Addio a Pelé: è stato il Calcio
Ha vinto tre Mondiali, nessuno come lui. Il primo, quello in Svezia del 1958, non ancora maggiorenne, un imberbe fanciullo candido e ingenuo ma dotato della rara magia dei predestinati. Era il Brasile di Pelé-Didì e Vavà, le immagini sgranate di quel trionfo lo vedono piangere senza sosta, al fischio finale, sulla spalla di un altro mito, il portiere Gilmar. Il secondo nel 1962, in Cile, quando la sua fama era già planetaria e il terzo in Messico, nel 1970, nella celebre finale contro l’Italia di Mazzola e Rivera: quel giorno Pelé segnò il gol d’apertura volando altissimo in cielo e lì restando, sospeso tra le nuvole, prima di colpire il pallone di testa.
Nel corso della sua straordinaria carriera ha segnato 1279 gol ufficiali, ma per i brasiliani sono molte, molte di più. In ogni suo gesto c’era l’armonia più intima che questo gioco custodisce, in ogni suo dribbling, in ogni suo tiro; brillava la scintilla del genio. Era un diamante purissimo, Pelé; che contribuì, lui sì, per davvero, a fare del calcio il gioco più amato dell’intero pianeta. Qualche
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