unite (Onu) per la valutazione della scienza relativa al cambiamento climatico, che ha fornito la valutazione più completa del cambiamento climatico negli ultimi 9 anni». E anche Steiner fa notare che «Eppure il Climate Change 2023: Synthesis Report non è tutto cupo. Delinea come le opzioni fattibili, efficaci e a basso costo per la mitigazione e l'adattamento al clima siano già a disposizione dei Paesi di tutto il mondo. Ad esempio, questo  include l'elettrificazione diffusa da fonti di energia pulita, l'efficienza energetica e dei materiali e il ripristino delle foreste e di altri ecosistemi. Richiede inoltre una maggiore enfasi sulla riduzione dei gas fluorurati - gas prodotti dall'uomo utilizzati in una serie di applicazioni industriali - per ridurre le emissioni di gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico. La scienza è chiara sul fatto che possiamo mantenere in vita 1,5° C con un processo decisionale solido e basato su prove. Faccio eco all'appello del Segretario generale dell’Onu per un'Acceleration Agenda e per riduzioni immediate, forti e sostenute delle emissioni di gas serra per raggiungere lil net zero globale entro il 2050. In effetti, gli impatti negativi del cambiamento climatico aumenteranno con ogni frazione di grado». L’amministratore dell’UNDP  ribadisce che «Fondamentalmente, i Paesi ad alto reddito devono estendere i mezzi promessi, tra cui finanziamenti, cancellazione del debito e partenariati, ai Paesi in via di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico e lo sviluppo, come co-investimenti  sulla base del riconoscimento che solo l'azione collettiva della nostra comunità globale sarà sufficiente. Questo include che i Paesi sviluppati finalmente mantengono la promessa da tempo attesa di estendere almeno a 100 miliardi di dollari all'anno in finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo. Il cambiamento climatico è profondamente ingiusto. Oltre 3 miliardi di persone, comprese alcune delle comunità più povere e vulnerabili del mondo che storicamente hanno contribuito meno all'attuale crisi climatica, stanno subendo in modo sproporzionato i suoi peggiori effetti. Sta anche frenando i loro sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Eppure i Paesi in via di sviluppo stanno dimostrando che un'azione decisiva per il clima è possibile. Attraverso i partenariati dell’UNDP con Paesi e comunità di tutto il mondo, stiamo assistendo a una leadership visionaria. Ad esempio, Bhutan, Vietnam e India stanno guidando l'adozione di veicoli elettrici. Kenya e Uruguay ora utilizzano il 90% di fonti energetiche rinnovabili. E in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati stanno intraprendendo azioni di vasta portata per il clima nonostante uno spazio fiscale limitato e una  crisi del debito». Steiner preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno del Synthesis Report IPCC e conclude: «Ci sono segnali che il cammino verso il net zero  stia accelerando mentre il mondo guarda alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023, o COP28, negli Emirati Arabi Uniti. Questo include l'Inflation Reduction Act negli Stati Uniti,  descritto come "la legislazione più significativa nella storia per affrontare la crisi climatica" e l'ultimo Green Deal Industrial Plan dell'Unione europea , una strategia per  rendere il blocco la patria della tecnologia pulita e dei posti di lavoro verdi. Ora è il tempo di un'era di co-investimenti in soluzioni audaci. Man mano che la stretta finestra di opportunità per fermare il cambiamento climatico si chiude rapidamente, le scelte che i governi, il settore privato e le comunità fanno - o non fanno – ora, passeranno alla storia». 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La corretta gestione dei boschi e la frammentazione legislativa

corretta gestione dei boschi
Come effettuare una corretta gestione dei boschi in un momento di crisi climatica, povertà energetica e in un contesto di frammentazione legislativa nazionale? E’ questa la domanda che è stata al centro del convegno regionale organizzato da Legambiente Toscana alla Casa del Popolo dell’Impruneta e che ha vistio una numerosa partecipazione. i. L’ultimo inverno ha portato ad un aumento di pressione sull'approvvigionamento di legna dai boschi: oltre 9 milioni di famiglie italiane si riscalda con il legno che viene prelevato da foreste sempre più vulnerabili alla siccità, all’aumento delle temperature e agli eventi estremi.  Per Legambiente, «I boschi sono un patrimonio di servizi ecosistemici cruciali da mantenere e gestire correttamente: un dibattito La discussione sulla gestione dei boschi si alimenta con le difficoltà normative che vive il settore, in particolare le maestranze che operano nella silvicoltura, e la scarsità di manodopera qualificata per realizzare il mantenimento dei boschi davanti alla siccità che alimenta incendi sempre più frequenti». Secondo Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, «La crisi climatica è un tema cruciale nel dibattito sulla gestione del ceduo. I tagli che hanno creato conflitti sul territorio devono essere analizzati da un punto di vista globale: agronomico, forestale, ecologico e paesaggistico. Serve una sintesi colta tra le posizioni». La Toscana è la regione più boscata d’Italia con 1 milione e 120 mila ettari composti da un terzo di ceduo e il restante di fustaie, l’85% di proprietà privata. Una superficie boschiva in aumento, in linea con l’andamento nazionale. «Ogni 90 minuti in Italia le foreste aumentano come la superficie di 18 campi da calcio», spiega Paolo Mori, amministratore unico della Compagnia delle Foreste. Un patrimonio che però è messo a dura prova dalla crisi climatica. Il 2022 è stato l’anno più caldo degli ultimi tre decenni e Bernardo Gozzini, amministratore unico del Consorzio Lamma, ha sottolineato che «Ci avviciniamo sempre di più all’aumento di 1,5 gradi, comparando i dati agli ultimi 50 anni».  E Le conseguenze dell’aumento delle temperature del mare e della siccità hanno una diretta correlazione con gli eventi estremi che hanno distrutto i boschi nazionali, come la tempesta di Vaia, e gli oltre 591 incendi nei primi nove mesi del 2022 in Toscana, tra i quali il rogo di Massarosa che ha distrutto oltre 868 ettari in una settimana. Boschi messi alla prova dalla crisi climatica ma anche dall’azione criminale. In Regione sono stati rilevati una media di 1200 reati accertati dai Carabinieri Forestali, con particolare attenzione nelle provincie di Firenze e Siena, tra il 2017 e il 2021. «Si tratta di controlli effettuati su tagli in cantieri forestali ma anche sulla sicurezza e sulle autorizzazioni delle maestranze – spiega ancora Legambiente - Illeciti che poi possono causare incidenti sul lavoro e pratiche errate di manutenzione dovute alla mancata formazione dei contoterzisti che poi rendono il bosco più vulnerabile al dissesto idrogeologico, all’erosione e agli eventi estremi. Servirebbe maggiore personale per effettuare i controlli, ad esempio nel Parco delle Foreste Casentinesi ci sono solo 44 forestali per una superficie di 44mila ettari». Quali le difficoltà nella gestione del bosco? Per Mori, «Superando la visione romantica della narrazione mediatica e turistica è necessario tenere conto del valore dei servizi ecosistemici. Bisogna premiare le ditte che seguono le regole e creare una connessione tra le professionalità per tenere conto dei diversi aspetti tra clima, approvvigionamento energetico e mantenimento della biodiversità. Un esempio può essere quello della vendita dei servizi ecosistemici delle foreste del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano che compensano la CO2 delle aziende e finanziano la manutenzione». Proposte per una corretta gestione che si scontrano con un frammentazione legislativa dovuta al mancato accordo trovato dai Ministeri di Agricoltura e Cultura. Una carenza dove le regioni hanno provato a ritagliarsi spazio, come successo nel caso del piano antincendio della pineta del Tombolo, in un contesto dove la tutela del paesaggio è riservata a competenza statale. E la frammentazione normativa è proprio il nodo da sciogliere: Antonio Nicoletti, responsabile Parchi e biodiversità di Legambiente, ha concluso: «Alla domanda se le norme sono adeguate rispondiamo che qualcosa non torna. Così come è avvenuto al livello nazionale, suggeriamo un tavolo regionale di filiera legno una gestione che apra e consolidi la discussione tra tutti gli enti».   L'articolo La corretta gestione dei boschi e la frammentazione legislativa sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Nuovo Synthesis Report IPCC: gli ambientalisti è il nostro manuale di sopravvivenza

Synthesis Report IPCC 2
Il Synthesis Report del Sixth Assessment Report (AR6) approvato oggi dall’Intergovernmental Panel on Climate Change sta suscitando numerose reazioni umprontate sia a grande preoccupazione che a una prudente speranza. Il World Resources Institute (WRI) sottolinea che «Attingendo ai risultati di centinaia di scienziati, questo rapporto fornisce la valutazione scientifica più completa e migliore disponibile sul cambiamento climatico. Il rapporto dell'IPCC avverte che le conseguenze dell'aumento delle emissioni di gas serra sono già più gravi e diffuse del previsto e che il mondo dovrà affrontare rischi sempre più pericolosi e irreversibili se non dovessimo cambiare rotta. Il rapporto delinea i percorsi che il mondo può intraprendere per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C e rafforzare la resilienza delle comunità agli impatti climatici. Questi percorsi richiederanno trasformazioni urgenti e di vasta portata in ogni settore e sistema globale». Secondo il presidente e CEO del WRI, Ani Dasgupta, «Questo rapporto dell'IPCC è sia una feroce condanna dell'inerzia dei principali emettitori sia un valido progetto per un mondo molto più sicuro ed equo. Il nostro pianeta sta già vacillando a causa dei gravi impatti climatici, dalle ondate di caldo torrido e tempeste distruttive alle gravi siccità e scarsità d'acqua. Le comunità povere e vulnerabili nel Sud del mondo stanno subendo le peggiori conseguenze di questo mondo più caldo, anche se la colpa è dell'inquinamento da gas serra delle nazioni ricche.  “Gli scienziati dell'IPCC non usano mezzi termini su quale sia la più grande minaccia per l'umanità: continuare a bruciare combustibili fossili. Nonostante la rapida crescita delle energie rinnovabili, i combustibili fossili rappresentano ancora oltre l'80% dell'energia mondiale e oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra. Senza un radicale allontanamento dai combustibili fossili nei prossimi anni, il mondo è certo che supererà l'obiettivo di 1,5° C. L'IPCC chiarisce che continuare a costruire senza sosta nuove centrali elettriche a combustibili fossili segnerebbe quel destino. Nonostante i loro terribili avvertimenti, l'IPCC fornisce motivi per essere fiduciosi. Il rapporto mostra un sentiero stretto per garantire un futuro vivibile se correggiamo rapidamente la rotta. Questo comporta profonde riduzioni delle emissioni da ogni settore dell'economia, nonché investimenti molto maggiori per costruire la resilienza agli impatti climatici e il sostegno alle persone che affrontano perdite e danni climatici inevitabili. Gli autori chiariscono anche che sono necessari approcci per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera per limitare il riscaldamento a 1,5° C, oltre a decarbonizzare urgentemente ogni settore della società. Le nuove tecnologie come la cattura diretta dell'aria non sono una commissione stupida o una distrazione, ma piuttosto strumenti essenziali per evitare la catastrofe climatica.  Grazie al duro lavoro degli scienziati dell'IPCC, i responsabili politici sanno esattamente cosa deve essere fatto. Una vera leadership climatica significa segnalare al vertice COP28 che l'era dei combustibili fossili è finita. Significa aiutare le grandi economie emergenti come l'India e l'Indonesia ad accelerare il passaggio a fonti di energia più pulite. Significa che i principali emettitori aumentano in modo significativo l'ambizione dei piani climatici nazionali. E significa che i Paesi sviluppati aumentano drasticamente i finanziamenti per le nazioni in via di sviluppo per rafforzare la resilienza climatica e proteggere le loro foreste e gli ecosistemi.  Questi cambiamenti possono sembrare scoraggianti, ma le ragioni per agire non potrebbero essere più chiare: oggi esistono soluzioni economicamente vantaggiose che possono evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico, offrire enormi benefici economici, migliorare la salute e i mezzi di sussistenza delle persone e costruire comunità più resilienti». Stephanie Roe, Wwf Global Lead Scientist Climate and Energy e autrice principale del rapporto IPCC Working Group III , ha dichiarato: «Questo rapporto rappresenta la raccolta più completa di scienza climatica da quando l'ultima valutazione è stata pubblicata quasi un decennio fa. Descrive molto chiaramente gli impatti devastanti che il cambiamento climatico sta già avendo sulle nostre vite e sugli ecosistemi in tutto il mondo, il duro futuro che tutti noi affrontiamo se non agiamo insieme e le soluzioni che possiamo implementare ora per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici». Secondo Greenpeace, «Con la chiusura dell’ultimo capitolo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC),  consegna  oggi a tutti i governi una sintesi dei più recenti rapporti sul passato, presente e futuro dei cambiamenti climatici. Una sintesi che dipinge una realtà sconfortante, ma non priva di speranza, a patto che i governi agiscano con urgenza». Per Reyes Tirado dell’Unità scientifica di Greenpeace International all’università di Exeter, «La scienza del clima è ineludibile: questo rapporto è il nostro manuale di sopravvivenza. Le decisioni che prendiamo oggi, e nei prossimi otto anni, possono garantire un pianeta più sicuro per i millenni a venire. Politici, leader e classi dirigenti di tutto il mondo devono fare una scelta: difendere il clima per le generazioni presenti e future, o comportarsi come  criminali che lasciano un’eredità tossica ai nostri figli e nipoti». Simona Abbate, campaigner energia e clima di Greenpeace Italia, aggiunge: «Non occorre attendere un miracolo, esistono già le soluzioni di cui abbiamo bisogno per dimezzare le emissioni in questo decennio. Un accordo per l’eliminazione equa e rapida di carbone, petrolio e gas deve diventare la priorità assoluta dei governi. Gli eventi estremi saranno sempre più frequenti se non interveniamo subito, ma il governo italiano sembra andare nella direzione opposta, nel folle intento di trasformare il nostro Paese in un “hub del gas” per l’Europa. Una scelta che alimenta la crisi climatica e rischia di trasformare l’Italia in un “hub dei cambiamenti climatici”». Anche secondo il Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «La buona notizia che emerge dal rapporto IPCC presentato oggi è che siamo ancora in tempo per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5° C. Serve però un’immediata inversione di rotta. Le politiche climatiche messe in campo dai governi sino ad ora ci portano pericolosamente verso un aumento della temperatura media globale di quasi 3° C entro la fine del secolo. Il rapporto su questo è chiaro. L’obiettivo di 1.5° C è ancora raggiungibile. Non vi sono ostacoli tecnologici o finanziari. E’ solo una questione di volontà politica. Serve subito mettere in campo politiche climatiche ambiziose in grado di ridurre le emissioni climalteranti globali del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Un contributo importante può e deve venire dal phasing-out dei sussidi alle fonti fossili entro il 2030 che può consentire una riduzione del 10% delle emissioni globali. Nello stesso tempo va attuata la decarbonizzazione del settore elettrico con il phasing out del carbone, entro il 2030 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale, e del gas fossile entro il 2035 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale. Altrimenti non sarà possibile mantenere vivo l’obiettivo di 1.5° C. L’Europa, con il pieno apporto e sostegno dell’Italia, deve fare da apripista tra i Paesi OCSE. E accelerare la giusta transizione verso un futuro libero dalle fossili e 100% rinnovabile. Solo così sarà possibile ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, andando oltre il 57% annunciato alla COP27, in coerenza con l’obiettivo di 1.5° C». Il Cigno Verde sottolinea che «Per centrare l'obiettivo del 65% serve un ulteriore passo in avanti e raggiungere almeno il 50% di rinnovabili ed il 20% di efficienza energetica entro il 2030. Obiettivi questi che combinati con il phasing-out del carbone entro il 2030 e del gas fossile entro il 2035, insieme al phasing-out della vendita di veicoli con motori a combustione interna entro il 2035, possono consentire all’Europa di raggiungere la neutralità climatica ben prima del 2050. Anche l’Italia deve fare la sua parte con la revisione, prevista entro il prossimo giugno, del suo Piano Integrato Clima ed Energia (PNIEC) andando ben oltre l’inadeguato obiettivo climatico nazionale del 51% proposto nel PNRR per il 2030». Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, spiega che «L’Italia  può centrare l’obiettivo climatico del 65% grazie soprattutto al contributo delle rinnovabili. Secondo Climate Analytics, nel nostro Paese è possibile raggiungere almeno il 60% nel mix energetico e fino al 90% nel mix elettrico entro il 2030. E arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico già nel 2035, creando così le condizioni per arrivare alla neutralità climatica ben prima del 2050. Una scelta già fatta dalla Germania, che si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 con il 100% di produzione elettrica rinnovabile entro il 2035.  Solo così sarà possibile vincere la sfida della duplice crisi, energetica e climatica, che rischia di mettere in ginocchio l’Europa e l’Italia. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere grazie anche al sostegno di una larga maggioranza degli italiani. Come evidenzia il Climate Survey della Banca Europea degli Investimenti (BEI), ben il 77% degli italiani ritiene che l’invasione russa dell’Ucraina e le sue conseguenze debbano accelerare la transizione energetica del nostro Paese. Altrimenti, se non riduciamo drasticamente i nostri consumi energetici nei prossimi anni, per l’89% degli italiani rischiamo la catastrofe climatica». Secondo Jeni Miller, direttrice esecutiva della Global Climate and Health Alliance. «Presi insieme, i Sixth Assessment Reports dell'IPCC dipingono un quadro chiaro dell'urgenza e della serietà con cui ogni governo deve perseguire tutti e tre i pilastri dell'azione per il clima: rispondere alle perdite e ai danni alla salute delle persone e delle loro case, all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, alle cliniche e agli ospedali e ad altri elementi essenziali per la salute, dagli impatti climatici che stiamo vedendo e che continueremo a vedere; la necessità fondamentale di preparare le comunità di tutto il mondo con misure di adattamento per gestire meglio i prossimi impatti climatici; e prima di tutto, l'urgente necessità di mitigare il cambiamento climatico assumendo forti impegni quest'anno per una rapida ed equa eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. Poiché i governi hanno ritardato l'azione per il clima per così tanto tempo, le politiche attualmente in atto indicano che ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento di 2,7° C, ben al di sopra dell'obiettivo di 1,5° C dell'accordo di Parigi. Se non controllato, sarà impossibile adattarsi rapidamente o in modo sufficientemente esteso da superare i punti di non ritorno climatici e gli impatti previsti per un tale riscaldamento incontrollato. L'IPCC chiarisce che i governi devono assumere impegni più forti quest'anno per accelerare la mitigazione. I combustibili fossili devono sparire. Inoltre, poiché i governi non sono riusciti a prevenire i danni alla salute e al benessere umano che si stanno già verificando, è necessario aumentare il livello di assistenza e preparazione, con investimenti significativi nell'adattamento, nella resilienza, nella perdita e nei danni. La continua incapacità di mitigare i cambiamenti climatici ci sta rapidamente portando verso un pianeta che potrebbe diventare inabitabile. Ma un'azione coraggiosa da parte dei governi quest'anno può ancora evitare cambiamenti climatici catastrofici, prevenire sofferenze umane indicibili e offrire un futuro più sano ed equo». Il Wwf fa notare che «Il Sixth Assessment Synthesis Report (AR6) dell'IPCC mette in luce le rapide riduzioni delle emissioni necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici intermedi: ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 per raggiungere lo zero netto entro la metà del secolo ed evitare che le temperature globali superino il punto di non ritorno pericoloso di 1,5° C. Riconosce tuttavia che le attuali politiche sono fuori strada per raggiungere questi obiettivi, nonostante la gamma di soluzioni economicamente vantaggiose disponibili. I paesi dovrebbero valutare i loro progressi verso il raggiungimento di questi obiettivi nel bilancio globale al vertice delle Nazioni Unite sul clima COP28 entro la fine dell'anno». Per questo, il Wwf esorta l'Unione europea e gli altri governi a «Prestare attenzione agli avvertimenti del rapporto e ad agire rapidamente per attuare le sue raccomandazioni per limitare gli impatti della crisi climatica. Invita i leader a ridurre rapidamente le emissioni in tutti i settori, aumentare gli sforzi per costruire la resilienza agli eventi meteorologici estremi e proteggere e ripristinare la natura. Un'eliminazione graduale accelerata dei combustibili fossili è il modo migliore per evitare che il pianeta superi gli 1,5 °C e rischi una catastrofe climatica totale». Shirley Matheson, global NDC enhancement coordinator del Wwf Europe, ricorda che «L'Unione Europea, come alcuni altri paesi, sta già ottenendo la riduzione delle emissioni in alcuni settori, ma l'azione non è ancora della portata o della velocità di cui abbiamo bisogno. Questo rapporto mostra ancora una volta che la finestra di opportunità per limitare il riscaldamento a 1,5° C si sta rapidamente chiudendo. L'UeE ha molti strumenti e politiche sul tavolo ed è in grado di affrontare questa sfida, ma spesso manca la volontà politica di ascoltare la scienza e prendere le decisioni giuste. Prima e con maggiore decisione l'Ue agisce, prima le persone e la natura possono raccogliere i benefici di un futuro più pulito, più sicuro e più stabile». Il Wwf fa notare che il nuovo Synthesis Report IPCC evidenzia che esistono già molte soluzioni a basso costo per la necessaria trasformazione economica [C.3]; il costo delle energie rinnovabili come l'eolico e il solare è diminuito fino all'85% nell'ultimo decennio [A.4.2]; l' importanza della natura e della conservazione,  compresa la necessità di conservare dal 30% al 50% della terraferma, delle acque dolci e degli oceani della Terra per mantenere la resilienza della biodiversità e dei servizi ecosistemici su scala globale [C.3.6]; l’urgenza dell'azione in questo decennio, così come entro il 2035 - la data che si collega alla prossima tornata di contributi determinati a livello nazionale ai sensi dell'Accordo di Parigi [B.6.1]. Stephen Cornelius, global deputy lead climate and energy del Wwf concòude: «Le prove sono cristalline, la scienza è inequivocabile: è solo la mancanza di volontà politica che ci trattiene dall'azione coraggiosa necessaria per evitare una catastrofe climatica. I leader che ignorano la scienza del cambiamento climatico stanno deludendo la loro gente. Una rapida eliminazione dei combustibili fossili è essenziale, così come la protezione e il ripristino degli ecosistemi naturali. La natura è il nostro alleato segreto nella lotta al cambiamento climatico. I sistemi naturali hanno assorbito il 54% delle emissioni di anidride carbonica legate all'uomo negli ultimi dieci anni e hanno rallentato il riscaldamento globale e contribuito a proteggere l'umanità da rischi di cambiamento climatico molto più gravi. Non possiamo sperare di limitare il riscaldamento a 1,5° C, adattarci ai cambiamenti climatici e salvare vite e mezzi di sussistenza, a meno che non agiamo anche con urgenza per salvaguardare e ripristinare la natura. La natura è una parte non negoziabile della soluzione alla crisi climatica».   L'articolo Nuovo Synthesis Report IPCC: gli ambientalisti è il nostro manuale di sopravvivenza sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Nuovo Synthesis Report IPCC: «Un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti»

Synthesis Report IPCC
Secondo gli scienziati che hanno redatto l’ultimo Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)presentato oggi, «Esistono opzioni multiple, fattibili ed efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall'uomo, e sono ora disponibili». Il presidente dell'IPCC, Hoesung Lee, ha detto che «L'integrazione di un'azione climatica efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche benefici più ampi. Questo Synthesis Report sottolinea l'urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti». Nel 2018, l'IPCC aveva evidenziato la portata senza precedenti della sfida per mantenere il riscaldamento climatico entro gli 1,5° C e ors dice che «5 anni dopo, questa sfida è diventata ancora più grande a causa del continuo aumento delle emissioni di gas serra. Il ritmo e la portata di ciò che è stato fatto finora e i piani attuali non sono sufficienti per affrontare il cambiamento climatico». Dal Synthesis Report arriva la conferma che «Più di un secolo di combustione di combustibili fossili, nonché di uso ineguale e insostenibile di energia e suolo, ha portato a un riscaldamento globale di 1,1° C rispetto ai livelli preindustriali. Questo ha portato a eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi che hanno causato impatti sempre più pericolosi sulla natura e sulle persone in ogni regione del mondo. Ogni incremento del riscaldamento si traduce in un rapido aumento dei pericoli. Ondate di caldo più intense, precipitazioni più intense e altri eventi meteorologici estremi aumentano ulteriormente i rischi per la salute umana e gli ecosistemi. In ogni regione, le persone muoiono a causa del caldo estremo. Si prevede che l'insicurezza alimentare e idrica dovuta al clima aumenterà con l'aumento del riscaldamento. Quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o conflitti, diventano ancora più difficili da gestire». Il rapporto IPCC, approvato dopo una intensa sessione di studio e confronto durata una settimana a Interlaken, in Svizzera, mette a fuoco «Le perdite e i danni che stiamo già subendo e che continueranno in futuro, colpendo in modo particolarmente duro le persone e gli ecosistemi più vulnerabili. Intraprendere l'azione giusta ora potrebbe comportare il cambiamento trasformativo essenziale per un mondo sostenibile ed equo». Aditi Mukherji, uno dei 93 autori di questo Synthesis Report, sottolinea che «La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico sono stati colpiti in modo sproporzionato. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nell'ultimo decennio, le morti per inondazioni, siccità e tempeste sono state 15 volte superiori nelle regioni altamente vulnerabili». Il report IPCC avverte che «In questo decennio, un'azione accelerata per l'adattamento ai cambiamenti climatici è essenziale per colmare il gap tra l'adattamento esistente e ciò che è necessario. Nel frattempo, mantenere il riscaldamento a 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali richiede riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra in tutti i settori. Se si vuole limitare il riscaldamento a 1,5° C, le emissioni dovrebbero ormai diminuire e dovranno essere ridotte di quasi la metà entro il 2030. La soluzione sta nello sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici. Questo comporta l'integrazione di misure per l'adattamento ai cambiamenti climatici con azioni per ridurre o evitare le emissioni di gas serra in modi che forniscano benefici più ampi». L’IPCCC fa alcuni esempi: «L'accesso all'energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto per donne e bambini; l'elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi, in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell'aria, migliorano la salute, le opportunità di lavoro e forniscono equità. I benefici economici per la salute delle persone derivanti dai soli miglioramenti della qualità dell'aria sarebbero più o meno gli stessi, o forse anche maggiori dei costi per ridurre o evitare le emissioni». Ma occorre far presto perché «Lo sviluppo resiliente al clima diventa progressivamente più impegnativo con ogni incremento del riscaldamento. Per questo le scelte compiute nei prossimi anni svolgeranno un ruolo fondamentale nel decidere il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno. Per essere efficaci, queste scelte devono essere radicate nei nostri diversi valori, visioni del mondo e conoscenze, comprese le conoscenze scientifiche, le conoscenze indigene e le conoscenze locali. Questo approccio faciliterà lo sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici e consentirà soluzioni localmente appropriate e socialmente accettabili». Uno degli autori del rapporto, Christopher Trisos, direttore del Climate Risk Lab all’University of Cape Town’s African Climate and Development Initiative, spiega che «I maggiori guadagni in termini di benessere potrebbero derivare dal dare priorità alla riduzione del rischio climatico per le comunità a basso reddito ed emarginate, comprese le persone che vivono in insediamenti informali. Un'azione accelerata per il clima avverrà solo se ci sarà un aumento di molte volte dei finanziamenti. Finanziamenti insufficienti e disallineati stanno frenando il progresso». Ma se le barriere esistenti verranno ridotte, c’è capitale globale sufficiente per ridurre rapidamente le emissioni di gas serra: « Aumentare i finanziamenti per gli investimenti climatici è importante per raggiungere gli obiettivi climatici globali – dice l’IPCC - I governi, attraverso finanziamenti pubblici e segnali chiari agli investitori, sono fondamentali per ridurre queste barriere. Anche gli investitori, le banche centrali e le autorità di regolamentazione finanziaria possono fare la loro parte. Esistono misure politiche collaudate che, se vengono ampliate e applicate in modo più ampio possono funzionare per ottenere profonde riduzioni delle emissioni e resilienza climatica. L'impegno politico, le politiche coordinate, la cooperazione internazionale, la gestione dell'ecosistema e la governance inclusiva sono tutti elementi importanti per un'azione per il clima efficace ed equa. Se la tecnologia, il know-how e le misure politiche adeguate vengono condivise e vengono messi a disposizione fin d'ora finanziamenti adeguati, ogni comunità può ridurre o evitare i consumi ad alta intensità di carbonio. Allo stesso tempo, con investimenti significativi nell'adattamento, possiamo evitare l'aumento dei rischi, in particolare per i gruppi e le regioni vulnerabili». E il Synthesis Report ribadisce che «Il clima, gli ecosistemi e la società sono interconnessi. Una conservazione efficace ed equa di circa il 30-50% della terra, dell'acqua dolce e degli oceani della Terra contribuirà a garantire un pianeta sano».  Ma anche le aree urbane offrono un'opportunità su scala globale per un'azione climatica ambiziosa che contribuisca allo sviluppo sostenibile: «I cambiamenti nel settore alimentare, dell'elettricità, dei trasporti, dell'industria, degli edifici e dell'uso del suolo possono ridurre le emissioni di gas serra. Allo stesso tempo, possono rendere più facile per le persone condurre stili di vita a low carbon, il che migliorerà anche la salute e il benessere. Una migliore comprensione delle conseguenze del consumo eccessivo può aiutare le persone a fare scelte più informate». Lee ha concluso: «E’ più probabile che i cambiamenti trasformativi abbiano successo dove c'è fiducia, dove tutti lavorano insieme per dare priorità alla riduzione del rischio e dove i benefici e gli oneri sono condivisi equamente. Viviamo in un mondo eterogeneo in cui ognuno ha responsabilità diverse e diverse opportunità per realizzare il cambiamento. Alcuni possono fare molto mentre altri avranno bisogno di supporto per aiutarli a gestire il cambiamento». L'articolo Nuovo Synthesis Report IPCC: «Un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.