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Rifiuti speciali, slitta la presentazione del Mud: c’è tempo fino a luglio

Modello unico di dichiarazione ambientale mud rifiuti speciali

Il termine per adempiere agli obblighi previsti dalla normativa in merito al Modello unico di dichiarazione ambientale (Mud) slitta ai primi giorni di luglio, come informa il ministero dell’Ambiente.
Il decreto della presidenza del Consiglio che aggiorna la modulistica per il Mud è atteso entro il 10 marzo in Gazzetta ufficiale; da quel momento scatteranno 120 giorni di tempo per gli operatori di settore, facendo così slittare gli obblighi tra il 4 e il 10 luglio prossimi, in base all’effettiva data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale.
Le dichiarazioni Mud, è utile ricordare, rappresentano la principale fonte di informazione per stimare la produzione nazionale dei rifiuti speciali, che ammontano a circa il quintuplo dei rifiuti urbani. Si tratta di un mondo dove la certezza dell’informazione, purtroppo, è ancora utopia.
Basti osservare che, ai sensi del comma 3 dell’art. 189 del decreto legislativo n.152/2006, sono tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale solo gli Enti e le imprese produttori di rifiuti pericolosi e quelli che producono i rifiuti non pericolosi, di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) del citato decreto; per i rifiuti non pericolosi, sono esclusi dall’obbligo di presentazione della dichiarazione i produttori iniziali con meno di 10 dipendenti.
Di fatto, dunque, gran parte degli operatori di settore resta escluso dagli obblighi Mud: non a caso anche l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) arriva a stimare il 49,8% dei rifiuti non pericolosi, non potendo accedere a fonti certe nel merito.
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Cambiamento climatico: aumenta la diffusione di un parassita pericoloso per la salute umana

aumenta la diffusione di un parassita pericoloso per la salute umana

Secondo lo studio “Current and future distribution of a parasite with complex life cycle under global change scenarios: Echinococcus multilocularis in Europe”, pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori dell’università di Pisa, Istituto di bioeconomia CNR Firenze e Fondazione Edmund Mach di Trento, « Per effetto del cambiamento climatico la distribuzione di Echinococcus multilocularis, un parassita di canidi e piccoli mammiferi, e dannoso per la salute umana, è in espansione».
Echinococcus multilocularis è un verme piatto che circola tra canidi (selvatici e domestici) e piccoli mammiferi (soprattutto roditori) e che causa una grave patologia denominata Echinococcosi alveolare che ha spesso esiti fatali nell’uomo. Si tratta del secondo più importante parassita trasmesso per via orale all’uomo in Europa, e terzo al mondo dopo la Taenia solium e l’Echinococcus granulosus.
Il professor Alessandro Massolo del Dipartimento di biologia dell’università di Pisa, che ha condotto il team di ricerca, a spiega che «Il cambiamento globale in corso sta influenzando drammaticamente la diffusione e l’emergere di molte malattie infettive, sia nelle popolazioni umane, sia in quelle animali, si stima infatti che oltre il 60% delle malattie infettive umane conosciute e circa il 75% di quelle emergenti siano causate da agenti patogeni di origine animale; comprendere dunque l'impatto del cambiamento globale sulla distribuzione e la prevalenza dei parassiti è una questione cruciale per la salute pubblica».
Insieme al professor Massolo, per l’Ateneo pisano hanno lavorato alla ricerca Lucia Cenni, dottoranda in biologia, e Andrea Simoncini, studente di magistrale di biologia in conservazione ed evoluzione - WCE. Hanno partecipato allo studio anche Heidi Christine Hauffe e Annapaola Rizzoli della Fondazione Edmund Mach di Trento e Luciano Massetti dell’Istituto per la Bioeconomia del CNR di Firenze.
Con l’aiuto di tecniche di machine learning, il team di ricercatori ha analizzato, la distribuzione attuale e futura in Europa di Echinococcus multilocularis, sulla base di scenari di cambiamento climatico e di uso del suolo e ne è venuto fuori che «Le proiezioni suggeriscono un aumento generale di aree ad molto idonee per questo parassita verso le latitudini settentrionali (Gran Bretagna e Penisola Finno-scandinava) e nell'intera regione alpina, mentre ne prevedono una diminuzione in Europa centrale (Germania, Polonia, Svizzera, Austria e Repubblica Ceca)».
Masslo evidenzia che «Per la prima volta abbiamo stimato la distribuzione di Echinococcus multilocularis in base a vari scenari relativi ai cambiamenti climatici e all’uso del suolo, per farlo abbiamo integrato varie discipline quali l’ecologia animale, la modellizzazione ecologica, la parassitologia e la epidemiologia».
 
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Festa della donna senza mimosa, la siccità ha tagliato un terzo della produzione toscana

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Con 49 milioni di valore alla produzione e 2.596 aziende specializzate, il comparto di fiori concentrato principalmente tra la Versilia, Viareggio e Pescia è tra i più importanti in Italia contribuendo, insieme al vivaismo, al 30% del Pil agricolo regionale. Ma la siccità sta stravolgendo anche questo comparto economico tradizionale, come mostra in modo esemplare il caso della mimosa.
Dalla Coldiretti Toscana, ovvero la più grande associazione di agricoltori attiva in regione, segnalano alla vigilia della Festa della donna «l’addio a 1 mimosa su 3 a causa della siccità, che ha tagliato almeno del 30% la produzione e fatto aumentare i prezzi spingendo i consumatori verso i nuovi fiori di tendenza come l’anemone, il ranuncolo, il tulipano ma anche la violaciocca ed il garofano».
La scarsità di mimose nel 2023 ha fatto aumentare le quotazioni con prezzi che – sottolinea Coldiretti Toscana – vanno dai 5 ai 10 euro per salire fino ai 20 euro e oltre per i mazzi più grandi o per le piante in vaso: «Una situazione che sta attirando i ladri di fiori tanto che si moltiplicano le segnalazioni di furti e tentati furti nelle aree di coltivazione».
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Cinque ricercatori dall’Ucraina all’Italia: due saranno ospitati all’Università di Pisa

ucraina universita di pisa

Il bando MSCA4Ukraine (Marie- Skłodowska Curie Actions for Ukraine), finanziato dall’Ue, permetterà a ricercatori e ricercatrici ucraini di continuare il loro lavoro presso università ed enti di ricerca in 21 paesi europei, con l’Ateneo pisano in prima fila.
«Dare la possibilità a studenti, docenti e ricercatori ucraini di continuare i loro studi e le loro attività di ricerca nelle nostre aule e nei nostri laboratori è l’azione più concreta che possiamo mettere in campo come comunità accademica – dichiara il rettore, Riccardo Zucchi – per aiutare una popolazione colpita dalla guerra. Il programma MSCA4Ukraine nasce proprio con questo intento e come Università di Pisa siamo onorati di poter ospitare due dei cinque ricercatori che arriveranno in Italia».
Il progetto presso dipartimento di Chimica e chimica industriale durerà 12 mesi e verrà svolto da uno studente di dottorato dell’Istituto di chimica organica della National academy of sciences dell’Ucraina, con sede a Kyiv. Lo studente avrà come tutor il professor Gaetano Angelici e svolgerà un progetto di ricerca dal titolo “Sintesi di eterocicli funzionalizzabili per lo studio di nuovi coniugati peptidomimetici per applicazioni biomediche”.
Il progetto presso il dipartimento di Ingegneria civile e industriale durerà 24 mesi e verrà svolto da un ricercatore dell’Istituto di geochimica ambientale della National academy of sciences dell’Ucraina. Il ricercatore avrà come tutor la professoressa Rosa Lo Frano e svolgerà un progetto dal titolo “Valutazione dell'accumulo, della contaminazione e della migrazione del trizio in impianti nucleari in calcestruzzo”.
E una volta finita la durata del progetto di ricerca? Il programma MSCA4Ukraine ha anche l’obiettivo di facilitare il reinserimento dei ricercatori in Ucraina nel caso, dopo il periodo del finanziamento, siano soddisfatte le condizioni per un rientro sicuro, al fine di prevenire la fuga permanente dei cervelli e contribuire a rafforzare il settore universitario e della ricerca ucraino e la collaborazione e lo scambio con la comunità di ricerca internazionale.
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Nevediversa 2023: in Italia il 90% delle piste è già innevato artificialmente

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Secondo  i dati del nuovo dossier “Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell’era della crisi climatica”  di Legambiente, «In Italia, complice la crisi climatica, è sos neve. Una neve sempre più rara – visto che su Alpi e Appennini a causa dell’aumento delle temperature nevica sempre di meno con impatti negativi anche sul turismo invernale e sulla stagione sciistica – e una neve sempre più costosa dato che per compensare la mancanza di quella naturale, l’Italia punta sull’innevamento artificiale, una pratica non sostenibile e alquanto cara sperperando anche soldi pubblici».
In base alle ultime stime disponibili, il rapporto del Cigno Verde evidenzia che «L’Italia è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%). La percentuale più bassa è in Germania, con il 25%. Preoccupante il numero di bacini idrici artificiali presenti in montagna ubicati in prossimità dei comprensori sciistici italiani e utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale: sono ben 142 quelli mappati nella Penisola per la prima volta da Legambiente attraverso l’utilizzo di immagini satellitari per una superficie totale pari a circa 1.037.377 mq. Il Trentino Alto Adige detiene il primato con 59 invasi, seguito da Lombardia con 17 invasi e dal Piemonte con 16 bacini. Nel Centro Italia, l’Abruzzo è quello che ne conta di più, ben 4. In parallelo, nella Penisola nel 2023 aumentano sia gli “impianti dismessi” toccando quota 249, sia quelli “temporaneamente chiusi” - sono 138 – sia quelli sottoposti a “accanimento terapeutico”, ossia quelli che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico, e che nel 2023 arrivano a quota 181».
Tutti impianti censiti da Legambiente che quest’anno allarga il suo monitoraggio includendo anche altre categorie: quelle degli “impianti un po’ aperti, un po’ chiusi”, ossia quei casi che con le loro aperture “a rubinetto” rendono bene l’idea della situazione di incertezza che vive il settore. In totale sono 84. La categoria degli “edifici fatiscenti”, 78 quelli censiti. Ed infine la categoria “smantellamento e riuso”, 16 i casi censiti.
Per Legambiente «Il sistema di innevamento artificiale non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio». L’associazione ambientalista evidenzia: «Considerando che in Italia il 90% delle piste è dotato di impianti di innevamento artificiale il consumo annuo di acqua già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di m3 che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti. Inoltre l’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione. Senza contare che il costo della produzione di neve artificiale sta anche lievitando, passando dai 2 euro circa a metro cubo del 2021-2022, ai 3-7 euro al metro cubo nella stagione 2022-2023. Per questi motivi Legambiente torna a ribadire l’urgenza di ripensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, partendo da una diversificazione delle attività. Ce lo impone la crisi climatica che avanza e che sta avendo anche pesanti impatti sull’ambiente montano. Difronte a ciò l’Italia non può più restare miope, ne può pensare di poter inseguire la neve».
Presentando “Nevediversa 2023”, Il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani ha detto che «La crisi climatica sta accelerando la sua corsa: la fusione repentina dei ghiacciai alpini che raccontiamo con la nostra campagna Carovana dei ghiacciai, l’emergenza siccità mai finita dalla scorsa estate che non sta dando tregua al nostro Paese, l’aumento delle temperature e degli eventi estremi, sono tutti codici rossi e campanelli d’allarme che il nostro Pianeta ci sta inviando. Al ministro del Turismo Daniela Santachè, che questo inverno ha avviato un tavolo tecnico per l’emergenza legata alla mancanza di neve in Appennino, torniamo a ribadire che avrebbe più senso investire risorse nell’adattamento e non nell’innevamento artificiale. Con un clima sempre più caldo, nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell’acqua sempre più problematici e conflittuali. Per questo è fondamentale che nella lotta alla crisi climatica l’Italia cambi rotta mettendo in campo politiche più ambiziose ed efficace, aggiornando e approvando entro la fine di marzo il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, e rindirizzando meglio i fondi del PNRR».
Nel report Legambiente ricorda che «Il  2022 è stato l’anno più caldo e secco in oltre due secoli in Italia, il secondo più caldo in Europa. Negli ultimi anni i maggiori incrementi di temperatura si sono registrati nell’arco alpino. L’elevate temperature e lo scarso innevamento producono impatti e ricadute negative anche sul turismo invernale e sulla stagione sciistica. Nella stagione sciistica 2022-2023 per la prima volta nella storia dello sci nel calendario di Coppa del mondo, da inizio stagione a fine febbraio 2023, sono state cancellate/rinviate per il comparto maschile 8 gare su 43, il 18,6% del totale. Per il comparto femminile: 5 le gare cancellate su un totale di 42 (11,9% de totale). Quasi tutte per scarso innevamento e/o temperature elevate».
Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, spiega che «La neve artificiale che negli anni ottanta era a integrazione di quella naturale, ora costituisce il presupposto indispensabile per una stagione sciistica, a tal punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture. Non si considera però che se le temperature aumenteranno oltre una certa soglia, l’innevamento semplicemente non sarà più praticabile se non in spazi molto ristretti di alta quota, in luoghi dove i costi già elevati della neve e della pratica sportiva subiranno incrementi consistenti, tanto da permettere l’accessibilità dello sci alpino unicamente ad una ridotta élite, così come accadeva nel passato. Lo ripetiamo, le nostre montagne stanno cambiando: pochissima neve, nevica più tardi e la neve è più bagnata e più pesante. E’ la fine di un’epoca, che però deve essere accompagnata da un nuovo modo ecosostenibile di ripensare il turismo insieme ad un nuovo approccio culturale. Per questo è fondamentale sostenere le buone pratiche che si stanno sviluppando nelle nostre montagne».
Sono 249 gli impianti dismessi censiti da Legambiente (15 in più rispetto al 2022). Tra i casi simbolo quello di Gressoney-la Trinité (AO) Loc. Orsia-Bedemie dove l’ex sciovia era utilizzata per lo sci estivo e lo snowboard. Lo skilift è stato dismesso per la fusione del ghiacciaio. Le stazioni di partenza e di arrivo del vecchio skilift sono state smantellate e sgomberate, ma i rottami dell’impianto nel 2018 erano ancora sul posto. Sono 138 gli impianti temporaneamente chiusi (3 in più rispetto al 2022), tra questi quello di Picinisco (FR) dove il comprensorio non riesce a risollevarsi nonostante il rimodernamento da parte dell’Amministrazione. Impennata degli impianti sottoposti a “accanimento terapeutico”, salgono a 181 (33 in più rispetto al 2022). Ad esempio ad Asiago (VI), Comprensorio Kaberlaba, è stato costruito un nuovo bacino di raccolta per sparare neve nonostante la contrarietà delle attività ricettive. Tra i casi simbolo della categoria “impianti un po’ chiusi, un po’ aperti” c’è quello di Subiaco, nel Lazio, a Monte Livata dove l’impianto, composto da una seggiovia e tre skilift, è stato chiuso a dicembre, aperto a gennaio. Un continuo rincorrere la neve. Per la categoria “edifici fatiscenti” si segnala quello di Colonia Pian di Doccia, Gavinana (PT) dove si trova un enorme complesso in totale stato di abbandono e colpito da atti di vandalismo. Buone notizie arrivano, invece, dagli “smantellamenti”. In Lombardia a Castione della Presolana (BG) la seggiovia biposto è stata smontata e demolita.
Nel report Legambiente fa anche il punto sulle Olimpiadi 2026: «A tre anni dal via, sono diversi i rischi, i ritardi e le ombre all’orizzonte. Se da una parte i cantieri delle infrastrutture considerate essenziali-indifferibili risultano già essere in ritardo, dall’altra parte - sottolinea Legambiente - la costruzione di queste opere sarà soggetta a “procedure accelerate”, rischiando di sacrificare così le necessarie valutazioni sugli impatti ambientali e sanitari.Manca ancora un completo cronoprogramma e questo rende molto difficile stabilire se e quali opere verranno effettivamente concluse in tempo per i giochi olimpici e quali saranno realizzate solamente per “stralci”. Per non parlare del rischio di infiltrazioni mafiose».
Infine nel report c’è spazio anche ad una settantina di buone idee, storie di giovani e meno giovani che hanno deciso di puntare su Alpi e Appennini su sostenibilità e senso di comunità. Non manca un’analisi critica su alcune “cattive idee” che non stanno facendo bene alla montagna.
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Edf, Edison e Ansaldo siglano un accordo per portare il «nuovo nucleare» in Italia

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Senza dare al momento troppo nell’occhio, lo Stato italiano e quello francese hanno lanciato un’alleanza per provare a far tornare l’energia nucleare nel Bel Paese, puntando al contempo ad aumentarne la diffusione nel resto d’Europa.
Il gruppo Ansaldo (dove il ministero dell’Economia ha un ruolo determinante tramite la partecipazione di Cdp), Edison (controllata da Edf) ed Edf (controllata dallo Stato francese, nonché primo produttore di energia nucleare al mondo) hanno infatti siglato una lettera d’intenti per «collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la diffusione, in prospettiva anche in Italia».
«Obiettivo dell’accordo – spiegano le tre società – è di valorizzare nell’immediato le competenze della filiera nucleare italiana, di cui Ansaldo nucleare è capofila, a supporto dello sviluppo dei progetti di nuovo nucleare del gruppo Edf, e al contempo di avviare una riflessione sul possibile ruolo del nuovo nucleare nella transizione energetica in Italia».
In particolare, i tre firmatari della lettera d’intenti «si impegnano a verificare le potenzialità di sviluppo e di applicazione del nuovo nucleare in Italia, date le crescenti esigenze di sicurezza e indipendenza energetica del sistema elettrico italiano».
Non è ben chiaro quale sia il «nuovo nucleare» cui si fa riferimento nell’accordo, perché le tecnologie cui si accenna sono in realtà discusse già da decenni: gli European pressurized water reactor (Epr) e gli Small modular reactor (Smr).
Un ottimo esempio della tecnologia Epr è fornito dalla centrale nucleare di Flamanville 3, un progetto che Edf sta cercando di concludere su suolo francese dal 2007: avrebbe dovuto completarsi in 6 anni, mentre l’attuale stima è di 15 anni. In compenso «il progetto prevedeva un costo dell’impianto di 3,3 miliardi di euro, che sarà di 12,4 miliardi secondo Electricité de France (Edf); ma la Corte de Conti francese ha rifatto il calcolo e ha detto che sarà di 19,1 miliardi di euro. Quasi sei volte tanto», come sottolinea l’esperto di energia e già docente di Fisica del reattore nucleare Giovanni Battista Zorzoli.
In merito agli Small modular reactor, invece, la situazione è ancora più aleatoria: «Parliamo di reattori dei quali si è iniziato a parlare negli anni Ottanta del secolo scorso e attualmente sono in esercizio giusto tre prototipi. Uno che non produce elettricità, uno in Russia molto discusso perché installato su una piattaforma galleggiante, mentre il terzo è in Cina e se ne sa molto poco».
Ciononostante, non sorprende la scelta di approfondire il «ruolo del nuovo nucleare nella transizione energetica in Italia», dato che la maggioranza politica che sostiene il Governo Meloni si è espressa più volte a favore.
Ignorando così sia l’esito di due referendum popolari, sia i profili di insostenibilità ambientale ed economica che suggeriscono di non puntare sul nucleare per decarbonizzare il mix energetico italiano; se è vero che le fonti rinnovabili intermittenti (come eolico e solare) necessitano di tecnologie aggiuntive per poter coprire in modo efficace la domanda di energia baseload del Paese, questo è un obiettivo che può essere più agevolmente raggiunto investendo in sistemi di accumulo e in fonti rinnovabili non intermittenti (teoricamente la geotermia, da sola, potrebbe coprire il quintuplo del fabbisogno nazionale di energia).
In ogni caso, è difficile dirsi quanto la lettera d’intenti firmata da Ansaldo, Edison ed Edf avvicini davvero l’ipotesi di un ritorno nucleare in Italia. Anche perché quando si passa dagli slogan politici alle ipotesi di localizzazione impiantistica, neanche lo stesso Governo Meloni sembra credere più di tanto alla boutade.
Basti osservare cosa sta accadendo al Deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi, un’infrastruttura indispensabile per gestire in sicurezza tutti i rifiuti di questo tipo che abbiamo prodotto e che continuiamo ancora adesso a generare (ad esempio nei settori della medicina nucleare e dell’industria) nel nostro Paese.
L’iter per la realizzazione del Deposito è iniziato nel 2010, durante il Governo Berlusconi IV, ed il completamento è atteso per il 2025; di fatto, ad oggi non è stata resa nota neanche la Carta nazionale delle aree idonee, tanto che il Governo Meloni ne ha fatto slittare la pubblicazione «verosimilmente entro il corrente anno», mentre il Deposito vero e proprio potrebbe entrare in esercizio nel 2030. Ovvero lo stesso anno per cui il leader della Lega Matteo Salvini fantasticava, in campagna elettorale, il completamento della prima centrale nucleare italiana.
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Il digital divide e l’8 marzo: I diritti digitali sono diritti delle donne (VIDEO)

Il digital divide e l8 marzo

Aprendo la 67esima sessione della Commission on the Status of Women (CSW), la vice.segretaria generale dell’Onu e direttrice esecutiva di UN Women, Sima Bahous,  ha detto che «Ora il mondo si confronta con un nuovo tipo di povertà, che esclude le donne e le ragazze in modi devastanti: quella della povertà digitale.
Il digital divide è diventato il nuovo volto della disuguaglianza di genere, aggravata dall’ostracismo contro le donne e le ragazze che vediamo oggi nel mondo».
Alla vigilia dell’8 marzo, la giornata internazionale della donna, la Bahous ha però evidenziato che «La rivoluzione digitale offre opportunità senza precedenti per donne e ragazze. Allo stesso tempo, ha anche dato origine a nuove profonde sfide, aggravando fortemente le disuguaglianze di genere. La relazione del Segretario generale è inequivocabile. Non raggiungeremo la parità di genere senza colmare il digital divide».
Infatti, nel suo intervento António Guterres ha osservato che «Il CSW si sta iriunendo mentre i progressi sui diritti delle donne stanno svanendo, anche in paesi come l'Afghanistan, dove le donne e le ragazze sono state, in effetti, cancellate dalla vita pubblica, e mentre l'uguaglianza di genere sta allontanandosi sempre di più. La vostra attenzione quest'anno per colmare i gap di genere nella tecnologia e nell'innovazione non potrebbe essere più opportuna. Perché mentre la tecnologia avanza, le donne e le ragazze vengono lasciate indietro. La matematica è semplice: senza le intuizioni e la creatività di mezzo mondo, la scienza e la tecnologia realizzeranno solo la metà del loro potenziale. Poiché la disuguaglianza di genere è in definitiva una questione di potere, chiedo  un'azione urgente in tre aree, a partire dall'aumento dell'istruzione, del reddito e dell'occupazione per le donne e le ragazze, in particolare nel Sud del mondo. Occorre inoltre promuovere la piena partecipazione e la leadership delle donne e delle ragazze nel campo della scienza e della tecnologia. La comunità internazionale deve anche creare un ambiente digitale sicuro per donne e ragazze. A questo proposito, le Nazioni Unite stanno lavorando per promuovere un codice di condotta per l'integrità delle informazioni sulle piattaforme digitali, volto a ridurre i danni e aumentare la responsabilità».
Il capo dell’Onu ha poii ricordato che «Promuovere il pieno contributo delle donne alla scienza, alla tecnologia e all'innovazione non è un atto di beneficenza o un favore alle donne, ma un “must” a beneficio di tutti. La CSW è una dinamo e un catalizzatore per la trasformazione di cui abbiamo bisogno. Insieme, respingiamo la spinta verso la misoginia e andiamo avanti per le donne, le ragazze e il nostro mondo».
Ma la Bahous ha snocciolato cifre davvero preoccupanti che sono lo specchio di una regressione in corso: «I dati fanno riflettere. Le donne hanno il 18% in meno di probabilità rispetto agli uomini di possedere uno smartphone e molto meno probabilità di accedere o utilizzare Internet. Solo lo scorso anno, erano online 259 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Solo il 28% dei laureati in ingegneria e il 22% dei lavoratori dell'intelligenza artificiale a livello globale sono donne, nonostante le ragazze eguaglino le prestazioni dei ragazzi nelle materie scientifiche e tecnologiche in molti Paesi. Nel settore tecnologico a livello globale, le donne non solo occupano meno posizioni, ma devono anche affrontare un gap retributivo di genere del 21%. Quasi la metà di tutte le donne che lavorano nella tecnologia ha subito molestie sul posto di lavoro. Il gap nell'accesso agli strumenti e alle opportunità digitali è più ampio laddove le donne e le ragazze sono spesso più vulnerabili. Questo gap colpisce in modo sproporzionato donne e ragazze con basso livello di alfabetizzazione o basso reddito, coloro che vivono in aree rurali o remote, migranti, donne con disabilità e donne anziane. Mette a repentaglio la nostra promessa di non lasciare indietro nessuno».
E queste differenze hanno gravi conseguenze per le donne e le ragazze: «Il digitali divide può limitare l'accesso delle donne alle informazioni salvavita, ai prodotti di denaro mobile, all'estensione dell'agricoltura o ai servizi pubblici online – ha ricordato la leader di UN Woman -  A sua volta, questo influenza fondamentalmente se una donna completa la sua istruzione, possiede il proprio conto in banca, prende decisioni informate sul proprio corpo, nutre la sua famiglia o ottiene un impiego produttivo. Fondamentalmente, il digital divide è pervasivo perché la tecnologia è pervasiva in tutti gli aspetti della nostra vita moderna».
Inoltre, occorre anche affrontare con fermezza le minacce alla sicurezza e al benessere delle ragazze derivanti da un abuso tecnologico: «Anche dove hanno accesso a strumenti e servizi digitali, la discriminazione ha preso piede e continua a trovare nuovi modi per negare loro i propri diritti – ha detto la Bahous  - Una ricerca ha dimostrato che l'80% dei bambini in 25 Paesi hanno riferito di sentirsi in pericolo di abuso e sfruttamento sessuale quando sono online, con le ragazze adolescenti che sono le più vulnerabili. Un sondaggio tra giornaliste donne di 125 Paesi ha rilevato che tre quarti avevano subito violenze online nel corso del loro lavoro e un terzo si era autocensurato in risposta. Le donne afghane che hanno parlato attraverso YouTube e blog hanno visto le loro porte contrassegnate dai talebani e molte sono fuggite dal loro Paese per mettersi in salvo. In Iran, e come rilevato nel rapporto del Segretario generale sulla situazione dei diritti umani in quel Paese, molte donne e ragazze continuano a essere prese di mira a causa della loro partecipazione a campagne online. Continuiamo a vedere gruppi radicali e alcuni governi che utilizzano i social media per prendere di mira le donne, in particolare le difensore dei diritti umani. Se temono rappresaglie, le attiviste  per i diritti delle donne non possono svolgere il proprio ruolo nel promuovere l'uguaglianza. Diventano, in effetti, invisibili.   Questa è la nuova repressione e oppressione digitale. Siamo totalmente solidali con le donne e le ragazze sottoposte a repressione e oppressione in tutto il mondo».
La vice-segretaria generale dell’Onu non si nasconde difficoltà e pericoli: «La realtà è che quelle forze e quegli attori che vorrebbero negare alle donne e alle ragazze i loro diritti sono tanto adattabili quanto malvagi. Quindi, dobbiamo adattarci più velocemente e in modo più efficace di loro, con risposte più forti, protezioni e, in definitiva, maggiore determinazione. La tecnologia e l'innovazione sono davvero fattori abilitanti. Ciò che consentono dipende da noi. Allo stesso tempo, la rivoluzione digitale offre il potenziale per un miglioramento senza precedenti nella vita delle donne e delle ragazze. Non dobbiamo respingerla».
Ma la ricerca di UN Women e DESA mostra che il progresso globale verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile  è diventato più precario che mai: «Viviamo in un mondo di poli-crisi che rendono il progresso sempre più disomogeneo anche nello spazio digitale, creando barriere nuove e uniche per donne e ragazze – ha sottolineato la Bahous - Queste crisi spaziano dalle sfide ancora irrisolte del Covid, al divario economico globale che  fa crescere disuguaglianze senza precedenti nell'accesso al cibo e all'energia, ai conflitti e all'instabilità come quelli in Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Myanmar, Territori palestinesi occupati, Ucraina e Yemen. Abbiamo bisogno di tutti gli incentivi che possiamo trovare per riportare in carreggiata gli SDG. La tecnologia e l'innovazione sono comprovati acceleratori per guidare progressi concreti, ancora una volta, attraverso l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.  Sfruttate in modo efficace, la tecnologia e l'innovazione possono cambiare le regole del gioco per catalizzare la riduzione della povertà, ridurre la fame, aumentare la salute, creare nuovi posti di lavoro, mitigare i cambiamenti climatici, affrontare le crisi umanitarie, migliorare l'accesso all'energia e rendere intere città e comunità più sicure e più sostenibili, a beneficio donne e ragazze. In innumerevoli modi, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dipendono dalla capacità del mondo di sfruttare la tecnologia e l'innovazione. Guardate i social media. Hanno permesso alle donne, che cercavano disperatamente aiuto di fronte all'aumento della violenza domestica durante i lockdowns dovuti al COVID-19, di accedere a informazioni e supporto.  Ha generato "heat maps"  per focalizzare la risposta ai disastri, come più di recente nei tragici terremoti di Turchia e Siria. I social media sono stati un connettore cruciale per il movimento delle donne all'interno e tra i Paesi. La tecnologia ha facilitato il nostro lavoro attraverso l'audace mandato di UN Women. In paesi come il Niger e Haiti, siamo state in grado di digitalizzare la raccolta dei dati nelle valutazioni rapide di genere, risparmiando tempo e denaro, oltre a offrire una nuova e più potente gestione e visualizzazione dei dati. In Ucraina, le autorità nazionali, le organizzazioni della società civile e il settore privato stanno lavorando insieme per costruire soluzioni digitali che sostengano gli aiuti di genere, la ripresa economica e riducano i digital divide. Dall'intelligenza artificiale alla realtà virtuale, fino alla blockchain: le possibilità di sfruttare la tecnologia, salvare e migliorare vite e raggiungere la visione della Carta delle Nazioni Unite, in cui ogni membro della famiglia umana vive una vita di libertà e dignità, sembrano davvero illimitate.   Sta a noi decidere il corso che desideriamo tracciare e se, in ultima analisi, sfruttare l'opportunità che ci viene offerta per costruire un mondo migliore, senza lasciare indietro nessuna donna o ragazza nella rivoluzione digitale».
Poi la Bahous è passata a delineare le azioni necessarie: «La nostra sfida non è formare più donne o distribuire telefoni cellulari. Piuttosto, è per correggere le istituzioni e gli stereotipi di genere dannosi che circondano la tecnologia e l'innovazione che fanno fallire donne e le ragazze (…)  Innanzitutto, dobbiamo colmare il digital divide di genere. Ogni componente della società, in particolare i più emarginati, deve avere pari accesso alle competenze e ai servizi digitali. I servizi digitali, in particolare i servizi di e-government, devono essere personalizzati e accessibili a tutte le donne e le ragazze.  Secondo, dobbiamo investire nell'istruzione digitale, scientifica e tecnologica per ragazze e donne, comprese quelle ragazze che non hanno avuto l’istruzione elementare. Queste opportunità non possono limitarsi a fornire competenze informatiche di base. Devono estendersi all'intera gamma di funzionalità necessarie per garantire posti di lavoro del XXI secolo in un mondo digitale.  Terzo, dobbiamo garantire posti di lavoro e posizioni di leadership alle donne nei settori della tecnologia e dell'innovazione. Come ha affermato il Segretario generale: “C'è un grande pericolo per l'uguaglianza di genere, la misoginia è radicata nelle Silicon Valley di questo mondo”. Questo richiede un profondo cambiamento istituzionale. Tale onere ricade in gran parte sui leader del settore tecnologico.  Quarto, dobbiamo garantire la trasparenza e la responsabilità della tecnologia digitale. In base alla progettazione, la tecnologia deve essere sicura, inclusiva, conveniente e accessibile. Questo include garantire che i pregiudizi inconsci o consci non siano incorporati nelle nuove tecnologie e nel campo dell'intelligenza artificiale.  Quinto, dobbiamo porre i principi di inclusione, intersezionalità e cambiamento sistemico al centro della digitalizzazione.  Se le donne non sono incluse tra i creatori di tecnologia e intelligenza artificiale, o responsabili delle decisioni, i prodotti digitali non rifletteranno le priorità delle donne e delle ragazze. Dobbiamo garantire che le donne e le ragazze siano una parte centrale della progettazione, dello sviluppo e della diffusione della tecnologia.   Sesto, dobbiamo affrontare la disinformazione a testa alta e dobbiamo lavorare con gli uomini e i ragazzi per promuovere un comportamento online etico e responsabile e fare dell'uguaglianza una pietra angolare della cittadinanza digitale. Infine, dobbiamo compiere gli sforzi e gli investimenti necessari per garantire che gli spazi online siano privi di violenza e abusi, con meccanismi e chiare responsabilità per affrontare tutte le forme di molestia, discriminazione e incitamento all'odio. Abbiamo chiuso un occhio sui loro effetti dannosi per troppo tempo. La tecnologia dovrebbe liberare, sta invece aggravando la violenza, con comportamenti online che cercano di controllare, danneggiare, mettere a tacere o screditare le voci di donne e ragazze. Se non lasciamo questa Sessione dopo aver detto collettivamente, senza ambiguità, “basta, non più”, allora avremo fallito».
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Un additivo per rendere climate-friendly i liquami degli allevamenti

additivo per rendere climate friendly i liquami

Gli allevamenti di bestiame producono grandi quantità di gas serra, soprattutto metano, particolarmente dannoso per il clima, che fuoriesce anche durante lo stoccaggio degli escrementi animali, il liquame. Ora, lo  studio “Calcium cyanamide reduces methane and other trace gases during long-term storage of dairy cattle and fattening pig slurry”, pubblicato su Waste Management da Felix Holtkamp dell’ Institut für Nutzpflanzenwissenschaften und Ressourcenschutz (INRES) dell’Universität Bonn, Joachim Clemens del produttore di fertilizzanti SF-Soepenberg e da Manfred Trimborn dell'Institut für Landtechnik dell’Universität Bonn dimostra che «Le emissioni di metano possono essere ridotte del 99% con mezzi semplici ed economici» e afferma che « Il metodo potrebbe dare un importante contributo alla lotta contro il cambiamento climatico».
Negli ultimi 200 anni, la concentrazione di metano nell'atmosfera è più che raddoppiata, soprattutto a causa del consumo umano di carne: le mucche e altri ruminanti producono metano durante la digestione. Un'altra fonte importante sono gli escrementi degli animali. Holtkamp  spiega che «Un terzo del metano prodotto dall'uomo nel mondo proviene dal bestiame. Si stima che fino al 50% provenga dai processi di fermentazione nel liquame». Per questo, in tutto il mondo, gli scienziati sono alla ricerca di modi per sopprimere questi processi. Holtkamp, Trimborn e Clemens hanno presentato una soluzione promettente al problema. «In laboratorio, abbiamo combinato il liquame di una fattoria con la calciocianamide, una sostanza chimica utilizzata come fertilizzante in agricoltura da oltre 100 anni. Questo ha portato a un arresto quasi completo della produzione di metano».
Infatti, secondo lo studio, «Nel complesso, le emissioni sono diminuite del 99%. Questo effetto è iniziato appena un'ora dopo l'aggiunta ed è persistito fino alla fine dell'esperimento 6 mesi dopo. La lunga efficacia è importante, perché il liquame non viene semplicemente scartato. Piuttosto, viene immagazzinato fino all'inizio della successiva stagione di crescita e poi sparso sui campi come prezioso fertilizzante. Mesi di stoccaggio sono quindi abbastanza comuni. Durante questo periodo, il liquame viene trasformato da batteri e funghi: scompongono il materiale organico non digerito in molecole sempre più piccole. Al termine di questi processi viene prodotto metano».
Holtkamp  evidenzia che «La calciocianamide rompe questa catena di trasformazioni chimiche e lo fa contemporaneamente in punti diversi, come abbiamo potuto vedere nell'analisi chimica del liquame trattato. La sostanza sopprime la degradazione microbica degli acidi grassi a catena corta, un intermedio nella catena, e la loro conversione in metano. Non è ancora noto esattamente come ciò avvenga».
E la calciocianamide  ha anche altri vantaggi: arricchisce il liquame con azoto e quindi migliora il suo effetto fertilizzante. Inoltre. previene la formazione dei cosiddetti strati galleggianti: depositi di materia organica che formano una solida crosta sul liquame e ostacolano lo scambio di gas. Questa crosta di solito deve essere regolarmente frantumata e mescolata. Holtkamp fa notare che «Il processo presenta anche vantaggi per gli animali stessi: spesso sono tenuti sui cosiddetti pavimenti a stecche. I loro escrementi cadono attraverso le aperture nel pavimento in un grande contenitore. La conversione microbica consente alla miscela fecale-urina di schiumare nel tempo e risalire attraverso gli spazi vuoti. Gli animali sono quindi in piedi nei loro stessi escrementi. La calciocianamide blocca questa formazione di schiuma».
Anche i costi sono gestibili: si aggirano tra 0,3 e 0,5 centesimi di euro per litro di latte per il bestiame di allevamento.
Non è ancora chiaro come il metodo influisca sul rilascio di ammoniaca dal liquame. L'ammoniaca è un gas tossico che, pur non essendo dannoso per il clima, può essere convertito in pericolosi gas serra Trimborn dice che «Abbiamo le prime indicazioni che a lungo termine  si riduca anche la quantità di ammoniaca. Però, a questo punto, non possiamo dirlo con certezza».
C’è un problema: attualmente, in Germania, una legge ambientale impedisce l'aggiunta di calciocianamide perché ai fanghi stoccati in modo convenzionale si applica e un severo requisito di purezza.
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Eritrea: la situazione dei diritti umani rimane disastrosa

Eritrea

Intervenendo alla 52esima sessione dell’Human Rights Council, la Vice Alto Commissario Onu per i diritti umani Nada Al-Nashif ha denunciato che «La situazione dei diritti umani in Eritrea rimane grave e non mostra segni di miglioramento. Continua ad essere caratterizzato da gravi violazioni dei diritti umani. Il nostro Ufficio continua a ricevere segnalazioni credibili di torture; detenzione arbitraria; condizioni di detenzione disumane; sparizioni forzate; restrizioni dei diritti alle libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica. Secondo quanto riferito, migliaia di prigionieri politici e prigionieri di coscienza sono dietro le sbarre da decenni. Inoltre, le vessazioni e la detenzione arbitraria di persone a causa della loro fede continuano senza sosta, con centinaia stimati di leader e seguaci religiosi colpiti».
Come se non bastasse, nella ex colonia italiana dalla quale partì la feroce ed effimera conquista fascista dell’Abissinia a suon di “faccetta nera” e di iprite e di massacri,  «Gli eritrei continuano ad essere sottoposti al servizio militare o nazionale a tempo indeterminato, che si è intensificato in seguito al conflitto del Tigray». E la Al-Nashif  ha ricordato «La storia di un giovane il cui fratello è stato costretto a fuggire nella foresta per evitare la coscrizione forzata e vi ha trascorso gli ultimi 8 anni della sua vita nascondendosi, entrando occasionalmente in città di notte, per procurarsi cibo e acqua. I coscritti continuano ad essere arruolati per una durata di servizio a tempo indeterminato oltre i 18 mesi previsti dalla legge, spesso in condizioni abusive, che possono includere l'uso della tortura, della violenza sessuale e del lavoro forzato. Coloro che tentano di disertare il servizio militare vengono detenuti e puniti. L'Eritrea continua inoltre con la pratica di punire i familiari per il comportamento dei parenti che evadono la leva, anche mediante sgomberi dalle loro abitazioni».
E’ infatti il servizio militare nazionale che, in un paese militarizzato e in mano a un regime ossificato che ha tradito ogni promessa di socialismo e libertà dei tempi della lotto per l’indipendenza dall’Etiopia, a restare il motivo principale per cui gli eritrei fuggono dal Paese. Secondo l'UNHCR, «Alla fine del 2022 c'erano rispettivamente oltre 160.000 e 130.000 richiedenti asilo e rifugiati in Etiopia e in Sudan, in leggero aumento rispetto agli anni precedenti, principalmente nella fascia di età dai 18 ai 49 anni. Recentemente, ci sono state segnalazioni di alcuni altri Paesi impegnati in rimpatri forzati di richiedenti asilo eritrei, che espongono i rimpatriati a gravi violazioni dei diritti umani nel loro Paese – ha detto la Al-Nashif -  Ribadiamo il nostro appello all'Eritrea affinché allinei il suo servizio militare nazionale con i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani e invitiamo gli Stati a fermare il rimpatrio forzato in Eritrea dei richiedenti asilo».
la Vice Alto Commissario Onu per i diritti umani  ha evidenziato che «E’ allarmante che tutte queste violazioni dei diritti umani siano commesse in un contesto di completa impunità. L'Eritrea non ha adottato alcuna misura dimostrabile per garantire la responsabilità per le violazioni dei diritti umani passate e in corso. Nessuna persona è stata ritenuta responsabile per le violazioni dei diritti umani documentate dalla Commissione d'inchiesta sui diritti umani in Eritrea nel 2016 e nel 2017, che ha rilevato che l'Eritrea aveva commesso crimini contro l'umanità, tra i quali riduzione in schiavitù, detenzione, sparizione forzata, tortura e altri atti disumani, persecuzione, stupro e omicidio. Inoltre, l'Eritrea non ha adottato alcuna misura per stabilire meccanismi di responsabilità per le violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario commesse dall’Eritrean Defence Forces (EDF) nel contesto del conflitto del Tigray in Etiopia, come rilevato dal Joint Investigation Team (JIT) del nostro Ufficio e della Commissione etiope per i diritti umani. L'Eritrea ha respinto questo rapporto del JIT e ha permesso ai perpetratori dell'EDF di agire impunemente. Non c'è alcuna reale prospettiva che il sistema giudiziario nazionale ne chieda conto ai colpevoli. Inoltre, i rapporti mostrano che mentre l'EDF ha avviato il ritiro dal Tigray, come richiesto nell'ambito dell'Accordo per una pace duratura attraverso una cessazione permanente delle ostilità firmato a Pretoria, in Sudafrica, nel novembre dello scorso anno, il ritiro rimane molto lento e in gran parte incompleto, il che richiede un monitoraggio e una segnalazione continui della situazione».
Poi la Al-Nashif  è passata ad analizzare i rapporti dell’Eritrea con l’Human Rights Council: «Dopo la sua visita in Eritrea nel gennaio 2022 per partecipare al lancio delle discussioni sul quadro di cooperazione allo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, il nostro rappresentante regionale per l'Africa orientale ha condotto una seconda missione in Eritrea nel maggio 2022, su invito del governo. La missione ha esplorato le aree di supporto e assistenza tecnica a seguito delle visite di valutazione tecnica effettuate dal nostro Ufficio nel Paese nel 2015, 2016 e 2017.   Durante la visita, il team ha incontrato i ministri degli esteri, della giustizia, dell'informazione e altri alti funzionari governativi, nonché i nostri partner per lo sviluppo. A seguito di discussioni con le controparti nazionali, sono state identificate cinque aree per una potenziale cooperazione tecnica e supporto da parte del nostro Ufficio, tra cui 1) il rafforzamento dei diritti come parte di un sistema giudiziario trasformativo; 2) l'armonizzazione delle “leggi indigene o tradizionali” in linea con le norme internazionali e regionali sui diritti umani; 3) sostegno a una conferenza regionale sulla giustizia tradizionale; 4) rafforzare i diritti e la protezione delle persone con disabilità; 5) rafforzamento delle capacità sull'impegno effettivo con i meccanismi delle Nazioni Unite per i diritti umani. Oltre a queste due missioni, le autorità non hanno risposto al nostro follow-up per l'elaborazione di un piano concreto di attività e attuazione. Analogamente, a Ginevra, la Missione Permanente [dell’Eritrea] non si è impegnata con il nostro Ufficio, né il nostro Ufficio ha ricevuto alcuna risposta alle comunicazioni relative al coinvolgimento dell'Eritrea nel conflitto nel Tigray. Questa totale mancanza di cooperazione è in netto contrasto con gli impegni dell'Eritrea come membro dell’Human Rights Council e il suo impegno volontario come membro di questo Consiglio a continuare il suo impegno con il nostro Ufficio. Alla luce della mancanza di risposta dell'Eritrea nel corso degli anni, l'OHCHR non è in grado di progredire con l'impegno tecnico e la cooperazione. Mentre accogliamo con favore il maggiore impegno del governo con il Country Team delle Nazioni Unite nel contesto dell'attuazione del quadro di cooperazione allo sviluppo sostenibile dell’Onu, è necessario impegnarsi su questioni fondamentali in materia di diritti umani, attraverso il dialogo con il nostro Ufficio e l'estensione della piena cooperazione ai meccanismi internazionali per i diritti umani. Questo include il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Eritrea e i titolari del mandato tematico relativo alle procedure speciali, in particolare coloro che hanno richiesto di fare una visita, tra cui il gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria, il relatore speciale sulla tortura e il relatore speciale sui diritti alla libertà di riunione pacifica e di associazione. L'Eritrea è in ritardo anche su una serie di rapporti agli organi del trattato delle Nazioni Unite (il Committee on Economic, Social and Cultural Rights, il Committee on the Elimination of Racial Discrimination e il ommittee Against Torture). Durante il terzo ciclo dell’Universal Periodic Review, el gennaio 2019, l'Eritrea ha assunto importanti impegni a sostegno di 131 raccomandazioni su 261, anche in materia di pace, giustizia e sostegno a istituzioni più forti. Durante l'ultima visita del nostro Ufficio nel maggio 2022, il governo ha dichiarato che un organismo di coordinamento sul reporting  aveva progettato un piano e un quadro d'azione per attuare queste raccomandazioni. Il nostro ufficio non ha visto questo piano nonostante il nostro follow-up».
La Al-Nashif  ha concluso ribadendo il suo appello al governo eritreo «Affinché si impegni in un dialogo pieno e franco con il nostro Ufficio. Rimaniamo pronti a costruire su queste missioni in Eritrea, in particolare quelle dello scorso anno, per iniziare ad affrontare alcune delle più gravi preoccupazioni in materia di diritti umani, anche attraverso la fornitura di supporto tecnico. Chiedo inoltre agli Stati membri di incoraggiare e facilitare l'impegno dell'Eritrea con l’Human Rights Council e i suoi meccanismi».
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