Ma quindi, i P38 ci sono o ci fanno?

Il gruppo hip hop che canta di Brigate Rosse, attentati e anni di piombo, accusato di istigazione a delinquere e apologia di reato, ha annunciato la fine della sua attività musicale. Ma è giusto interpretare letteralmente i concetti che un artista esprime nei testi?
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«Alle 7 di mattina del 25 novembre ROS, Carabinieri e DIGOS hanno fatto irruzione nei nostri appartamenti. Come di consueto per le perquisizioni domiciliari, ci sono stati sequestrati computer e cellulari, più bandiere e vario merchandising del gruppo. I reati che ci vengono contestati sono istigazione a delinquere e apologia di reato, con alcune aggravanti, tra le quali quella di terrorismo. La pena massima che rischiamo è di poco superiore agli 8 anni di carcere».

Con queste parole, pubblicate l’altroieri su Instagram e riferite all’indagine aperta dalla Procura di Torino, i P38, il gruppo musicale hip hop che, in passato, si è autodefinito come un «collettivo musicale artistico insurrezionale», hanno comunicato la conclusione della propria attività musicale. Per chi fosse poco avvezzo al tema, ecco un piccolo riepilogo: nei loro testi e nelle loro performance dal vivo i quattro componenti della band – che si esibivano coperti da passamontagna e che sono noti al pubblico con gli pseudonimi di Astore, Yung Stalin, Jimmy Pentothal e DimitriContro – facevano riferimento a un’iconografia e a un immaginario ben precisi, costellati da riferimenti all’Unione


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